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Mortalità 10 volte maggiore con l'aborto chimico
Inserito il 02 dicembre 2005 da admin. - ostetricia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Rispetto all'aborto chirurgico, quello farmacologico espone la donna ad un tasso di complicazioni infettive mortali 10 volte maggiori.

Un editoriale di M. Greene, Harvard Medical School, Boston, direttore di ostetricia al Massachusetts General Hospital di Boston ed associate editor del New England Journal Medcine, chiarisce i recenti casi di i complicazioni infettive dovute alla Ru486.
La Fda ha approvato mifepristone per uso abortivo il 28 settembre 2000 dopo un tempo di decisione lunghissimo, di ben 54 mesi contro i 16 mediamente necessari per le nuove molecole. Il 15 novembre 2004 FDA inserì in scheda tecnica un warning per possibili complicazioni fatali (rottura di gravidanza ectopica e shock settico).
Il 19 luglio seconda revisione del black box warning in 8 mesi: due (su 4 ?) donne morte per sepsi da C. sordellii, caratterizzata da: assenza di febbre, drammatica leucotitosi, versamento nelle sierose, emoconcentrazione, ipotensione refrattaria, morte rapida.
Bene allora viene logico chiedersi, ma qual'è il rischio?
Analizzando i dati complessivi il rischio di morte associato all'uso di RU486 nelle prime 8 settimane a scopo abortivo è di circa un caso per 100.000. E' tanto, è poco?
Si può rispondere che è circa 8-10 volte inferiore al rischio di proseguire la gravidanza, oppure che è 10 volte superiore al rischio dell'interruzione chirurgica che, limitatamente alla ottava settimana, è appunto pari a 0,1 casi per centomila.

Fonte: NEJM, 2005; 353:2317-2318

Commento di Luca Puccetti

Finalmente viene fuori la realtà dei dati che l'ideologia messa in campo ha letteralmente sovvertito. Lungi da quanto vuolsi far credere nei vari dibattiti televisivi da valenti pseudoesperti, l'aborto chimico non è più sicuro per la donna di quello chirurgico, anzi è vero l'esatto contrario. Questi dati confermano recenti lavori pubblicati tra cui uno proveniente anche da un esperto della Cochrane cinese.
Come è pensabile di non tenere la donna sotto stretto controllo medico con questi dati? E' del tutto fuorviante e pericoloso quanto sta succedendo ossia la somministrazione di un prodotto che ha questi rischi e la pratica semisistematica della dimissione "volontaria" della donna che così aggira la legge 194 che impone che l'aborto avvenga nella struttura ospedaliera. Vengono correttamente informate le donne dei rischi che corrono sia ad assumere il farmaco ed ancora di più a non rimanere in osservazione in ospedale? Sono domande inquietanti quando pare che la quasi totalità delle donne, una volta assunto il trattamento farmacologico abortivo, abbia firmato per essere "volontariamente" dimessa.
Ancora, ci chiediamo quale sia la veridicità dei certificati rilasciati dai medici che, avendo in cura la donna hanno fatto richiesta di importazione del farmaco dall'estero in causa di mancanza di alternative "terapeutiche", la fanno poi abortire chirurgicamente se il farmaco non arriva in tempo. Ma allora l'alternativa "terapeutica", c'era!
Insomma probabile lavoro per procure e commissioni ordinistiche....

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