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Risperidone ed aloperidolo uguali a placebo nella disabilità intellettiva con aggressività
Inserito il 25 settembre 2008 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Aloperidolo o risperidone, anche a basse dosi, non differiscono dal placebo nel controllo del comportamento aggressivo di sfida in pazienti con disabilità intellettiva.

Le persone con disabilità intellettiva spesso mostrano una scarsa resistenza nei confronti delle avversità ed una limitata capacità nell’affrontare gli stress, rispondendo a tali eventi con l’aggressività e con comportamenti correlati di sfida, che si presentano con una prevalenza variabile tra il 16 ed il 50% dei casi. E’ abitudine comune trattare questa aggressività con farmaci antipsicotici, nonostante non esista alcuna evidenza esplicita sull’uso di tali farmaci in questi pazienti. A tal proposito, il trial clinico NACHBID (Neuroleptics for Aggressive Challenging Behaviour in Intellectual Disability), i cui risultati sono presentati in questo articolo, si propone di confrontare l’efficacia terapeutica di due antipsicotici, aloperidolo (tipico) e risperidone (atipico), con placebo in soggetti affetti da disabilità intellettiva che abbiano mostrato questo tipo di comportamento.
Si tratta di un trial randomizzato in tre gruppi paralleli e in doppio cieco, della durata di 12 settimane, con la possibilità di prolungamento fino a 26 settimane. Obiettivo primario è dimostrare che in pazienti non psicotici, con disabilità intellettiva e comportamento aggressivo di sfida, il trattamento con aloperidolo, risperidone o placebo non presenta una diversa efficacia terapeutica nella riduzione dell’aggressività nelle prime 4 settimane di somministrazione. Obiettivo secondario è dimostrare che anche a 12 e a 26 settimane di somministrazione i tre trattamenti non differiscono tra loro per l’effetto nei confronti dell’aggressività, così come a 4, 12 e 26 settimane di trattamento si possono osservare gli stessi effetti sul comportamento, sulla qualità della vita, sul generale miglioramento, gli stessi effetti collaterali e lo stesso effetto sugli operatori che si prendono cura di queste persone.
Nel periodo novembre 2002-agosto 2007 sono stati reclutati soggetti residenti in comunità terapeutiche (eccetto un paziente che era ospedalizzato), con quoziente intellettivo <75, che abbiano assunto farmaci antipsicotici in passato, ma non nel periodo compreso tra tre mesi e una settimana prima dell’inizio del trial; la diagnosi di psicosi rappresenta un criterio di esclusione, il disordine autistico invece non è considerato tale.
La stima del comportamento aggressivo è stata effettuata con la scala modificata per l’aggressività (Modified Overt Aggression Scale, MOAS) e sono stati considerati reclutabili coloro che negli ultimi 7 giorni avevano manifestato almeno due episodi di comportamento aggressivo con un punteggio MOAS >4. Altre scale (la scala Clinical Global Impression -CGI, l’Aberrant Behaviour Check List -ABC, il questionario sulla qualità della vita, la scala Uplift, e la scala Burden, che valutano gli effetti del comportamento dei pazienti sugli operatori, e la scala Udvald for kliniske Undersogelser – UKU, che valuta gli effetti del trattamento farmacologico sulla comparsa degli effetti extrapiramidali e di altri effetti collaterali) sono state impiegate per la valutazione dei criteri rappresentativi del secondo obiettivo.
Una particolare attenzione è stata posta nella scelta del dosaggio dei farmaci in esame.
Dei 180 partecipanti eleggibili, reclutati dietro segnalazione di 22 diversi medici sia in Gran Bretagna che in Australia, ne sono stati randomizzati 86: 29 in trattamento con risperidone, 28 con aloperidolo e 29 con placebo.
Le dosi stabilite dal protocollo erano: 1 mg/die di risperidone e 2,5 mg/die di aloperidolo con la possibilità, nelle prime 4 settimane, di incrementarle dove necessario fino a 2 mg/die di risperidone e 5 mg/die di aloperidolo; la dose scelta è stata poi mantenuta per altre 8 settimane, con la possibilità di continuare il trattamento fino a 6 mesi.
Alcuni medici però, per timore della maggiore predisposizione dei soggetti con disabilità intellettiva ad eventi avversi, hanno preferito iniziare lo studio con dosi di farmaco inferiori (0,5 mg/die di risperidone o 1,25 mg/die di aloperidolo); il protocollo è stato quindi modificato. Dosi >2 mg/die di risperidone e 5 mg/die di aloperidolo sono state consentite in casi eccezionali, così come la somministrazione di lorazepam (2 mg/die) in caso di emergenza.
E’ stata eseguita una valutazione con le scale descrtite al momento del reclutamento, a 4, 12 e 26 settimane di trattamento; la scala MOAS è stato inoltre valutata settimanalmente, contattando i soggetti telefonicamente.
I dati sono stati elaborati mediante analisi statistiche che comprendevano un’analisi univariata e una multivariata svolta tramite regressione logistica.
I soggetti randomizzati presentavano le seguenti caratteristiche al basale, uguali nei tre gruppi: per la maggioranza uomini, di età compresa tra i 37 e i 43 anni, con una disabilità intellettiva di grado lieve o moderato, tra cui 11 autistici.
I risultati dello studio sono i seguenti:
- 5 pazienti hanno interrotto il trial prima della 4^settimana, 19 l’hanno interrotto tra la 4^ e la 12^settimana e 12 tra la 12^ e la 26^ settimana; 61 pazienti hanno completato il follow-up alla 12^settimana e 49 alla 26^ settimana. La compliance alla terapia è stata dell’80%.
- Sono stati segnalati solo 3 eventi avversi gravi: una crisi epilettica in un soggetto con anamnesi di epilessia, dopo 8 settimane di terapia con aloperidolo alla dose di 2,5-5 mg/die; problemi respiratori di tipo anafilattico in un soggetto alla prima settimana di terapia con aloperidolo alla dose di 2,5 mg/die; cefalea e agitazione in un soggetto dopo 5 settimane di terapia con risperidone alla dose di 1-2 mg/die.
- L’analisi della scala MOAS, alla quarta settimana, mostra una riduzione dell’aggressività in tutti 3 i gruppi di trattamento; la riduzione maggiore si evidenza però nel gruppo dei soggetti in terapia con placebo, 79% rispetto al basale, mentre per il gruppo risperidone era del 58% e del 65% nel gruppo aloperidolo. In particolare, i 3 trattamenti sono stati ugualmente efficaci nei confronti del comportamento aggressivo alla prima settimana, ma tra la 2^ e la 4^ settimana di terapia emerge il maggiore impatto terapeutico del placebo. Le scale utili per l’analisi dell’obiettivo secondario non mostrano diversità nei tre trattamenti in tutte le settimane.

Alla luce dei risultati ottenuti gli autori concludono che, dopo 4 settimane di terapia, i 3 trattamenti presi in esame sono efficaci nella riduzione dell’aggressività, ma la maggiore efficacia è stata dimostrata dal placebo.
I farmaci antipsicotici sia tipici che atipici, quindi, anche a basse dosi, non dovrebbero essere impiegati in questi soggetti.
I 3 interventi presentano, inoltre, gli stessi effetti se raffrontati in termini di comportamento anormale, qualità della vita, generale miglioramento ed effetti collaterali.


Commento

Le conclusioni presentate differiscono da quelle di altri studi svolti da Van den Borre et al. (Acta Psychiat Scand 1993; 87: 167) e da Gagiano et al. (Psychopharmacol 2005; 179: 629), giunti a sottolineare la maggiore efficacia del risperidone (a dosi sovrapponibili o maggiori) in soggetti con disabilità intellettiva e aggressività, che presentavano, tuttavia un disegno del trial e delle scale di valutazione diverse.
Questo lavoro è accompagnato da un editoriale di Matson e Wilkins, che commentano in modo positivo i risultati del trial, nell’ottica di un’urgente definizione dell’approccio terapeutico del comportamento aggressivo nella disabilità intellettiva.
Nonostante gli autori rilevino il ristretto numero dei partecipanti allo studio, l’editoriale non giudica esiguo il gruppo preso in esame, rilevando piuttosto che si tratta di dati internazionali elaborati con un metodo sofisticato ed accurato, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle dosi di farmaci.
La conclusione è che gli antipsicotici, sebbene possano essere impiegati nel trattamento di alcuni aspetti del disturbo comportamentale inerente alla disabilità intellettiva (per esempio in bambini autistici o in emergenza) non dovrebbero più essere considerati come farmaci di routine in soggetti intellettivamente disabili che manifestino comportamenti aggressivi. Tuttavia, in molte comunità, si preferisce utilizzare questi farmaci, in quanto gli operatori presenti spesso non hanno una preparazione sufficiente per gestire i comportamenti aggressivi di questi pazienti.

Referenze

1)Lancet 2008; 371: 57-63.
2) Lancet 2008; 371: 9-10.

Dottoresse Francesca Parini e Sandra Sigala

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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