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Non ti riconosco, ma forse sì: la proposoagnosia
Inserito il 06 marzo 2006 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Migliorano le conoscenze del raro disturbo che non permette il riconoscimento dei volti.

Hans Spinnler e Sarah Anna Sperber, della Clinica Neurologica dell’università di Milano, hanno seguito per diversi anni una signora, Emma, affetta da proposoagnosia. Il disturbo, provocato da una lesione alla corteccia temporale inferiore dell’ emisfero destro, consiste nell’incapacità del soggetto a riconoscere i volti, anche i più familiari. Emma, come tutti i prosopoagnostici, non era in grado di riconoscere nemmeno i volti dei familiari, ne’ era in grado di rievocare il volto delle persone sentendone il nome. Nonostante il disturbo sia generalizzato a tutti i volti, i ricercatori si accorsero che gli errori e i tempi di reazione non erano distribuiti casualmente. La signora sembrava fare meno errori in caso i volti noti, anche se coscientemente affermava di non essere in grado i riconoscerli. Per vedere se l’impressione avesse o meno un fondo di verità, i ricercatori sottoposero Emma ad un esperimento. In un compito di apprendimento nomevolto, alla paziente vennero insegnate diverse associazioni: alcune di esse tra un volto familiare (ad esempio del marito)
ed un nome altrettanto familiare (ad esempio Luigi). Metà delle associazioni proposte erano vere (il volto di Luigi veniva associato al nome Luigi), mentre l’altra metà erano associazioni false, nelle quali il volto non corrispondeva al nome. Emma ovviamente non riusciva a riconoscere nessuno dei volti proposti, e non riusciva ad associare il nome ne’ a ricordarlo. Ciònonostante faceva meno errori ed impiegava meno tempo ad apprendere l’associazione nome-volto nel caso in cui questa corrispondeva alla realtà dei fatti, piuttosto a quando era fittizia. Potremmo dire che Emma era guidata da conoscenze implicite, che, pur non arrivando ad essere pensieri coscienti erano comunque in grado di influire sull’operato della paziente. Con il progredire della malattia, le capacità implicite della paziente andarono nel tempo calando fino a scomparire, come se l’aggravarsi delle condizioni avesse definitivamente eliminato la capacità di riconoscere i volti. Tutto questo farebbe pensare che la conoscenza implicita e quella esplicita siano strettamente correlate e che utilizzino gli stessi circuiti neuronali, ma in maniera leggermente differente.
Guido Zamperini
Fonte: Cortex, 39, 57-67

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