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L’idrocortisone non è raccomandato nello shock settico
Inserito il 17 settembre 2008 da admin. - infettivologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L’idrocortisone non può essere raccomandato nella terapia dello shock settico, e il test alla corticotropina non può essere considerato predittivo della risposta farmacologica.

L’idrocortisone è usato nello shock settico, anche se un effetto positivo sulla sopravvivenza è stato riscontrato solo nei pazienti che rimangono ipotesi dopo infusione di liquidi e vasopressori e per i quali i livelli plasmatici di cortisolo non aumentano in maniera adeguata dopo la somministrazione di corticotropina (aumento del cortisolo totale nel plasma <9 ?g/dl [248 nmol/l]). In questi pazienti, una migliore risposta pressoria alla noradrenalina ed una riduzione della mortalità sono state rilevate a dosi di 200-300 mg/die di idrocortisone iv, dosi che vengono definite “fisiologiche” (Finfer S, N Engl J Med 2008; 358: 188-90).
Il Corticosteroid Therapy of Septic Shock Study (CORTICUS), multicentrico, randomizzato, in doppio cIeco, contro placebo, ha coinvolto 52 Unità di Terapia Intensiva (ICU), di cui due italiane, tra marzo 2002 e novembre 2005, ed ha valutato l’efficacia e la sicurezza di basse dosi di idrocortisone in un’ampia popolazione di pazienti, in particolare in coloro che rispondevano alla corticotropina, nei quali il beneficio dell’idrocortisone non era stato documentato.
Criteri di inclusione sono stati: insorgenza dello shock (pressione sistolica <90 mmHg nonostante la somministrazione di liquidi e vasopressori per almeno un’ora) nelle 72 ore precedenti, ipoperfusione o disfunzione d’organo attribuibili alla sepsi. Sono stati esclusi pazienti con un’aspettativa di vita <24 ore, immunodepressi, che avevano ricevuto un trattamento con corticosteroidi a lungo termine, negli ultimi 6 mesi, o a breve termine, nelle ultime 4 settimane.
Degli 800 pazienti programmati, ne sono stati arruolati solo 499 (età media 63 ± 14,5) a causa del lento reclutamento, l’esaurimento dei fondi e delle scorte del farmaco.
I pazienti sono stati randomizzati in rapporto 1:1 a ricevere 50 mg di idrocortisone iv (n=251) o placebo (n=248) ogni 6 ore per 5 giorni, quindi ogni 12 ore dal giorno 6 al giorno 8, infine ogni 24 ore dal giorno 9 al giorno 11, per un totale di 29 dosi.
L’end point primario è stato il tasso di mortalità a 28 giorni (periodo di follow-up) in pazienti che non avevano risposto alla corticotropina. Gli end point secondari sono stati: il tasso di mortalità in pazienti che avevano risposto alla corticotropina a 28 giorni, e in tutti i pazienti ad 1 anno dalla randomizzazione; reversione del danno d’organo (definito con un punteggio di 3 o 4 in accordo al Sequential Organ Failure Assessment [SOFA]); e la durata di ricovero nell’IUC.
La sicurezza è stata valutata registrando gli eventi avversi, in particolare: superinfezione (nuova infezione insorta dopo 48 ore o più ore dall’inizio del trattamento), sanguinamento gastrointestinale, iperglicemia, ipernatriemia, debolezza muscolare, stroke, infarto miocardico acuto, ischemia periferica.
233 pazienti (46,7%), di cui 125 nel gruppo idrocortisone e 108 nel gruppo placebo, non hanno risposto alla corticotropina. Al giorno 28, non risultavano differenze significative nella mortalità tra i pazienti dei due gruppi di trattamento che non avevano risposto alla corticotropina (39,2% idrocortisone vs 36,1% placebo; p=0,69). La percentuale di mortalità risultava simile anche nei pazienti responsivi alla corticotropina (28,8% idrocortisone vs 28,7% placebo; p=1,00). 86 pazienti nel gruppo idrocortisone (34,3%) e 78 nel gruppo placebo (31,5%) sono morti (p=0,51).
Il gruppo idrocortisone presentava una più rapida reversione dello shock rispetto al gruppo placebo; tuttavia, nei pazienti trattati con idrocortisone si riscontrava una maggiore incidenza di superinfezioni (OR combinato 1,37, 95% CI 1,05-1,79).
L’idrocortisone non riduce la mortalità in pazienti con shock settico, anche se accelera la reversione dello shock. Questo potrebbe essere dovuto ad un aumento dell’incidenza di superinfezioni e di nuovi episodi settici. Non è stato registrato alcun beneficio in pazienti che non hanno risposto alla corticotropina.

Gli autori concludono che l’idrocortisone non può essere raccomandato nella terapia dello shock settico, e il test alla corticotropina non può essere considerato predittivo della risposta farmacologica. L’idrocortisone potrebbe comunque avere un ruolo in quei pazienti trattati tempestivamente dopo l’insorgenza dello shock settico e che rimangono ipotesi nonostante la somministrazione di alte dosi di un vasopressore.


Fonte: N Engl J Med 2008; 358: 111-24.

Commento

S. Finfer, nell’editoriale di accompagnamento, giudica il CORTICUS uno studio valido, ma non in grado di definire il ruolo terapeutico dei corticosteroidi nello shock settico.
Lo studio, si colloca nel contesto di linee guida sull’uso dei corticosteroidi a dosaggi cosiddetti “fisiologici” in pazienti con ridotta risposta alla corticotropina, emanate sulla base di pochi trial, raccolti in una metanalisi (Annane et al., BMJ 2004, 329: 480-8) che ha coinvolto 464 pazienti. Le linee guida si basano essenzialmente su un lavoro condotto dallo stesso autore della metanalisi (Annane et al. JAMA 2002, 288: 862-71), in cui la riduzione del tasso di mortalità in pazienti “non responders” alla corticotropina e trattati con idrocortisone, viene evidenziata solo dopo aggiustamenti statistici.
Rispetto agli studi precedenti, il CORTICUS ha come punto di forza un numero di pazienti arruolati (n= 499) che, sebbene inferiore a quello prestabilito, è stato di entità comparabile a quello della metanalisi, risultando così, il più ampio studio sull’uso di corticosteroidi nel trattamento dello shock settico.
L’editorialista sottolinea che il minor numero di morti nel gruppo controllo rispetto a quello atteso, e l’interruzione precoce, conferiscono allo studio una potenza di meno del 35% per rilevare una riduzione del 20% del rischio relativo di morte. Pertanto, il CORTICUS presenta una potenza insufficiente a rilevare importanti effetti della terapia.
Una metanalisi che combinasse i risultati del CORTICUS con quelli degli studi precedenti, probabilmente non sarebbe in grado di supportare l’uso dei corticosteroidi nel trattamento dello shock settico; inoltre, emergerebbe che il test alla corticotropina non avrebbe valore predittivo della risposta alla terapia corticosteroidea.

Finfer conclude che tre sono le indicazioni del CORTICUS, e degli studi precedenti:
-per il medico, la più rapida reversione dello shock nei pazienti trattati con corticosteroidi, può portare ad una rapida sospensione dei vasopressori, ma non è predittiva di un miglioramento della sopravvivenza
-per i ricercatori, l’incertezza sull’uso dei corticosteroidi nello shok settico rimane; è necessario aumentare significativamente il numero di pazienti arruolati per ottenere risultati consistenti
-per la stesura delle linee guida, piccoli trial o metanalisi possono essere fuorvianti sia a causa di errori casuali che sistematici dovuti ad es. a limitazioni metodologiche degli studi più datati.

Referenze

N Engl J Med 2008; 358: 188-90

Dottoressa Araianna Carolina Rosa

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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