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SSRI associati a riduzione dei suicidi negli USA
Inserito il 17 luglio 2006 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Dopo la commercializzazione degli SSRI negli USA si è verificata una riduzione della frequenza dei suicidi.

La frequenza dei suicidi negli USA è diminuita dopo l'introduzione della fluoxetina e di altri SSRI.
E' quanto suggerisce uno studio di alcuni ricercatori dell'Università di Los Angeles. Usando i dati dei Centers for Diseases Control and Prevention e dell' US Census Bureau gli autori hanno trovato che il tasso di suicidi non cambiava nei 15 anni precedenti la commercializzazione della fluoxetina (1988). Dopo la sua introduzione nel mercato invece i suicidi si sono ridotti progressivamente nei successivi 14 anni man mano che aumentava il numero di prescrizioni di SSRI.
In particolare la frequenza di suicidi era di 12,2 -13,7 per 100.000 persone/anno fino al 1988 e scendeva poi gradualmente per attestarsi su 10,4 per 100.000 nell'anno 2000. Contemporaneamente il numero di prescrizioni della fluoxetina passava da 2,5 milioni nel 1988 a più di 33 milioni nel 2000. L'effetto di riduzione del rischio suicidiario sembra essere più evidente nelle donne.
Gli autori commentando il loro lavoro sottolineano che molti psichiatri temono che l'assenza di trattamento nei depressi sia più pericolosa che gli effetti delle terapie.


Fonte:
Licinio J et al. PLoS Med (Public Library of Science Medicine journal) 2006; 3:e190



Commento di Renato Rossi

La querelle circa il possibile aumento del rischio di suicidio associato all'uso degli antidepressivi e in particolare degli SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina) non è nuova e anche questa testata se ne è occupata in passato.
Nel 2005 tre studi pubblicati dal BMJ non avevano consentito di trarre conclusioni certe [1,2,3].
Una revisione sistematica di RCT [1] in cui gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina erano stati paragonati a placebo o ad altre terapie (702 RCT per oltre 87.000 pazienti) aveva trovato che l'uso degli SSRI era associato ad un rischio doppio di suicidio o di tentativi non riusciti di suicidio rispetto al placebo o ad altri trattamenti diversi dai triciclici ma non c'erano differenze tra SSRI e triciclici. Tuttavia gli autori avvertivano che gli studi esaminati potevano avere numerose limitazioni e non stimare correttamente il rischio.
Una seconda meta-analisi [2] che aveva considerato anche trials non pubblicati (477 trials per un totale di 40.000 pazienti) concludeva che non possono essere esclusi nè importanti benefici degli SSRI rispetto al placebo nè importanti pericoli di aumento del rischio di suicidio: vi è una certa evidenza di aumento del rischio di autolesionismo non fatale, ma nessuna prova di un aumento dei suicidi; comunque la durata degli studi è troppo breve per poter arrivare a dati definitivi circa gli effetti a lungo termine.
In un terzo studio [3], di tipo caso-controllo, con una coorte di oltre 146.000 pazienti, si suggeriva che chi usa SSRRI non ha un rischio suicidario superiore a chi usa triciclici, ma risulta una evidenza debole che questo rischio possa essere aumentato nei pazienti più giovani (età < 18 anni).
Nel 2005 l'EMEA dava mandato ad un comitato di esperti di esaminare il profilo di sicurezza degli SSRI ed SNRI. Il comitato concludeva che questi farmaci non devono essere usati nei bambini e negli adolescenti, eccetto che per le indicazioni approvate per queste età, in quanto vi può essere un aumento dei comportamenti aggressivi e di tendenza al suicidio rispetto al placebo [4].
Sempre nel 2005 la rivista elettronica BMC Medicine pubblicava uno studio norvegese su 1.500 pazienti da cui sarebbe risultato che la paroxetina aumentava il rischio di suicidio rispetto al placebo [5]. La ditta produttrice del farmaco contestò lo studio affermando che si trattava di dati vecchi di 15 anni mentre l'EMEA, dopo aver esaminato la documentazione disponibile sul farmaco, riaffermava il profilo favorevole di paroxetina nel trattare depressione e disturbi correlati all'ansia.
La stessa EMEA nel 2006 autorizzava l'uso di fluoxetina nei bambini e negli adolescenti ma solo in caso di fallimento della psicoterapia (almeno 4-6 sedute); la dose iniziale deve essere di 10 mg da aumentare eventualmente a 20 mg/die; se non ci sono benefici clinici dopo 9 settimane il trattamento deve essere riconsiderato [8].
Ma la storia non è finita qui perchè la ditta produttrice di paroxetina, nel marzo 2006, ha informato la FDA dei risultati di una sua analisi sui dati a sua disposizione affermando testualmente. " Negli adulti con MDD (major depressive disease) vi è un incremento statisticamente significativo dei comportamenti suicidiari nei pazienti trattati con paroxetina rispetto al placebo" [6]. In seguito la stessa ditta inviava una lettera ai medici in cui si sottolineava che è difficile stabilire una relazione di tipo causa-effetto tra paroxetina e suicidio negli adulti a causa del numero esiguo degli eventi , della natura retrospettiva dell'analisi e della presenza di possibili fattori di confondimento associati ai sintomi stessi della malattia trattata.
Uno studio caso-controllo recente [7] riapre di nuovo la contesa arrivando a suggerire (sappiamo che le evidenze derivanti dagli studi caso-controllo vanno prese con molta cautela) che gli SSRI sono associati ad un aumento del rischio di suicidio negli anziani.
L'ultimo contributo alla vicenda, recensito in questa pillola, rende ancora più intricata la questione: in realtà i dati epidemiologici sarebbero a favore dell'uso degli SSRI perchè, dalla loro commercializzazione, la frequenza di suicidi non solo non è aumentata ma si è progressivamente ridotta, negli USA, mentre era rimasta sostanzialmente stabile nei 15 anni precedenti. E' possibile che questa riduzione sia dovuta non all'uso degli SSRI ma per esempio al miglioramento in genere dei servizi psichiatrici oppure a qualche altro fattore che non conosciamo? Difficile a dirsi anche se non lo possiamo escludere. Sta di fatto che l'associazione tra riduzione dei suicidi e prescrizione degli SSRI è molto suggestiva.
Gli autori comunque sono prudenti: anche se i loro risultati indicano che l'introduzione di questi farmaci nel mercato ha contribuito a ridurre la frequenza di suicidi negli USA non escludono che in piccole sottopopolazioni di pazienti possano invece aumentare tale rischio.
In attesa di nuovi sviluppi che portino ulteriori elementi per fare chiarezza come dovrebbe comportarsi il medico pratico?
A mio parere due dovrebbero essere le regole a cui conformarsi.
La prima è quella di trattare con un antidepressivo solo chi ne ha effettivamente bisogno: spesso i pazienti visti nella pratica di tutti i giorni non soffrono di drepressione maggiore ma di un disturbo sotto-soglia legato a momentanee difficoltà in famiglia o nel lavoro oppure ad eventi stressanti (un lutto, una separazione, ecc.) in cui una modesta reazione depressiva è del tutto normale; può essere allora sufficiente il counseling, la disponibilità all'ascolto ed un attento monitoraggio in modo da cogliere subito eventuali peggioramenti che indichino la necessità di un trattamento farmacologico. La seconda regola è di seguire scrupolosamente i pazienti in trattamento con antidepressivi, soprattutto quelli più impegnativi. Vi sono alcune caratteristiche che possono aiutare nell'individuare i soggetti depressi che sono più a rischio:
pazienti che affermano di non avere alternative o futuro, presenza di importanti disturbi del sonno, assenza di occupazioni e hobby, condizioni fisiche scadute, gravi malattie associate, solitudine, alcolismo, disoccupazione, pregressi tentativi di suicidio, maschi > 65 anni.
Questi soggetti richiedono un' attenzione particolare sia da parte del medico che dei familiari che possono essere chiamati a collaborare con i sanitari.



Bibliografia:
1. Fergusson D et al. BMJ 2005 Feb 19; 330:396
2. Gunnel D et al. BMJ 2005 Feb 19; 330:385
3. Martinez C et al. BMJ 2005 Feb 19; 330:389
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1709&sid=915571206
5. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1838&sid=915571206
6. BMJ 2006 May 20;332:1175
7. Juurlink DM, et al. The risk of suicide with selective serotonin reuptake inhibitors in the elderly. Am J Psychiatry 2006;163: 813-21
8. BMJ 2006 Jun 17; 332:1407

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