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Il lavoro che amavo...
Inserito il 28 luglio 2006 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Perche' un' attivita' che apprezzavamo tanto, ora ci pesa ed e' divenuta quasi odiosa? I meccanismi psicologici.

Se si è fortunati, può capitare di trovare il lavoro dei nostri sogni. Poco conta quanto sia difficile, o quanto distante da casa, o quante responsabilità comporti: se il lavoro che troviamo ci è congeniale, questo basta a farcelo piacere. Ma è un idillio eterno, o le cose possono cambiare nel tempo?

Purtroppo l’idillio puo cessare, e quando cessa, dopo un tempo sempre difficile da predire, lo stesso lavoro che prima era pieno di spunti, di possibilità e di ricchezza diventa noioso, ripetitivo, e sterile.

Qualcuno ha, però, tentato di indagare e di spiegare cosa succede durante il processo di disamoramento verso il proprio lavoro, e questo qualcuno sono gli
esperti della Sirota Survey Intelligence -
che mediante una indagine che ha coinvolto piu di un milione e 200 mila dipendenti di 52 tra le più importanti imprese statunitensi hanno stabilito che bastano sei mesi per far si che l’idillio abbia termine.

La domanda a cui rispondere adesso è cosa influenzi questo legame: se pensiamo ad un legame affettivo possiamo ipotizzare che la colpa sia dei partner; in un legame lavorativo, quali sono i fattori che influenzano l’attaccamento?
Prima di tutto la colpa è dei manager: le stesse persone che gestiscono le aziende sono le responsabili del calo dell’entusiasmo del nuovo entrato.
Sono incapaci di motivare efficacemente i propri sottoposti, di distribuire adeguatamente i riconoscimenti adeguati.
Secondo “Harvard Management Update” gli impiegati sarebbero oltretutto limitati dalla enorme quantità di permessi ed autorizzazioni necessarie per portare a compimento ogni atto del proprio lavoro, oltre che da corsi di formazione spesso non sufficienti per il lavoro effettivo che devono svolgere.
A condire il tutto va aggiunta una scarsa efficienza del sistema di diffusione e trasmissione delle informazioni, e che poche volte i responsabili sono in grado di delegare parte del proprio potere.

Il quadro che ne viene fuori è desolante:
nel sistema organizzativo aziendale sono carenti i settori fondamentali per un buon lavoro.
Gli impiegati, infatti, comunicano male fra loro e con i superiori, ricevono premi non adeguati e mal distribuiti, hanno pesanti obblighi burocratici da assolvere per ogni fase del proprio lavoro, che a sua volta viene portato avanti con una formazione scarsa, e non hanno possibilità di vedersi assegnare incarichi decisionali anche minimi.
Non stupisce, a questo punto, come il burnout sia dietro l’angolo…

Una situazione leggermente differente la troviamo in Italia, ove secondo la ricerca realizzata da Carrieri, Damiano e Ugolini pubblicata nel libro “Il lavoro che cambia” (Ediesse), gli italiani sono mediamente soddisfatti del proprio lavoro, anche se non mancano le note dolenti.
Infatti, in Italia la prima causa di burnout è lo stress lavorativo, seguita dalla burocrazia interna, la scarsezza di relazioni con i superiori e la ripetitività di mansioni.

Gli italiani sono, tra gli europei, quelli che meno si dichiarano soddisfatti degli orari di lavoro in rapporto agli impegni fuori dall’ufficio

Oltre a questo risulta importante un inadeguato sistema di retribuzione e premi, e l’impossibilità di intervenire nell’organizzazione del lavoro.

Guido Zamperini

Fonti:
http://www.kataweb.it/lavoro/index.jsp?s=dossier&idContent=1611605
http://lavoro.repubblica.it/

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