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Il divieto della diagnosi pre impianto sull'embrione non viola la costituzione
Inserito il 26 ottobre 2006 da admin. - ostetricia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La Corte Costituzionale ha sentenziato che la questione di legittimità costituzionale in merito al divieto di effettuare il test pre-impianto non è fondata.

Per le donne che si sottopongono alla fecondazione assistita resta il divieto di effettuare il test pre-impianto. Lo ha deciso a tempo di record la Corte Costituzionale che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata a proposito dell'articolo 13 della legge 40/2004 sulla fecondazione assistita. L'articolo 13 non permette di verificare lo stato dell'embrione prima che venga impiantato nell'utero della donna. La sentenza riguarda il caso di una coppia, marito e moglie, portatori sani di Beta talassemia che si erano rivolti al centro di cura dell'infertilità di Cagliari. La donna, dopo la diagnosi di sterilità, si è sottoposta a fecondazione assistita ed è rimasta incinta. All'undicesima settimana, il medico ha disposto una diagnosi prenatale che ha evidenziato un feto malato e fu effettuata l'interruzione della gravidanza. La donna si è successivamente sottoposta ad un secondo tentativo di fertilizzazione assistita ma ha chiesto al medico la diagnosi preimpianto sugli embrioni. Il ginecologo non ha proceduto ad effettuare il test richiesto in quanto la legge sulla fecondazione assistita non gli consente di effettuarlo. La donna allora ha rifiutato l'impianto e la coppia si è rivolta ad un legale che ha presentato istanza per un procedimento d'urgenza che autorizzasse il medico ad effettuare la diagnosi sugli embrioni. Il giudice civile del Tribunale di Cagliari, Donatella Satta, ha rinviato ogni decisione alla Corte Costituzionale ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità della articolo 13 della legge 40/04. Il Tribunale di Cagliari infatti paventava la violazione degli articoli 2 e 32 della Costituzione sotto il profilo del rischio di danni biologici per l'embrione (dovuti al periodo di crio-conservazione per il rifiuto dell'impianto da parte della donna in assenza di un test preliminare) e per la donna (minacciata dalla impossibilità di conoscere lo stato di salute dell'embrione prima di procedere all'impianto). Il giudice Satta sosteneva anche una violazione dell'art. 3 della Costituzione per la presunta ingiustificata disparità di trattamento tra la posizione dei genitori, ai quali è riconosciuto il diritto all'informazione sulla salute del feto nel corso della gravidanza (attraverso l'amniocentesi), e quella della coppia nella fase della procreazione assistita che precede l'impianto. L'Avvocatura dello Stato, a nome del presidente del Consiglio, ha chiesto una pronuncia di inammissibilità della questione. L'avvocatura aveva difeso la legge sulla fecondazione assistita ritenendola la più idonea a bilanciare interessi contrapposti tenuto conto che non esiste, e non ha fondamento giuridico, la pretesa di avere un figlio sano e che, pertanto, non può assumere alcuna rilevanza l'elemento attinente all'equilibrio psico-fisico della donna.
La Corte Costituzionale, con una decisione rapida, nel corso della camera di consiglio del 24 Ottobre 2006, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità. La Corte ha sentenziato che non è contro i principi della Costituzione l’articolo 13 della legge sulla fecondazione assistita, quello che vieta la diagnosi preimpianto degli embrioni per accertarne lo stato di salute ed evitare, così, il rischio di far sviluppare un feto portatore di gravi problemi genetici. Le motivazioni di quanto stabilito non sono ancora note e saranno importanti per capire se la Consulta abbia respinto per irrilevanza dei riferimenti citati dal Tribunale di Cagliari o anche nel merito.

Fonte: ANSA

Commento di Luca Puccetti

La legge italiana vieta , come quella tedesca , la diagnosi pre-impianto che consiste nel prelievo di 1-2 cellule da un embrione che ne ha 6-8. Dopo questa procedura l'embrione spesso muore, o non attecchisce, o non arriva al parto, o è soggetto a maggiori rischi di malformazione. Inoltre, l’esito di diagnosi preimpiantatorie, spesso, si rivela inattendibile. Le Linee guida ministeriali hanno precisato che diversa dalla diagnosi preimpianto – e implicitamente consentita in quanto non dannosa per la salute dell’embrione – è l’osservazione al microscopio, che può rivelare embrioni evidentemente inadatti all’impianto. La sentenza cui si riferisce la presente pillola ricalca pronunciamenti precedenti di altri collegi giudicanti. Il TAR del Lazio con la sentenza 4046/2005 giudicò inammissibile la richiesta di diagnosi genetica preimpianto avanzata da genitori affetti una grave patologia genetica, confermando nella sostanza quanto già aveva sentenziato respingendo il ricorso della societa' Warm contro il decreto ministeriale del 21/7/2004 contenente le linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita. Il TAR aveva affermato che, "pur non sfuggendo il rigore della normativa, non c'e' un fondamento giuridico alla pretesa ad avere un figlio sano, anche nel caso di una 'eugenetica negativa', volta cioe' a far si' che non nascano persone portatrici di malattie ereditarie, e non gia' a perseguire scopi di 'miglioramento' della specie umana". Inoltre, sempre secondo il Tar, "non puo' postularsi un diritto dei 'genitori' alla conoscenza dello stato di salute degli embrioni che prescinda dalla tutela dell'embrione stesso, riconosciuto come soggetto di diritto". E "neppure sussiste una difformita' con la convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo nei confronti della biologia e della medicina, ratificata dall'Italia nel 2001".
Il Tar ha ricordato peraltro che la legge n.40 "prevede un aggiornamento periodico, almeno ogni tre anni, delle linee guida in rapporto all'evoluzione tecnico-scientifica, tale da non escludere, in un piu' o meno prossimo futuro, l'indagine genetica a scopo terapeutico". Su posizioni simili si è espressa recentemente anche la Corte di Cassazione Sez. III Civile, 14/07/2006 con Sentenza n. 16123 che ha stabilito un importante principio essendo chiamata a discutere un ricorso in merito ad una causa che vedeva contrapposti da un lato i genitori e dall'altro un medico che avrebbe omesso di informarli circa la sussistenza di anomalie dello sviluppo fetale. I genitori chiedevano un risarcimento per non essere stati posti nella condizione di emigrare in un paese meno restrittivo dell'Italia in tema di aborto ed un risarcimento sia per il malformato, per essere stato condannato a nascere e a vivere malformato (sic!), che per la sorella.
La Suprema Corte ha sentenziato che non è configurabile un diritto a “non nascere” o a "non nascere se non sano”, essendo per converso tutelato dall'ordinamento - anche mediante sanzioni penali - il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie. E’ da escludersi pertanto la configurabilità del c.d. aborto eugenetico, che prescinda dal pericolo derivante alla salute della madre dalle malformazioni del feto. Alcuni lamentano l'incoerenza delle norme dell'articolo 13 delle legge 40/04 che vietano la possibilità di una diagnosi preimpianto e lasciano poi la facoltà di abortire un feto (malato o non), anzi molti paventavano che questa norma fosse il grimaldello per rimettere in discussione anche la legge sull'aborto. La diagnosi preimpianto comporta rischi per l'embrione che appunto è soggetto di diritto tra cui anche quello all'inviolabilità della sua integrità per cui oltre all'assenza del diritto a non nascere se non sano sussiste anche il diritto della inviolabilità dell'integrità dell'embrione. Il caso dell'aborto è una situazione limite in cui sono contrapposti due diritti ed il legislatore ha lasciato alla madre la facoltà di decidere quale debba prevalere, ma ponendo dei precisi limiti temporali. Già nel 2004 il Giudice Felice Lima della I sezione civile del tribunale di catania, rigettò la richiesta di diagnois preimpainto di due coniugi senza nemmeno rimettere la questione alla Corte Costituzionale. L'incoerenza cui spesso gli appellanti si riferiscono deriva da una diffusa prassi applicativa della legge 194 palesemente contrari al suo spirito ed alla sua letera. La legge 194 non autorizza infatti un uso dell'aborto come strumento selettivo dei feti in riferimento alla loro salute. La legge 194, per il giudice Lima, autorizza l'aborto non perché la madre vuole solo un bambino sano, ma solo quando la prosecuzione della gravidanza comporti un serio pericolo per la sua salute psicofisica. Non è sistematicamente ipotizzabile che qualunque anomalia del feto possa essere causa di serio pericolo per la salute della madre. Oltre alle motivazioni giuridiche il rischio eugenetico è sempre dietro l'angolo come testimoniato dal gran numero di feti abortiti in Francia con misure del femore corte, segno predittivo di bassa statura. Ed è parimenti altissimo il rischio dell'uso terapeutico degli embrioni che dunque non sarebbero concepiti come esseri, ma come "cose" utili. In natura, si verifica l’aborto spontaneo di un certo numero di ovuli fecondati, allora perchè si vuole impedire agli scienziati semplicemente di anticipare questa selezione naturale? In alcuni casi lo sviluppo embrionale non può forse evolvere in tumore? “Come si può considerare allora l’embrione appena formato come una persona umana?” ha scritto M. Etienne Beaulieu, ex-presidente dell’Accademia delle Science Francese. L’embrione sarebbe dunque "colpevole" di essere elusivo, instabile e misterioso tanto da non poter dunque appartenere al genere umano e dunque non potrebbe avere alcun diritto. Ma se l'embrione non fosse persona vorremmo tanto sapere quando lo diventerebbe.

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