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La pillola abortiva arriva in Italia
Inserito il 03 novembre 2007 da admin. - ostetricia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La Exelgyn invierà all'AIFA il 7 novembre 2007 la richiesta di mutuo riconoscimento, basato sulla registrazione francese, pertanto il cosiddetto "aborto medico", potrebbe essere disponibile anche in Italia da primi mesi del 2008.

Catherine Denincourt responsabile del settore farmaceutico della Exelgyn di Parigi ha dichiarato: "Presenteremo il dossier di registrazione il 7 novembre per la procedura del mutuo riconoscimento in Italia della sperimentazione francese del farmaco". Il mutuo riconoscimento è una procedura che prevede che uno stato Ue possa riconoscere la validità di un farmaco già sperimentato e autorizzato in un altro stato membro, con un enorme risparmio di spese e di tempo.

La registrazione del farmaco Mifepristone è stata effettuata una procedura europea di mutuo riconoscimento conclusa il 5 luglio 1999 con la Francia come paese membro di riferimento e Austria, Belgio, Germania, Danimarca, Grecia, Spagna, Finlandia, Lussemburgo e Paesi Bassi come paesi coinvolti (ove cioè il farmaco è stato successivamente commercializzato). Il farmaco risulta commercializzato anche in altri paesi europei, quali UK e Svezia, dove il farmaco è però commercializzato per una somministrazione in associazione con farmaci differenti e in paesi extraeuropei, quali USA e Cina.
Per quanto riguarda gli USA la licenza fu donata probabilmente per i timori di affrontare la FDA.

Nel giugno del 2007 la Commissione Europea ha approvato le raccomandazioni dell'EMEA per uniformare le indicazioni del farmaco nell'Unione Europea. Sebbene debbano essere considerate alla luce delle leggi e dei regolamenti vigenti in ogni paese, esse costituiscono un importante riferimento sanitario per i paesi membri. Le indicazioni approvate sono:

1) la IVG farmacologica fino a 63 giorni di amenorrea;
2) la preparazione della cervice uterina prima della IVG chirurgica;
3) la preparazione all'azione degli analoghi della prostaglandina nella IVG farmacologica;
4) l'induzione del travaglio in caso di morte fetale in utero e quando non è possibile utilizzare
prostaglandine e ossitocici.

In Italia dal 2005 sono iniziate le sperimentazioni in vari ospedali in sei Regioni: Piemonte, Toscana Trento, Emilia Romagna, Marche e Puglia).

Fonte: La Repubblica 1/11/2007

Commento di Luca Puccetti

Nel 2005, in un editoriale pubblicato dopo le morti correlate al mifepristone causate da shock settico da C. Bordelli, M. Greene, della Harvard Medical School di Boston, direttore di ostetricia al Massachusetts General Hospital ed associate editor del New England Journal Medicine affermò che l’aborto farmacologico espone la donna ad un tasso di complicazioni infettive mortali 10 volte maggiori rispetto a quello chirurgico, pur rimanendo il rischio assoluto piuttosto basso.

Poiché la Ru 486 si può utilizzare solo fino all'ottava settimana di gestazione, bisogna paragonare il rischio con quello delle altre procedure abortive fino alla stessa data; è ovvio, infatti, che l'aborto chirurgico, che si può effettuare anche oltre questo limite è tanto più rischioso quanto più la gravidanza è avanzata. Pertanto a parità di età gestazionale il tasso di pericolosità del metodo chimico si rivela 10 volte più alto di quello chirurgico.

Oltre alle morti per sepsi, sono segnalati numerosi casi di complicazioni, tra cui emorragie, svenimenti, nausea, vomito, crampi addominali, fenomeni ipertensivi.
Inoltre, non è infrequente la incompleta o mancata espulsione dell'embrione, che impone di ricorrere comunque alla chirurgia per rimuovere dalla cavità uterina i tessuti non espulsi.
Infine, per quel 5% circa di casi in cui la gravidanza prosegue dopo la somministrazione della RU 486, la probabilità di malformazioni fetali è altissima.

Dunque l'aborto chimico non è più sicuro e nemmeno più efficace per la donna di quello chirurgico, anzi è vero l'esatto contrario.

La sperimentazione del S. Anna di Torino è stata fatta oggetto di un’ indagine per sospetta violazione del protocollo autorizzato dal Ministero. Ricordiamo anche che il Consiglio Superiore di Sanità si espresse per il ricovero della donna durante l’iter dell’aborto farmacologico che può avvenire anche 72 e più ore dopo la somministrazione dei farmaci. Invece in molti casi tramite "l’autodimissione volontaria" questa indicazione è stata aggirata nelle varie "sperimentazioni" regionali.

Se volessimo applicare il ragionamento che Eric Topol fece con la vicenda rofecoxib, proiettando il rischio in eccesso del mifepristone rispetto all’aborto chirurgico a tutti gli aborti, avremmo decine di morti in più.

Allora perché questa grande mobilitazione per favorire la registrazione in Italia di ciò che il genetista Jérome Lejeune definì "pesticida umano"?

Le motivazioni sono di vario genere.

1) si favoleggia di un minor costo della pratica medica rispetto a quella chirurgica, ma questo è vero solo se la procedura medica viene effettua in regime ambulatoriale e questa è prassi in disaccordo con le indicazioni del Consiglio Superiore di Sanità e rischia di contravvenire con la legge 194 che prevede che la IVG venga effettuato presso un ospedale generale oppure presso uno degli ospedali pubblici specializzati e, limitatamente ai primi novanta giorni, l'interruzione della gravidanza possa essere praticata anche presso case di cura autorizzate dalle Regioni, fornite di requisiti igienico sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici. Infatti l’espulsione del prodotto del concepimento, ovverosia l’aborto, può avvenire a vari tempi dopo la somministrazione dei farmaci abortivi pertanto l’espulsione, in caso di autodimisisone, può avvenire fuori dall’ospedale e dunque verrebbe violata la norma contenuta nel testo della 194.

2) chi produce il mifepristone vuole venderlo e dunque ha un interesse economico diretto

3) i medici che praticano IVG sono oberati da queste mansioni specialmente adesso che con l’arrivo delle donne straniere avremo un aumento della richiesta di IVG

4) l’aborto chirurgico sarebbe per alcuni un modo di punire la donna per la sua scelta; l’uso della pillola abortiva quindi "libererebbe" la donna da questa "ingiustizia".

5) la pillola abortiva avrebbe minore impatto sulla salute mentale femminile rispetto all’aborto chirurgico nella sindrome post-abortiva. In realtà è solo una questione di tempi di follow-up. Se a breve termine i livelli di stress e di ansia sono maggiori con la procedura chirurgica, i risultati della ricerca indicano nel complesso che a lungo termine prevalgono i sensi di colpa nelle donne che hanno fatto ricorso alla procedura medica e che hanno dovuto maneggiare il "materiale" espulso facendole sentire artefici dirette dell’aborto.

6) la motivazione più importante è molto più grave anche se sottaciuta dai più: si vuole trasformare l’aborto in un atto privato, da un lato per motivi ideologici, per dare alla donna il pieno autocontrollo della maternità "consapevole" e da un altro lato per favorire il ricorso all’aborto stesso, come dimostra l’aumento dei casi registrati in Emilia Romagna.

Referenze

1) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3313
2) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3030
3) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2794
4) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2110
5) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2730
6) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2138

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