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Manca lo stretto controllo iniziale indicato da FDA con gli antidepressivi
Inserito il 29 settembre 2008 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

L'uso di antidepressivi, specie in età pediatrica, è stato associato ad un aumento del rischio di suicidio, ma i medici non hanno aumentato il numero delle visite all'inizio della terapia come invece è raccomandato da FDA.

Due tra le principali riviste scientifiche internazionali, l’American Journal of Psychiatry e il New England Journal of Medicine, in queste ultime settimane hanno pubblicato articoli rilevanti su un tema di estrema attualità e cioè la prescrizione di farmaci antidepressivi ed il rischio di suicidio.
Questi lavori sono nati anche in seguito agli “alert” della FDA, pubblicati a partire dal 2005, in relazione alle segnalazioni dell’aumentato rischio di comportamento e pensieri suicidari nei pazienti pediatrici trattati con gli antidepressivi, indipendentemente dalla classe.
L’FDA aveva allora cominciato a predisporre una revisione dei risultati di 295 singoli trial clinici sull’efficacia e la sicurezza di diversi antidepressivi che coinvolgevano oltre 77000 pazienti adulti con diagnosi di disordine depressivo maggiore e di altri disturbi psichiatrici. I risultati di questa nuova valutazione hanno indotto, lo scorso anno, la FDA ad invitare le ditte produttrici di farmaci antidepressivi a modificare il primo “black box warning” estendendo la valutazione del rischio anche ai giovani adulti, di età compresa tra i 18 ed i 24 anni.
La FDA non invitava a sospendere il trattamento nei pazienti pediatrici con diagnosi di disordine depressivo maggiore, ma sollecitava il medico (di famiglia, pediatra e/o psichiatra) a monitorare l’andamento della terapia e lo stato del paziente, soprattutto nei primi 3 mesi. Veniva, infatti, fornito un protocollo specifico, con visite settimanali durante il primo mese, quindicinali durante il secondo e poi una visita al terzo mese, insieme alla raccomandazione di seguire da vicino tutti i pazienti trattati, soprattutto in caso di modificazioni della terapia.
Come queste raccomandazioni della FDA siano state accolte dai medici americani è l’oggetto dello studio pubblicato su Am J Psychiatry, di coorte retrospettivo, che ha coinvolto sia pazienti pediatrici (n=27370) che adulti (n=193151), che nel periodo ottobre 1998-marzo 2005 hanno ricevuto una diagnosi di disordine depressivo maggiore, di psicosi affettiva o di disturbi nevrotici secondo l’ICD-9-CM (International Classification of Diseases, 9th revision, Clinical Modification)*. I soggetti ricevevano un trattamento con antidepressivi (senza specificare di quale classe) entro il primo mese dalla diagnosi.
Sono stati utilizzati i dati forniti da un database integrato di tipo amministrativo che copriva un periodo di circa un anno e mezzo dopo il primo “alert” della FDA.
Per misurare il monitoraggio dei pazienti sono stati utilizzati due standard: il protocollo suggerito dalla FDA su ricordato e gli indicatori di qualità del trattamento con antidepressivi del Health Plan Employer Data and Information Set (HEDIS)**.
I dati di tutte e tre le fasi, sia per quanto riguarda il protocollo HEDIS che per le raccomandazioni dell’FDA sono raccolti nella Overall adherence.

I dati riguardano pazienti seguiti indifferentemente dal medico di medicina generale, dal pediatra, dallo psichiatra o da altri operatori della sanità in ambito psichiatrico. Gli autori osservano che prima del warning dell’FDA, il 60% dei pazienti pediatrici e il 40% degli adulti hanno ricevuto un trattamento ottimale secondo l’HEDIS nella prima fase della patologia, circa il 50-60% ha ricevuto un buon trattamento durante la fase in acuto, mentre solo il 30-40% ha ricevuto un buon controllo nella fase cronica.
Solo il 21% dei pazienti pediatrici e il 16% degli adulti hanno ricevuto il trattamento consigliato da questo protocollo per tutti e 3 i mesi. Successivamente alle raccomandazioni della FDA, le percentuali dei diversi criteri del protocollo HEDIS sia per quanto riguarda i pazienti pediatrici che adulti non hanno subito modificazioni significative.
La tabella sotto riportata evidenzia le percentuali dei pazienti per i quali era seguito il protocollo consigliato dalla FDA prima del “black boxed warning”:


Prima del “black boxed warning” FDA

4 visite nel primo mese: pediatrici < 10% adulti < 10%
2 visite nel secondo mese: pediatrici < 20% adulti ˜10%
1 visita nel terzo mese: pediatrici 30-40% adulti ˜ 30%
tutte e tre le fasi: pediatrici < 5% adulti < 5%


Gli autori riportano che queste percentuali non si sono modificate in modo significativo dopo le raccomandazioni della FDA, indipendentemente dallo specialista che ha prescritto i farmaci
L’analisi riporta che la prima fase del protocollo HEDIS è stata seguita dall’80% dei pazienti pediatrici visitati da uno psichiatra, percentuale significativamente più elevata rispetto all’aderenza ai criteri HEDIS nel caso il paziente pediatrico sia stato visitato da un pediatra (60%) o da un medico di medicina generale (54%).
Per quanto riguarda gli adulti, questa prima fase è stata correttamente seguita dal 65% dei pazienti in cura da uno psichiatra e dal 37% dei pazienti seguiti dal medico di medicina generale.

Le conclusioni degli autori sono quindi che, nonostante le raccomandazioni e l’algoritmo suggerito dall’FDA per i primi mesi di trattamento con antidepressivi, soprattutto nei pazienti pediatrici, la frequenza delle visite da parte degli operatori sanitari non è aumentata.


Gli autori discutono, peraltro, anche alcuni limiti del loro studio, dovuti, per esempio, al database utilizzato per l’analisi, di tipo amministrativo (riporta le richieste di rimborso per visite o per prescrizioni mediche) che non ha potuto fornire nessuna informazione sulla qualità e sulle modalità del contatto medico-paziente. Inoltre, la confusione e l’allarme generati dopo le prime raccomandazioni della FDA potrebbero aver indotto i medici a ridurre il numero di diagnosi di depressione e il trattamento farmacologico (come è stato ipotizzato da alcuni: Am J Psychiatry 2007; 164: 884-91; Am J Psychiatry 2007; 164: 1198-205).


*L’ICD-9-CM è un manuale che riporta in modo sistematico la nomenclatura delle diagnosi, dei traumatismi, degli interventi chirurgici e delle procedure diagnostiche e terapeutiche. A ciascun termine è associato un codice numerico o alfa-numerico.
** La procedura HEDIS è abbastanza complessa ed è stata divisa in 3 fasi diverse:
Optimal practitioner contacts: la percentuale di nuovi episodi depressivi con la prescrizione di antidepressivi per i quali il paziente ha effettuato 3 o più visite (intese anche come colloquio telefonico) nei primi 84 giorni dopo la diagnosi.
Effective acute phase treatment: la percentuale di nuovi episodi depressivi con prescrizioni di antidepressivi utilizzabili per 84 dei 114 giorni successivi alla prima prescrizione.
Effective continuation phase treatment: come la fase precedente, però il paziente ha avuto prescrizioni di antidepressivi per almeno 180 giorni durante i 214 giorni successivi alla prima prescrizione.

Commento

Quasi contemporaneamente a questo articolo, sul N Eng J Med sono stati pubblicati i risultati di un’analisi dei dati provenienti da diversi trial clinici depositati e revisionati dalla FDA (su 12 farmaci antidepressivi approvati in USA nel periodo 1998-2004) e di una revisione mirata ad identificare nella letteratura pubblicata i corrispondenti articoli inclusi nella valutazione dell’Agenzia statunitense.
L’analisi riguarda 74 trial clinici randomizzati (RCT) di fase II e III, su un totale di 12.564 pazienti, in doppio cieco, controllati vs placebo per il trattamento a breve termine della depressione, oggetto di revisione da parte della FDA. Per quanto riguarda la revisione dei corrispondenti studi in letteratura sono state utilizzate sia note fonti di ricerca (PubMed, Cochrane Central register of Controlled Trials) sia il contatto diretto con gli sponsor dei diversi trial.
Su un totale di 74 studi registrati all’FDA, il 31% (n=3449 pazienti) non è mai stato pubblicato. 37 studi, il cui esito è stato valutato come positivo dall’FDA, erano stati, invece, pubblicati.
Gli studi giudicati sfavorevoli dall’FDA o i cui esiti erano controversi, tranne 3 eccezioni, non sono stati pubblicati (22 studi) o pubblicati con modalità tali da fare sembrare positivi i risultati (11 studi). Tra questi 11 studi, il mancato raggiungimento di risultati significativi per l’end point primario o non veniva riportato affatto (9 articoli) oppure lo stesso obiettivo che nel trial era definito primario, diventava secondario (2 articoli).
Considerando solo quanto pubblicato in letteratura, il 94% dei trial riportava esiti considerati positivi dagli autori rispetto ad una percentuale nettamente inferiore, 51%, rilevata nell’analisi dell’FDA.

Questa differenza risulta significativa sia nell’analisi rispetto al singolo farmaco che sul totale degli studi. La differenza dell’entità dell’effetto tra le revisione dell’FDA e gli articoli pubblicati variava secondo un range del 11%-69% (valore mediano 32%).

Si riporta quanto dichiarato dagli autori nella discussione: “Abbiamo trovato un errore sistematico (bias) nei confronti delle pubblicazioni con risultati positivi. Non solo è più facile che vengano pubblicati i risultati positivi, ma, studi che non sono positivi, secondo noi, sono spesso pubblicati in modo tale da indurre ad un giudizio favorevole. [...] Alterando l’apparente rischio-beneficio dei farmaci, alcune pubblicazioni possono indurre i medici a prendere una decisione prescrittiva inappropriata, che potrebbe non rappresentare il migliore interesse per i loro pazienti e quindi per la salute pubblica”.
Analizzando i dati sia come percentuale dei trial con esito positivo sia come entità dell’effetto associato al farmaco, gli autori sottolineano che l’efficacia del farmaco è minore rispetto a quanto si desume dagli articoli pubblicati: analizzando le pubblicazioni, infatti, sembra che tutti i trial condotti abbiano avuto esito positivo, mentre, secondo la revisione degli stessi dati da parte della FDA, questo è stato osservato solo in circa la metà degli studi.

Gli autori della revisione del N Engl J Med, evidenziano che non è possibile sapere quali sono le ragioni sottese al pubblication bias degli studi con esito negativo, se cioè si è trattato del mancato invio del manoscritto alla rivista da parte degli autori e degli sponsor oppure di una decisione degli editor o dei referee o per entrambi questi fattori.

Dottoressa Sandra Sigala

Riferimenti bibliografici

1) Morrato EH et al. Frequency of provider contact after FDA advisory on risk of pediatric suicidality with SSRIs. Am J Psychiatry 2008; 165: 42-50.
2) Turner EH et al. Selective publication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy. N Eng J Med 2008; 358: 252-60.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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