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Inutili gli steroidi nella malattia di Kawasaki
Inserito il 15 agosto 2008 da admin. - pediatria - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Inutile l'aggiunta del metilprednisolone in singola dose endovenosa alla terapia tradizionale con immunoglobuline per il trattamento di routine dei bambini con malattia di Kawasaki.



Il presente RCT giunge a conclusioni apparentemente diverse rispetto a quello recensito in passato. A dimostrazione che si tratta di un argomento ancora molto dibattuto sulla letteratura scientifica.

Obiettivo

Stabilire se l'aggiunta di metilprednisolone per via endovenosa alla terapia convenzionale della malattia di Kawasaki si associ ad una riduzione del rischio di alterazioni coronariche.

Setting

Studio multicentrico condotto su un campione di pazienti reclutati dal dicembre 2002 al dicembre 2004 in 8 centri del nord america.

Disegno

Trial controllato randomizzato, in doppio cieco verso placebo. Nei metodi non sono riportati dettagli rispetto a randomizzazione, nascondimento della sequenza e cecità.

Pazienti/Patologia

Sono stati arruolati soggetti che presentavano febbre da 4 a 10 giorni e: 4 o più criteri clinici principali oppure aumento dello z score delle coronarie + 2 o 3 criteri clinici principali (a seconda dell’età < o > 6 mesi) oppure presenza di aneurisma delle coronarie e almeno 1 criterio clinico principale. Maggiori dettagli sui criteri di inclusione ed esclusione sono reperibili nel lavoro all’inizio dei metodi.

Intervento

I soggetti eleggibili sono stati randomizzati a ricevere: 1) trattamento con metilprednisolone per via endovenosa in bolo unico, 30 mg/kg; 2) placebo. Tutti i pazienti hanno ricevuto la terapia convenzionale con immunoglobuline per via endovenosa (2 g/kg in 10 ore) e con aspirina alla dose di 80-100 mg/kg/die fino a 48 ore dopo lo sfebbramento e poi alla dose di 3-5 mg/kg/die. Le immunoglobuline venivano ripetute alla stessa dose in caso di persistenza della febbre dopo 36 ore dal ciclo iniziale e una terza volta se la febbre persisteva o se era presenta una ripresa della malattia a 36 ore di distanza dalla seconda somministrazione.

Outcomes misurati

Dimensione delle coronarie a 5 settimane dalla randomizzazione (outcome principale), andamento clinico, tempi di ospedalizzazione, variazione degli indici di flogosi

Durata follow up

5 settimane

Principali risultati

Di 313 soggetti eleggibili, 199 hanno avuto il consenso dei genitori e sono stati randomizzati, 101 al gruppo che ha ricevuto steroide, 98 al gruppo placebo. I due gruppi erano simili per le principali caratteristiche di base considerate. Dopo 1 e 5 settimane non sono state messe in evidenza differenze nelle dimensioni delle coronarie tra i due gruppi. È stata invece mostrata una tendenza ad un più breve periodo iniziale di ospedalizzazione, a una più bassa VES a 1 settimana e a valori più bassi di PCR nel gruppo trattato con steroide. L’analisi per sottogruppi ha mostrato un beneficio dello steroide rispetto al placebo sull’outcome coronarico nei bambini con febbre persistente che hanno ricevuto un ulteriore trattamento con immunoglobuline.

Conclusioni degli autori

I risultati ottenuti non supportano l’aggiunta del metilprednisolone in singola dose endovenosa alla terapia tradizionale con immunoglobuline per il trattamento di routine dei bambini con malattia di Kawasaki.

Fonte: N Engl J Med 2007;356:663-75.

Commento

Questo studio statunitense non sembra quindi supportare l’uso routinario dello steroide nella malattia di Kawasaki. Il trial clinico giapponese presentato nella newsletter 15-16 concludeva invece che il trattamento sperimentale (prednisone 2 mg/kg/die somministrato fino a normalizzazione della PCR) era associato ad una migliore outcome coronarico. I due trial sono di difficile confronto in quanto 1) sono stati realizzati su popolazioni differenti (statunitense vs giapponese); 2) utilizzano un differente steroide (metilprednisolone in bolo vs prednisone fino a normalizzazione della PCR); 3) utilizzano dosaggi e schemi diversi anche per le immunoglobuline (2 g/kg in unica dose vs 1 g/kg/die per 2 giorni). La qualità metodologica dello studio statunitense non può essere adeguatamente valutata per l’assenza nei metodi di qualsiasi informazione rispetto a randomizzazione e cecità. Un dato interessante che emerge da questo lavoro è la possibile utilità del metilprednisolone in bolo endovenoso in un sottogruppo di soggetti ad alto rischio per resistenza alle immunoglobuline. Questi soggetti possono essere identificati sulla base di alcuni criteri, definiti però per la popolazione giapponese. Riportiamo di seguito una breve sintesi dei criteri di rischio segnalati dalla letteratura (si tratta di solito di lavori retrospettivi che confrontano responders e non responders per caratteristiche cliniche e di laboratorio). Un lavoro ha identificato come possibili non responders i soggetti che presentano prima di ricevere le immunoglobuline almeno 2 tra i 3 seguenti: PCR>7.0 mg, bilirubina totale >0.9 mg, o AST >200 IU/L (Sano T, [pbm] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16896641?dopt=AbstractPlus). Un secondo lavoro ha generato uno score di previsione in base all’assegnazione di 1 punto per: età <6 mesi; meno di 4 giorni di malattia; conta delle piastrine < 300.000/mmc; PCR >8 mg/dL; e di 2 punti per ALT >80 UI/L. Un punteggio di 3 o più identifica i soggetti resistenti alle immunoglobuline con una sensibilità del 78% e una specificità del 76% (Egami K, [pbm] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16887442?dopt=AbstractPlus). Un altro lavoro ha generato uno score di previsione in base all’assegnazione di 2 punti per: sodio <133 mmol/L; meno di 4 giorni di malattia al momento del trattamento iniziale; AST >100 UI/L; neutrofili >80%; e di 1 punto per: PCR >10; età <12 mesi; conta piastrinica < 300.000/mmc. In questo caso uno score >4 identificava i soggetti ad alto rischio di resistenza (Kobayashi T, [pbm] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16735679?dopt=AbstractPlus). Infine, un quarto lavoro ha identificato come fattori predittivi indipendenti di resistenza alle immunoglobuline il sesso maschile, la ricorrenza, il dosaggio di immunoglobuline inferiore a 1 gr/die e la loro somministrazione nei primi 4 giorni di malattia (Muta H, [pbm] http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16449025?dopt=AbstractPlus).
Sicuramente il ruolo degli steroidi nella malattia di Kawasaki sarà oggetto in futuro di ulteriori studi. Al momento ci sembra di poter riproporre la conclusione del nostro precedente commento sulla questione e cioè che sono lontani i tempi in cui si diceva che il cortisone poteva determinare con maggiore frequenza la formazione di aneurismi coronarici. Inoltre, come implicazione pratica, sembra essere al momento ragionevole, come la stessa analisi per sottogruppi del trial del NEJM ed altri lavori sembrano dimostrare, prevedere l’uso dello steroide nei casi che non hanno risposto alla prima dose di immunoglobuline (in associazione con un ripetuto bolo delle stesse); resta da definire se i bambini con condizioni di rischio per la comparsa di aneurismi possono avere un beneficio aggiuntivo dall’uso dello steroide (somministrato da subito), sempre in associazione alle immunoglobuline. Al momento questa ipotesi sembra essere ragionevole, ma ancora da dimostrare in futuri studi clinici controllati.


Contenuto gentilmente concesso da: Associazione Culturale Pediatri (ACP) - Centro per la Salute del Bambino/ONLUS CSB - Servizio di Epidemiologia, Direzione Scientifica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste; tratto da: Newsletter pediatrica. Bollettino bimestrale- Febbario-Marzo 2007.

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