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Quale trattamento per l'aborto spontaneo del primo trimestre?
Inserito il 02 luglio 2006 da admin. - ostetricia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Nell'aborto spontaneo del primo trimestre la terapia medica o la semplice attesa sono associate ad un maggior rischio di ricoveri o di interventi di revisione della cavità uterina non pianificati.


Lo studio MIST (Miscarriage Treatment) voleva determinare quale sia il trattamento di scelta nell'aborto spontaneo del primo trimestre. A tal fine sono state reclutate 1200 donne in gravidanza con una diagnosi di aborto spontaneo entro la 13° settimana di gestazione. L'aborto poteva essere sia completo (espulsione totale del prodotto del concepimento) che incompleto. Le pazienti sono state randomizzate a semplice attesa (n = 399), a terapia medica ( n = 398) oppure a revisione chirurgica della cavità uterina (n = 403). La terapia medica consisteva nel ricovero e nella somministrazione vaginale di misoprostol preceduta, nelle 24-48 ore precedenti, da mifepristone orale in caso di espulsione del feto. Gli end-point considerati erano l'infezione ginecologica confermata a 14 giorni e dopo 8 settimane, la necessità di un ricovero non pianificato oppure di un intervento chirurgico. Non si notarono differenze per quanto riguarda un'infezione ginecologica entro il 14° giorno tra i tre gruppi: 3% nel gruppo chirurgico, 3% nel gruppo terapia medica, 2% nel gruppo attesa. Nel gruppo chirurgico vi fu un minor rischio di ricovero e di RCU non pianificati sia rispetto al gruppo attesa (rispettivamente RR 0,59 con IC95% 0,53-0,64 ed RR 0,61 con IC95% 0,56-0,66) sia rispetto al gruppo terapia medica (rispettivamente RR 0,90 con IC95% 0,85-0,94 ed RR 0,70 con IC95% 0,65-0,75). Il sanguinamento vaginale fu più breve nel gruppo chirurgico ma non si notarono differenze nella concentrazione di emoglobina ematica nei tre gruppi. Anche il ritorno alle normali attività, l'ansia e la depressione furono simili nei tre gruppi. Per contro la percentuale di complicazioni chirurgiche (soprattutto perforazioni) fu più elevata nel gruppo RCU (2%). Gli autori concludono che nell'aborto spontaneo del primo trimestre la frequenza di infezioni ginecologiche è bassa (2-3%) qualsiasi sia l'opzione scelta, tuttavia se si preferisce la terapia medica o la semplice attesa bisogna mettere nel conto un maggior rischio di ricoveri o di interventi di revisione della cavità uterina non pianificati.


Fonte: BMJ 2006 May 27; 332.1235-1240

Commento di Renato Rossi

Il trattamento standard dell'aborto spontaneo nel primo trimestre di gravidanza prevede il ricorso alla revisione chirurgica della cavità uterina (RCU), sia in caso ci sia stata l'espulsione completa del prodotto del concepimento sia in caso di aborto incompleto, nell'intento di ridurre il rischio di infezioni ginecologiche e di emorragie. In realtà finora vi erano pochi studi che avessero paragonato le varie opzioni disponibili e vi era incertezza su quale fosse il trattamento ottimale. Lo studio MIST è il primo con una casistica così numerosa che abbia paragonato tre tipi di strategia e suggerisce che non vi sono differenze tra terapia chirurgica, medica o semplice attesa per quanto riguarda il rischio di infezioni, anche se nel gruppo sottoposto a revisione chirurgica si ebbe un maggior numero di prescrizioni di antibiotici. Neppure altri outcomes considerati (concentrazione emoglobinica, ritorno alla attività abituali, disturbi psicologici) erano influenzati dal tipo di terapia praticata. Alle donne dovrebbe essere offerta una delle tre possibilità di trattamento. Se si sceglie l'opzione chirurgica è utile sapere che si ha una risoluzione più rapida ma con un maggior rischio di complicazioni, soprattutto perforazioni: in pratica ogni 50 interventi si verifica una complicanza. Se al contrario si sceglie l'attesa si ha una probabilità di circa il 50% di evitare l'intervento. Infatti secondo i risultati dello studio MIST poco meno della metà delle donne randomizzate nel gruppo attesa venne in seguito sottoposte a RCU o per esplicita richiesta della paziente stessa oppure perchè l'esame ecografico mostrava una persistente ritenzione del prodotto del concepimento. La terza alternativa, la terapia medica, riduce la necessità di ricovero ed intervento non programmati, rispetto all' attesa, a circa una donna su tre. In realtà questa percentuale risulta elevata rispetto a quella di altri studi in cui solo il 5-15% delle donne trattate con misoprostol dovette in seguito sottoporsi a intervento. Questo dipende probabilmente dal fatto che nel MIST alle donne veniva offerta la possibilità di RCU se il feto non risultava completamente espulso dopo 8 ore mentre negli altri studi in genere si procedeva dopo 7-14 giorni. E' probabile tuttavia che questi risultati trovino una difficile applicazione nella pratica corrente, sia perchè, magari per timori di tipo medico legale più o meno giustificati, i medici tendono con riluttanza ad abbandonare comportamenti entrati nell'uso quotidiano e ritenuti efficaci, sia per esplicita richiesta delle stesse pazienti che, seppur correttamente informate, potranno ritenere preferibile o comunque si sentiranno più tranquille con il trattamento chirurgico.

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