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Promozione dei generici: cui prodest?
Inserito il 26 ottobre 2005 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Nelle ultime ore si sono moltiplicati gli appelli, anche da parte dell'AIFA, a favore della prescrizione di generici. Cui prodest?

Il Consiglio di Amministrazione dell'Agenzia Italiana del Farmaco, riunito in seduta in data 13/10/05, ha definito linee di indirizzo per la diffusione di una informazione pubblica e indipendente sul farmaco per meglio tutelare il diritto alla salute dei cittadini. Un ruolo centrale in tal senso sarà svolto dalla realizzazione di campagne di comunicazione sul farmaco rivolte alla popolazione generale e agli operatori di settore.
In particolare, nel 2005 saranno realizzate le Campagne per la promozione dei medicinali generici-equivalenti e per favorire un uso razionale e consapevole dei farmaci.
La prima iniziativa comunicativa avrà lo scopo di garantire una informazione autorevole e corretta sui farmaci generici-equivalenti al medico e al farmacista e al contempo di ricostruire presso l'opinione pubblica l'identità del farmaco generico quale medicinale equivalente rispetto alle specialità "griffate", sottolineandone anche il valore aggiunto come generatore di risorse per ammettere alla rimborsabilità farmaci innovativi ad alto costo.

Commento di Luca Puccetti

Ci chiediamo chi abbia interesse a fare una campagna così pesante per favorire la prescrizione di farmaci generici. E' il privato cittadino che sceglie se pagare o meno la differenza eventuale tra il generico a prezzo di riferimento e un altro farmaco generico o branded. La proposta al paziente del generico, anche in difformità rispetto alla prescrizione medica, è un preciso obbligo del farmacista. Dunque è palesemente infondato che con i generici si libererebbero risorse per poter concedere farmaci innovativi. Per il SSN infatti è assolutamente indifferente che venga prescritto un generico od un prodotto eguale "di marca", diverso sarebbe se la prescrizione slittasse dalla molecola di cui esiste il generico ad altre non genericabili. Perchè si vuole inculcare a forza nella mente dei medici che i generici sono "eguali" ai farmaci branded ed addirittura uguali ad altri generici? Ci chiediamo se è compatibile con la funzione super partes che dovrebbe rivestire un organo regolatorio dei farmaci fare tali affermazioni ed intraprendere tali iniziative. Secondo quanto avrebbe affermato ad un convegno un funzionario AIFA, il lieve calo dei consumi dei generici sarebbe da attribuire sia all'effetto di una maggiore spinta promozionale, da parte delle aziende, verso i farmaci coperti da brevetto, sia al fatto che alcune aziende di generici utilizzano politiche di differenziazione del loro prodotto, riconoscendolo come equivalente, ma descrivendolo al tempo stesso migliore di altri generici. Ciò confonderebbe il consumatore al quale si è sempre ribadito il concetto che i generici sono tutti 'uguali' o appunto 'equivalenti'. Inoltre molti medici prescrittori non sarebbero ancora convinti della qualità dei farmaci equivalenti e della loro 'uguaglianza' rispetto a quelli di marca.
Come già detto molte volte in altre sezioni del sito, non è assolutamente vero che i farmaci generici siano eguali a quelli branded e men che meno che siano sempre interscambiabili tra di loro senza rischi. Si tratta di valutare criticamente e non fideisticamente la bioequivalenza che è concetto ben diverso dall'eguaglianza, valutazione che richiede conoscenze farmacologiche, statistiche e dei disciplinari tecnici e che comunque può assumere importanza assai diversa da farmaco a farmaco e nel singolo paziente rispetto a quanto avviene in una popolazione. Cui prodest?

Commento di renato Rossi

La "querelle", recentemente scatenata sugli organi di stampa, a proposito dei farmaci generici meriterebbe una analisi più ragionata e a bocce ferme.
Non mi addentro sull'aspetto della "equivalenza" tra generici e farmaci di marca e tra i vari generici, l'argomento è molto complesso e di stretta pertinenza farmacologica. L'impressione però è che si voglia far i conti senza l'oste, che in questo caso è il paziente. Chi lavora sul campo confermerà che per molti pazienti la sostituzione del farmaco di marca con uno generico non porta, almeno dal punto di vista soggettivo, a cambiamenti sostanziali. Ma confermerà anche che per altri pazienti la sostituzione può comportare la comparsa di effetti collaterali o intolleranze varie. Che si tratti di reazioni reali o immaginarie (effetti nocebo?) è difficile dire. In ogni caso il punto di vista e le preferenze del paziente non possono essere ignorate o passate in secondo piano, giuste o sbagliate che siano sotto l'aspetto squisitamente farmacologico: le reazioni ai farmaci sono del tutto imprevedibili, estremamente variabili e soggettive ed è quindi ragionevole che l'ultima parola spetti a chi il farmaco lo deve assumere. Questo è tanto più vero se si considera che il maggior costo, se si sceglie un farmaco di marca, viene comunque sostenuto dal paziente stesso.
E qui veniamo al punto caldo della questione, quello economico. Quando un paziente si reca in farmacia per l'acquisto di un farmaco, il farmacista ha l'obbligo di avvisarlo se esiste l'opzione dell'equivalentre generico, a meno che il medico non abbia esplicitamente indicato in ricetta che debba essere dispensato "solo" il farmaco da lui prescritto (caso direi più unico che raro). Nel caso si tratti di un farmaco non rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale il costo ricade interamente sull'assistito. Nel caso invece si tratti di un farmaco cosiddetto "mutuabile", se il paziente sceglie quello "di marca", dovrà comunque pagare la differenza rispetto al generico.
In tutte e due le evenienze non c'è mai un aggravio di spesa a carico dello Stato, indipendentemente dalla prescrizione effettuata a monte dal medico.
Giusto quindi incentivare l'uso dei generici se si ritiene che questi siano efficaci come i farmaci di marca (il parere di chi scrive, assolutamente personale e non EBM, è che in generale lo siano), ma giusto anche che alla fine sia il diretto interessato, opportunamente informato, a scegliere. Eventualmente la maggior spesa ricade sul paziente, ma se è una sua scelta consapevole, dove sta il problema? Ognuno non è libero di spendere (o buttare, secondo i punti di vista) i soldi dove meglio crede?
E' perlomeno soprendente che questa banale regola di mercato (neppure molto difficile da capire) sia ignorata costantemente da chi scrive sui giornali o lancia periodiche polemiche contro i medici italiani che non incentivano l'uso dei generici, quasi come questo potesse scardinare i conti della Sanità italiana.

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