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Osservazioni dell'EpaC Onlus sulla consensus su screening per HCV
Inserito il 02 settembre 2005 alle 18:50:00 da admin. Stampa Articolo | Stampa Articolo in pdf
Osservazioni specifiche
Tentiamo qui di fare il nostro lavoro di Associazione, e porre questioni diverse da quelle meramente scientifiche, assolutamente centrali ma non per questo le uniche da prendere in considerazione.
Una breve premessa per liberare il campo da possibili equivoci.
L’associazione EPAC è gestita, in via formale ed informale, al 100% dai pazienti, il 90% dei quali colpito duramente dalla malattia. I membri del Consiglio Direttivo non percepiscono denaro da Aziende farmaceutiche ed i contributi liberali delle stesse non superano il 25% del totale del nostro bilancio. Per essere chiari, totale indipendenza nel formulare le nostre osservazioni ed esenti dal “sentirsi in obbligo di compiacere”. Peraltro, noi portiamo avanti la battaglia per l’emersione del sommerso sin dal 1999.

Scopo della Consensus

La prima osservazione riguarda il titolo della Consensus:
“Nella popolazione adulta italiana, vi sono soggetti nei quali è giustificato effettuare lo screening per infezione da HCV?”
La sensazione è che stiamo circumnavigando alla questione centrale.
Ci pare il caso di porsi la domanda che risponda al vero problema:
il costo economico di un screening per l’HCV di alcune gruppi o sottogruppi di cittadini, può giustificare il beneficio che ne può derivare nel breve, medio e lungo periodo?
In buona sostanza, parliamo del COSTO – BENEFICIO, di cui sorprendentemente non si trova traccia nei lavori. Non staremmo a discutere tanto se non ci fossero problemi economici.
Nessuno di noi desidera sprecare denaro pubblico, soprattutto in un contesto attuale di sofferenza economica nella quale versa il nostro paese. Proprio per questo, ci pare naturale affrontare direttamente il problema con maggiore pragmatismo:

A) Elaborando stime adeguate degli attuali costi socio sanitari causati dall’epatite C
B) Elaborando stime adeguate sui costi economici degli screening
C) Elaborando stime adeguate sui benefici economici (risparmio) nel medio e lungo termine derivanti dal un incremento di infezioni scoperte, in parte curate e in parte monitorate
D) Incrociando tutte queste informazioni e facendo una valutazione obbiettiva

Ci pare doveroso ricordare che nei costi socio economici vanno incluse molte voci quali:
a. esami bioumorali
b. costi di terapia
c. costi di follow up
d. costi gestione cirrotici
e. costi gestione epatocarcinomi
f. costi trapianti
g. costi di invalidità civili e permanenti
h. ore lavorative perse per malattia

Tanto per citarne alcuni.

Gli elementi di valutazione
A nostro modesto avviso, una valutazione complessiva bene fatta, dovrebbe tenere in considerazione 4 fattori determinanti:

Benefici clinici
Benefici economici
Il diritto del cittadino di essere curato
Il dovere delle Istituzioni di mettere i cittadini nelle condizioni di sapere, prevenire e limitare il danno.
Il dovere delle Istituzioni di impedire la diffusione di virus infettivi e tutelare le persone che sono a contatto con il soggetto portatore di infezione.

I lavori presentati sono tutti centrati sul primo punto. Gli eventuali benefici clinici. Non ci sono proiezioni concrete di eventuali benefici economici, così come non si tiene conto di altri fattori di natura squisitamente etica, giuridica e costituzionale che affronteremo più avanti.


Gruppo 1:
Quale è la prevalenza di infezione cronica da HCV nella popolazione generale italiana?
In Italia esistono sottogruppi di soggetti con maggiore prevalenza di infezione?

Può venire utile prendere in considerazione anche una recente review come quella di S. Bellentani et al Minerva Gastroenterol Dietol. 2005 Mar;51(1):15-29 che offre ottimi spunti di confronto. Sembrerebbe emergere ampia convergenza sul fatto che alcune categorie o gruppi/sottogruppi di persone possono essere considerate “a rischio” quali:

• Chi ha ricevuto organi da trapiantati da soggetti antiHCV positivi, (prima del 92)
• Tossicodipendenti
• Chi ha fatto uso droghe endovena in passato
• emodializzati
• Storia di trasfusioni di sangue (prima del 92) [inclusi talassemici ed emofilici,]
• Conviventi persone infette
• Pz. con manifestazioni extraepatiche (Linfoma NH, crio, dermatologiche, ecc.)
• Soggetti con alterazioni enzimi epatici
• Chi ha una condotta sessuale promiscua

Restano controverse le conclusioni per:
• Carcerati (15-45%),
• Operatori della salute per contatto con sangue e derivati infetti (media 1.8%)

Non sembrano essere state prese in considerazione queste categorie:
• Alcolisti (15-25%)
• Storia di chirurgia maggiore (21%)

Gruppo 2:
Quali sono la validità ed i limiti di test di screening per infezione da HCV?

Nessun commento.


Gruppo 3:
Quali sono le caratteristiche e i rischi dei test necessari ad una valutazione del soggetto con infezione cronica da HCV in previsione di una terapia antivirale?
Quanti soggetti con infezione cronica da HCV identificati mediante screening risultano candidati al trattamento antivirale?

Relazione affascinante che ha catturato la nostra attenzione. Il lavoro esordisce con questa premessa:

La decisione di trattare un paziente affetto da epatite cronica da HCV (con l’obiettivo di ottenere una risposta virologica sostenuta) si basa da un lato sulla valutazione del rischio che il singolo paziente ha di avere morbilità aumentata o aspettativa di vita ridotta a causa dalla malattia epatica
[1-5,7-21] e dall’altro sull’analisi dei fattori che possono condizionare la probabilità di successo terapeutico [1-5,6, 22-24].

Questa affermazione apre la porta ad un tema a noi molto caro, ovvero la QUALITA’ DELLA VITA (QoL). Se da un punto di vista clinico è vero quanto viene affermato, si trascura sistematicamente l’aspetto sociale.
Numerosi studi scientifici hanno ormai stabilito come l’infezione da epatite C, anche in forme lievi:

a) Interferisca drammaticamente nelle normali relazioni sociali e familiari (stigma e paure di varia natura) riducendo la qualità di vita. [1-2]
b) riduca in maggiore o minore misura le capacità neurocognitive del paziente [3-4]

Lavori scientifici a parte, a fronte delle nostre 35000 consulenze effettuate sinora a chi si è rivolto alla nostra Associazione, possiamo confermare ma soprattutto aggiungere molti dettagli sugli handicap psicofisici causati dall’infezione e quanto una SVR sia una vera liberazione anche per un paziente che tutto sommato non ha aspettative di vita ridotte nel medio periodo.
Questo si evidenzia maggiormente nei portatori di ALT Normali, soprattutto giovani / di media età che da una parte vivono una vita sociale disagiata ma dall’altra si vedono negare le terapie.
Auspichiamo quindi che la QoL, (incluse le motivazioni del paziente) entri a far parte come criterio fisso nelle valutazione per decidere chi trattare.
Vale la pena ricordare, infine, che la motivazione del paziente è molto spesso uccisa da false informazioni, miti e leggende metropolitane assurde che dipingono il trattamento antivirale come una calvario inenarrabile, che non offre certezze di guarigione né lati positivi cui fare riferimento.
Gran parte delle nostre migliaia di ore di counselling la spendiamo a sfatare questi miti e motivare il paziente indeciso.

Il lavoro prosegue con questa affermazione:

“In una ottica di screening di popolazione, i soggetti di età >65 anni potrebbero essere esclusi a priori, dal momento che sarebbero individuati soggetti con alta probabilità di non essere trattati a causa dell’età avanzata.”

Anche questo è un tema che vale la pena approfondire. Nella sua innegabile verità, questa affermazione offre un strumento potente per i sostenitori del “non vale la pena fare screening”.
Guardiamo la faccenda, con un’altra chiave di lettura che non sia strettamente clinica e troveremo che:

1. Un cittadino >65 anni ha pari diritti rispetto ad uno < 65
(Art. 3 costituzione Italiana) [6]
2. Un cittadino ha il sacrosanto diritto di conoscere il suo stato di salute poiché la consapevolezza di essere portatori del virus lo aiuta a porre in essere tutte le misure preventive del caso, e gli consente di rielaborare stili di vita consoni a rallentare il decorso dell’infezione. (Art. 32 Costituzione Italiana) [7]
3. Le Istituzioni hanno il dovere di fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per Impedire la diffusioni di virus, agenti patogeni e fare prevenzione in questa direzione, tutelando i cittadini che vengono a contatto con i portatori del virus. In questa ottica, le fasce di età dei cittadini portatori inconsapevoli del virus è irrilevante.
(Art. 32 Costituzione Italiana) [8]

Misure preventive
Un esempio tipico: riceviamo numerose richieste di counselling da parte di genitori di bambini che vengono lasciati ai “nonni” portatori Di HCV. I genitori sono alquanto preoccupati poiché spesso queste persone, causa età, hanno lacerazioni delle pelle, labbra screpolate, gengive sanguinanti, e, in generale, poca attenzione alle normali precauzioni da prendere ma viceversa una spiccata propensione (del tutto naturale) a contatti fisici ripetuti con i nipotini a loro affidati.

Pensiamo anche a tutte quelle occasioni nelle quali gli operatori sanitari, estetici, ecc. vengono a contatto con il sangue delle persone anziane: luoghi di ricovero permanente, dentisti, ecc.
Da parte nostra forniamo il counselling necessario, ma ci chiediamo: preso atto che il contagio intrafamiliare è tutt’altro che azzerato, che sono stimati 2500 nuovi casi di infezione ogni anno, quanto può incidere il fatto che i soggetti “anziani” spesso non vengono presi in considerazione per lo screening?

Stili di vita
“L’epatite C ed i suoi cattivi compagni”. E’ un titolo felice di una conferenza cui ho partecipato. Per cattivi compagni s’intendono i co-fattori che influenzano, talvolta pesantemente, il decorso dell’infezione (Alcol, alimentazione, stile di vita, co-infezioni, ecc.)
Ebbene, la consapevolezza di avere una infezione, ed un corretto counselling, sono elementi decisivi per sbarazzarsi dei “cattivi compagni” o quantomeno eliminare quelli sui cui si può intervenire. Senza contare la possibilità di assumere epatoprettori che, per quanto abbiano una efficacia “cosmetica” sugli enzimi epatici, a fini della QoL rivestono particolare importanza. Indipendentemente dall’età, la scoperta dell’infezione può essere decisiva per allungare la vita di un paziente infetto da epatite C. Poco o tanto che sia.

In estrema sintesi, ai fini di uno screening, gli argomenti appena elencati ci paiono altrettanto rilevanti tanto quanto l’impossibilità di trattare pazienti >65

Di notevole stimolo, il lavoro conclude:
Per un possibile incremento della quota dei trattabili occorre orientarsi verso le categorie di esclusi più rappresentate e per le quali sia plausibile un recupero. Si può ipotizzare un allargamento delle indicazioni ai soggetti con ALT persistentemente normali (con malattia epatica significativa istologicamente dimostrata? con genotipo favorevole? a tutti?) ed il recupero di una quota di non di non aderenti attraverso un protocollo di counseling

Siamo assolutamente favorevoli all’allargamento delle indicazioni soprattutto nei soggetti con ALT persistentemente normali, avendo larga esperienza sui disagi lamentati da questa categoria di pazienti. Noi diciamo: allarghiamo a tutti, con preferenza a coloro che sono motivati, previa verifica di false informazioni che possano bloccare il paziente dal prendere una decisione adeguata sulla proposta terapeutica.

Gruppo 4
Quali effetti collaterali e quale impatto su indicatori laboratoristici di malattia (viremia, transaminasi, istologia epatica) hanno gli attuali trattamenti anti-HCV?

Prendiamo atto delle conclusioni:
Va, tuttavia, rilevato che i risultati terapeutici emersi nei trials solo ipoteticamente sono estendibili ad una popolazione derivante da uno screening di massa, peraltro con caratteristiche epidemiologiche come quelle italiane:
- perchè da studi di coorte emerge che i pazienti effettivamente trattati nella pratica clinica sono diversi da quelli inclusi nei trials sperimentali per età (mediamente più avanzata), associazione di fattori di comorbilità (coinfezione da HBV, sovrappeso, consumo di alcolici) e condizioni cliniche comunque condizionanti negativamente il trattamento (diabete, ipertensione ecc);
- perché in tale popolazione esiste un’ampia quota di soggetti con transaminasi normali in cui l’utilità del trattamento è ancora largamente da valutare.

Vogliamo ribadire il nostro sostanziale disaccordo nel valutare l’opportunità di uno screening basandosi unicamente sulla possibilità di trattare farmacologicamente. In aggiunta agli argomenti da noi descritti, va detto che:

A. un paziente può non essere idoneo al trattamento in quel momento, ma lo può essere in futuro. Un portatore di ALT normali potrebbe andare incontro ad una riattivazione dell’infezione, o attendersi una estensione delle indicazioni terapeutiche (cosa che sta accadendo).
B. Alla stessa stregua, un soggetto >65 può aspirare a nuovi farmaci meno tossici, estendibili alla sua fascia di età (inibitori?).
C. I soggetti con fattori di comorbilità possono, in alcuni casi, eliminare o attenuare questi stessi fattori, per arrivare ad uno status di paziente trattabile (es. perdita di peso, cessare di assumere alcol, cessare di assumere droghe, cessare di assumere altri farmaci, ecc.)

Gruppo 5
Quali caratteristiche sono associate ad una maggiore probabilità di clearance virale in corso di terapia anti-HCV? Il miglioramento degli indicatori laboratoristici indotto dalla terapia antivirale è correlato ad un rallentamento nella progressione clinica della malattia da HCV? Quale impatto su indicatori clinici di malattia (progressione in cirrosi, scompenso epatico, insorgenza di epatocarcinoma, mortalità) hanno i trattamenti anti-HCV?

Le conclusioni di questo gruppo, ci hanno sorpreso. L’analisi della letteratura è critica al punto da mettere in discussione numerosi studi che sostengono gli effetti benefici della terapia nel prevenire o rallentare cirrosi ed HCC.

La conclusione finale riporta:
L’aspetto più rilevante evidenziato da questa revisione, tuttavia, è che i dati disponibili sull’esito a lungo termine della terapia antivirale per l’epatite da HCV non sono adeguati per trarre conclusioni valide, perché provengono da studi disegnati in modo non appropriato per questo scopo. Pertanto la prevenzione della cirrosi nell’epatite cronica, e dello scompenso e dell’HCC e la riduzione della mortalità nei pazienti trattati che raggiungono una risposta virologica sostenuta, rimangono ipotesi biologicamente plausibili ma non ancora scientificamente provate.

Sempre in tema di QoL: E’ un delitto non ricordare che, ad un soggetto con SVR, la vita cambia completamente, in meglio: torna a vivere una vita normale, è più attivo socialmente, più produttivo, più estroverso. Si riappropria della vita. [9] E non è poco.
E, infine, se da una parte non siamo certi degli esiti a lungo termine della terapia antivirale, siamo certi che il non farla sarebbe un disastro totale. E’ molto difficile pensare che senza terapie antivirali le cose resterebbero invariate come si può largamente ipotizzare dal grafico sottostante che riporta il decremento dei casi di cirrosi negli ultime anni (slide gentilmente concessa da Prof. Ascione)

Gruppo 6
Quale impatto ha il counseling (riduzione del consumo alcolico, dieta, vaccinazione anti-epatite A e B, informazione sulle vie di trasmissione di HCV) sulla progressione clinica della malattia da HCV e sulla diffusione del virus?

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