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Rituximab efficace nei pazienti con artrite reumatoide in fase attiva
Inserito il 19 settembre 2008 da admin. - reumatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In pazienti affetti da AR in fase attiva, cicli ripetuti di rituximab producono una risposta clinica sostenuta senza la comparsa di effetti avversi nuovi rispetto a quelli già noti

Le cellule B sono ritenute un valido bersaglio per la terapia dell’artrite reumatoide (AR). Rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico che lega l’antigene CD20 sulla superficie delle cellule pre-B e delle cellule B. Il legame dell’anticorpo a CD20 attiva eventi di citotossicità cellulo- e complemento-mediata e promuove l’apoptosi delle cellule che espongono questo antigene; la somministrazione di rituximab produce, di conseguenza, una graduale e reversibile deplezione dei linfociti B periferici senza compromettere direttamente la generazione di queste cellule da parte del midollo osseo.
L’efficacia e la sicurezza di singoli cicli di rituximab sono state valutate in studi precedenti (Edwards et al. NEJM 2004, 350: 2572-81; Edwards et al. Rheumatology 2001, 40: 205-11; Emery et al., Arthritis Rheum 2006, 54: 1390-400; Cohn et al., Arthritis Rheum 2006, 54: 2793-806). Poiché l’AR è una malattia cronica, il trattamento farmacologico che ha come bersaglio le cellule B deve essere mantenuto nel tempo per ottenere un controllo continuativo della malattia. Da qui, l’importanza di valutare il rapporto beneficio/rischio di un trattamento ripetuto con rituximab.
Lo scopo dello studio di Keystone et al. è stato determinare l’efficacia e la sicurezza di cicli addizionali di rituximab in pazienti affetti da AR in fase attiva e già trattati con il farmaco.
Lo studio in aperto estende nel tempo i dati raccolti da 1039 pazienti, che hanno ricevuto singoli cicli di rituximab durante trial di fase IIa/IIb e III e che sono stati poi sottoposti ad ulteriori cicli di somministrazione dell’anticorpo. Ogni ciclo di rituximab consiste nell’infusione endovenosa di 1000 mg di rituximab nei giorni 1 e 15, dopo premedicazione con 100 mg ev di metilprednisolone assieme ad un breve ciclo di glucocorticoidi per os (60 mg/die dal secondo al settimo giorno e 30 mg/die dall’ottavo al tredicesimo giorno). I pazienti erano eleggibili per un successivo trattamento in base all’entità della risposta e se in presenza di malattia ancora in fase attiva. L’intervallo di tempo minimo tra due cicli era di 16 settimane. E’ stata consentita una terapia con FANS e i pazienti hanno ricevuto una terapia di base con metotrexato (10-25 mg/settimana).
L’efficacia è stata valutata 24 settimane dopo ogni ciclo, utilizzando i criteri dell’American Collage of Rheumatology (ACR20, ACR50 e ACR70), quelli del European League Against Rheumatism (EULAR), quelli del Disease Activity Score in 28 joints (DAS28), le variazioni dell’indice di disabilità secondo Health Assessment Questionnaire, e i parametri del Medical Outcome Study Short Form 36 scores. I risultati sono stati stratificati sulla base della precedente esposizione ad inibitori del TNFa. La sicurezza è stata valutata registrando la comparsa degli eventi avversi (in accordo al Common Terminology Criteria for Adverse Events, version 3), la comparsa di infezioni, la comparsa di anticorpi anti-chimerici, la riduzione nel livelli serici di IgG, IgM e IgA, e le cinetiche delle cellule B.
Al momento dell’arruolamento l’età media dei pazienti era 51,9 ± 11,9 anni, 80% erano donne e la durata media di malattia era 10,8 ± 7,9 anni. 570 pazienti hanno ricevuto almeno 2 cicli, 191 hanno ricevuto 3 cicli, 40 pazienti hanno ricevuto 4 cicli e 3 pazienti hanno ricevuto 5 cicli di rituximab. Il follow up della maggior parte dei pazienti (839) è stato superiore ad un anno.
Nei 254 pazienti che hanno ricevuto almeno 2 cicli, con un periodo di follow up fino a 24 settimane, la percentuale che ha raggiunto l’ACR20 (72%) è stata paragonabile a quella misurata dopo il primo ciclo (65%), indipendentente dal precedente uso di inibitori del TNF?. Anche le risposte ACR50 e ACR70 sono state paragonabili nei due gruppi, e non correlate all’uso di inibitori di TNFa. La percentuale di pazienti che ha mostrato una risposta moderata/buona (EULAR) è risultata superiore dopo il secondo ciclo (88%) rispetto al primo (79%), mentre la percentuale di pazienti in remissione (EULAR) è stata il doppio nei pazienti che hanno ricevuto 2 cicli rispetto ai pazienti che hanno ricevuto un solo ciclo (13% vs 6%).
Il punteggio DAS28 è stato valutato in pazienti che hanno ricevuto fino a 3 cicli di terapia. Il punteggio DAS28 è diminuito, rispetto al valore basale, in seguito alla somministrazioni di rituximab; questi cambiamenti sono stati mantenuti fino a 24 settimane dal primo, dal secondo o dal terzo ciclo, il tutto indipendentemente dall’assunzione di inibitori di TNFa.
I drop-out per eventi avversi sono stati complessivamente del 4% (38/1039): 3% (29/1039) dopo il primo ciclo e 2% (9/570) dopo il secondo ciclo.
Gli eventi avversi che hanno causato l’abbandono sono stati associati all’infusione (33%) e all’aggravamento della malattia (20%). Gli eventi avversi più comuni sono stati quelli acuti, lievi-moderati, associati all’infusione, che si sono attenuati con il proseguimento della terapia. Il tasso di infezioni gravi dopo il primo ciclo (5,1/100 anni-paziente) è rimasto stabile dopo i successivi cicli. La percentuale di pazienti con livelli di IgM e IgG <0.5 g/L (stabilito come limite inferiore normale; LLN) è aumentata con il ripetersi dei cicli di rituximab; ciò nonostante il numero di infezioni gravi nei pazienti con bassi livelli di IgM o IgG è risultato paragonabile a quello dei pazienti con un livello anticorpale superiore ad LLN. I pazienti con anticorpi antichimerici (9.2%) non hanno mostrato un decremento della risposta al trattamento e non hanno presentato problemi aggiuntivi di sicurezza.

Lo studio descritto aggiunge nuovi dati sull’efficacia e sulla sicurezza di rituximab come terapia dell’AR. I dati presentati dimostrano che, in pazienti affetti da AR in fase attiva, cicli ripetuti di rituximab producono una risposta clinica sostenuta senza la comparsa di effetti avversi nuovi rispetto a quelli già noti.


Fonte: Arthritis Rheum 2007; 56: 3896-908

Dottor Gianluca Miglio

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/


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