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La cooperazione fra militari e civili è fondamentale per le forze di pace
Inserito il 12 marzo 2005 alle 15:02:00 da admin. Stampa Articolo | Stampa Articolo in pdf
peacekeeping e ricostruzione
Il dibattito sul "Droit d'ingerence", il diritto d'intervento da parte dello stato con mezzi miliari per propositi umanitari, denominato più modernamente “peacekeeping” non si è mai concluso. Anzi, con i recenti sviluppi della crisi internazionale e con la presenza sempre più numerosa dei nostri soldati all’estero in scenari di difficile controllo questo problema è costantemente al centro di forti polemiche. L'Italia ha circa 500 militari impegnati nelle operazioni in Afghanistan nell'ambito della Forza internazionale di stabilizzazione (Isaf), e benché le recenti registrazioni di Bin Laden minaccino attacchi contro "rappresentanze italiane", a Kabul, come nei villaggi più remoti del deserto afgano, i nostri soldati sono conosciuti e rispettati ed ottengono con umanità ospitalità e collaborazione. Il gruppo militare predisposto ad ottimizzare i rapporti fra il nostro esercito e la popolazione locale è il CIMIC (cooperazione civile-militare), il suo operato è determinante per integrare fra loro il personale dell’ Isaf, la popolazione Afgana e le varie Onlus ed Ong presenti nel territorio che accettano tale collaborazione. Non sono poche infatti le organizzazioni che rifiutano per ideologia o per motivazioni pratiche di collaborare con l'esercito durante lo svolgimento di un’operazione umanitaria. Anche se quasi tutte queste sono d’accordo che sia necessario un rapporto con le istituzioni locali, che spesso però non esistono. Allora altre organizzazioni come la Gvc e la Spes, meno rigide sull’applicazione degli aiuti umanitari, basano il loro operato attraverso un’attiva collaborazione con il Cimic permettendo così la nascita di progetti fondamentali per la ristrutturazione del paese.

Chiunque sia stato a Kabul si è reso conto di quanto grave sia la mancanza di qualsiasi forma di igiene. Le fogne sono a cielo aperto con il vento che spesso porta i liquami organici all’interno delle abitazioni, l’acqua spesso scarseggia e ristagna nei pozzi colonizzati da ogni tipo di insetto. Proprio per questo motivo nell’agosto scorso è stato attivato dal CIMIC il progetto di sanificazione delle acque stagnanti della città con trattamenti che si ripetono a cadenze regolari ogni 15 giorni. Inoltre sempre a Kabul, settimanalmente, vengono seguiti dal Cimic, 15/20 bambini con la cute deturpata e gli organi invasi dalla leishmania (una parassitosi endemica in questo paese) e altri 30/40 bambini alla settimana ricevono visite e cure per altre patologie. A questa attività si affianca quella coordinata con il Servizio Veterinario dell’esercito che sta promovendo in scala sempre maggiore la vaccinazione dei capi di bestiame nella regione di Kabul. Mediamente viene effettuata la profilassi da 100 a 200 capi ogni settimana. Operazioni queste importanti anche per la salute della popolazione, perché garantire mandrie di bestiame sane vuole dire prevenire le numerose malattie che le carni infette possono trasmettere all’uomo.

La Carta delle Nazioni Unite obbliga gli stati ad intervenire talvolta con la forza per interrompere le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. E sempre il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha autorizzato recentemente l’Isaf a inviare le truppe in qualunque parte dell’Afghanistan, senza tenerle confinate nella capitale Kabul. Le azioni umanitarie non devono avere frontiere, obblighi politici o religiosi. In ogni posto dove vi sia sofferenza è giusto che i paesi occidentali si adoperino per risollevare le popolazioni dall’inferno nelle quali si vengono a trovare. E proprio su questa linea di condotta riecheggiano le parole del ministro della Difesa Antonio Martino che ha annunciato l’invio di nuovi soldati italiani a Kabul da inquadrare nell’ipotesi di un possibile allargamento dell’azione dell’Isaf nel territorio afghano. Un programma questo non richiesto da tentativi di controllo del territorio, delle milizie o delle istituzioni afghane, ma esclusivamente dettato dalla necessità di ricostruzione e stabilizzazione di un paese sull’orlo dello sfacelo.
Massimiliano Fanni Canelles
 
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