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Sicurezza dei farmaci nelle donne in gravidanza
Inserito il 25 settembre 2008 da admin. - ostetricia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In USA oltre il 60% delle donne gravide assume uno o più farmaci, ma mancano dati relativi alla sicurezza.

Uno studio statunitense di ampie dimensioni ha stimato che il 64% delle donne in gravidanza riceve la prescrizione di uno o più farmaci (vitamine e minerali esclusi). In parte ciò è dovuto ad un’esposizione non intenzionale ai farmaci (circa la metà delle gravidanze non sono programmate). D’altra parte, può essere comune e necessaria anche un’esposizione intenzionale ad un trattamento farmacologico per patologie acute o croniche come ipertensione, depressione, asma.
Sfortunatamente, le evidenze che dovrebbero guidare la decisione di trattare o meno una donna in gravidanza spesso mancano: i dati provenienti da studi preclinici di tossicità riproduttiva sugli animali, richiesti per l’autorizzazione della maggior parte dei farmaci, non sono completamente predittivi per l’uomo e i trial clinici randomizzati non possono essere accettabili dal punto di vista etico.
In seguito alla commercializzazione di un farmaco, alle ditte produttrici viene richiesto solo di raccogliere i dati sugli esiti delle gravidanze (i noti case report), un sistema ritenuto incompleto e di difficile interpretazione. La conduzione di studi osservazionali che possano fornire delle informazioni sugli esiti delle gravidanze in donne esposte ad una terapia farmacologica, vengono condotti, non sistematicamente, solo su un numero esiguo di farmaci, da singoli ricercatori o su mandato delle Agenzie regolatorie.
Come risultato, sono disponibili dati insufficienti sulla sicurezza in gravidanza relativi ad oltre l’80% dei 468 nuovi farmaci commercializzati negli USA negli ultimi 20 anni e ciò riflette la mancanza di una metodologia sistematica nella conduzione di studi in questo target di popolazione.

Negli anni ’90, sebbene parecchi studi di piccole dimensioni sull’impiego degli SSRI nel primo trimestre di gravidanza non avessero rilevato un aumento rilevante del rischio teratogeno complessivo, le dimensioni del campione erano insufficienti per potere escludere esiti comunemente evidenziati come difetti cardiaci, del tubo neurale o palotoschisi. Solo di recente, alcuni studi in cui è stata inclusa una popolazione più ampia hanno rilevato un piccolo ma significativo aumento del rischio di difetti strutturali maggiori e di altri rari outcome. Questo livello di informazione, tuttavia, è stato ottenuto solo dopo 20 anni dalla commercializzazione del primo esponente degli SSRI, una delle classi terapeutiche maggiormente impiegate in USA.

La quantificazione del rischio evidence-based, inoltre, richiede la capacità di comprendere i limiti dei dati disponibili: non sempre la formazione dei clinici è idonea a valutare criticamente i dati di tossicità riproduttiva in modo da applicarli alla pratica clinica, nella quale viene seguito quanto riportato sui foglietti illustrativi dei prodotti medicinali (categorie di rischio teratogeno dell’FDA). Nonostante le classificazione dell’FDA sia di facile fruizione, è stata criticata per l’incapacità di distinguere gli esiti avversi in funzione della gravità, della dose e della frequenza della somministrazione, della fase della gravidanza o dell’indicazione terapeutica. Per esempio, sia la doxiciclina che l’acido valproico rientrano nella categoria D. La doxiciclina è associata a discromia dentale mentre l’acido valproico è correlato ad un’elevata incidenza di difetti maggiori specifici come la spina bifida. Appare chiaro che sebbene inclusi nella medesima categoria FDA la severità degli esiti è molto differente.

D’altra parte, per farmaci altamente teratogeni come l’isotretinoina, la comunicazione del rischio è stata molto efficace: l’uso appropriato di metodi contraccettivi o l’astinenza, con l’obiettivo di evitare le gravidanze esposte al farmaco.
Sono necessarie, comunque, altre ricerche mirate ad identificare i migliori metodi di comunicazione per tutte le situazioni, a diversi livelli di rischio (alto, basso o incerto).

Per ottenere il più presto possibile delle informazioni adeguate sulla sicurezza dei farmaci di nuova commercializzazione uno dei metodi è l’istituzione di registri delle gravidanze, il cui numero è in crescita e segue standard maggiormente rigorosi. Tuttavia, questi strumenti non vengono richiesti per tutte le nuove molecole e da soli non possono fornire delle informazioni sufficienti a stabilire il rischio teratogeno con appropriati intervalli di confidenza.

Fonte: Clin Pharmacol Ther. 2008; 83:181-3.

Dottor Federico Casale

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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