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Venlafaxina o fluoxetina ugualmente efficaci nella depressione maggiore
Inserito il 05 ottobre 2008 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Venlafaxina e fluoxetina influenzano in maniera sovrapponibile il tempo di riospedalizzazione in pazienti con disturbo depressivo maggiore.

Studi precedenti (Br J Psychiatry 2001;178: 234-1. Int Clin Psychopharmacol 2005; 20: 233-8. Br J Psychiatry 2002; 180: 396-404. Biol Psychiatry 2002; 52: 1166-74) hanno dimostrato che, nel trattamento a breve termine (4-8 settimane), la venlafaxina, antidepressivo appartenente alla classe degli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI), sembra determinare una migliore efficacia terapeutica rispetto alla fluoxetina, inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI). Considerate tuttavia le indicazioni sulla durata del trattamento terapeutico in caso di depressione e l’elevata incidenza di ricadute, è importante evidenziare quale dei due farmaci dimostri la maggiore efficacia a lungo termine.
A tal proposito, lo studio descritto si pone l’obiettivo di confrontare l’efficacia terapeutica di venlafaxina e fluoxetina rispetto all’insorgenza di ricadute che determinano riospedalizzazione in pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore.
Lo studio, condotto presso l’Ospedale Psichiatrico di Kai-Suan (Taiwan), prende in considerazione i pazienti ricoverati presso tale struttura nel periodo 1 gennaio 2002-31 dicembre 2003, con diagnosi di disturbo depressivo maggiore in accordo con i criteri della quarta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV). Nel caso di nuovi pazienti sono stati effettuati il Mini-International Neuropsychiatric Interview (M.I.N.I.) per la diagnosi clinica, e il Mood Disorders Questionnaire per escludere la presenza di disturbi bipolari. Durante il ricovero si sono effettuate le opportune modificazioni terapeutiche in conformità allo stato clinico dei pazienti, stimato con le scale Clinical Global Impressions-Severity of Illness (CGI-S) e Clinical Global Impressions-Improvement (CGI-I).
Sono stati considerati pazienti con disturbo depressivo maggiore, dimessi dall’Unità Operativa con un punteggio CGI-I di 1 (migliorati moltissimo) o 2 (molto migliorati) e che durante il ricovero abbiano presentato una buona tollerabilità nei confronti della terapia con venlafaxina o fluoxetina. I criteri di esclusioneerano: la resistenza ad almeno 2 differenti classi di antidepressivi; l’abuso di alcool o droghe; la presenza di disturbi psichiatrici maggiori come schizofrenia e disturbo bipolare; l’aver effettuato una terapia elettroconvulsivante durante il ricovero. Era ammesso l’uso di farmaci antipsicotici per il trattamento dei tratti psicotici o come terapia adiuvante.

Dopo la dimissione i pazienti sono stati seguiti per un follow-up della durata complessiva di un anno (fino al 31 dicembre 2004), eseguito a cadenza settimanale, bisettimanale o mensile in base alle condizioni cliniche, con l’obiettivo di individuare le eventuali riospedalizzazioni; per quanto riguarda i farmaci in esame, in accordo con le linee guida dell’American Psychiatric Association, durante lo studio si sono mantenute le dosi prescritte alla dimissione (venlafaxina:75-225 mg/die; fluoxetina 20-60 mg/die), stabilite individualmente in base al riscontro di efficacia e tollerabilità.
I dati sono stati elaborati in un’analisi statistica nella quale si sono considerate anche le covariabili, come sesso, età, presenza di disturbi d’ansia e/o di personalità, dipendenza alla nicotina, comorbidità psicotica, terapie antipsicotiche concomitanti, età di insorgenza del primo episodio depressivo maggiore, durata e numero di ricoveri negli ultimi 5 anni.

A fronte dell’esclusione di 99 che non rientravano tra i criteri di inclusione dello studio. sono stati inclusi 202 pazienti in terapia con venlafaxina (n=122) o con fluoxetina (n=80). I 2 gruppi di trattamento erano simili in termini di caratteristiche demografiche e cliniche, come sesso (>70% donne), età (43-44 anni), disturbi d’ansia e di personalità concomitanti, dipendenza dal nicotina, comorbidità psicotica, terapie antipsicotiche concomitanti, età di insorgenza del primo episodio depressivo maggiore (36-38 anni), durata dei ricoveri e numero di ricoveri negli ultimi 5 anni (1.7-1.8).
I risultati ottenuti indicano che a 360 giorni dalla dimissione è stata necessaria una riospedalizzazione per 53 pazienti in terapia con venlafaxina (43.4%) e per 37 pazienti in terapia con fluoxetina (46.2%); i due gruppi non hanno presentato differenze significative per quanto riguarda il tempo di riospedalizzazione: 223±15 giorni nel caso della venlafaxina e 222±17 giorni per la fluoxetina.
33 pazienti in terapia con venlafaxina (27%) e 19 trattati con fluoxetina (23.8%) si sono ritirati dallo studio, o hanno modificato la propria terapia antidepressiva passando ad altri farmaci prima della fine dello studio; i due gruppi di trattamento erano simili anche per quanto riguarda il tempo al quale si è verificato questo evento (venlafaxina: 270±14 giorni; fluoxetina: 275±17 giorni).
L’analisi di regressione logistica ha messo in evidenza che tra le variabili esaminate, il numero dei ricoveri precedenti ha giocato un ruolo fondamentale nei confronti del tempo di riospedalizzazione.

Le conclusioni riportate dagli autori evidenziano che venlafaxina e fluoxetina influenzano in maniera sovrapponibile il tempo di riospedalizzazione in pazienti con disturbo depressivo maggiore, e che i pazienti più frequentemente riospedalizzati sono quelli che in passato hanno avuto un elevato numero di ricoveri.



Fonte: J clin Psychiatry 2008; 69: 54-9.

Commento
Gli autori stessi, tuttavia, sottolineano i limiti intrinseci allo studio:
- La dose relativamente bassa di venlafaxina (media 116.5±42.5 mg/die) potrebbe non permettere alla molecola di espletare la propria azione di inibitore della ricaptazione della noradrenalina, oltre che di inibitore di quella della serotonina. E’ stato infatti suggerito che per l’azione sulla noradrenalina è necessaria una dose pari almeno a 150 mg/die (Arch Gen Psychiatry 1998; 59: 23-9). Nello studio si potrebbe quindi aver perso la duplice azione del farmaco. D’altra parte l’efficacia terapeutica della venlafaxina a dosi relativamente basse potrebbe essere attribuita al diverso assetto metabolico del citocromo CYP2D6 (che metabolizza la venlafaxina) delle popolazioni cinesi rispetto alle popolazioni bianche. E’ noto infatti che queste popolazioni presentano una bassa attività del CYP2D6, con un aumento dell’emivita del farmaco. E’ stato, per esempio, dimostrato che la dose efficace di molti antipsicotici è più bassa nei cinesi di etnia Han (come la popolazione in studio) rispetto ai bianchi (J Clin Psychiatry 1999; 60: 36-40; J Clin Psychiatry 2000; 61: 209-214).
- La mancata proporzione tra i pazienti in terapia con venlafaxina (60%) rispetto a quelli in terapia con fluoxetina (40%). Partendo dal presupposto che nello studio sono stati reclutati solo pazienti che hanno presentato una buona risposta al farmaco antidepressivo somministrato, potrebbe essere opportuno chiarire se la venlafaxina è realmente il farmaco più efficace o è solo quello maggiormente prescritto.
- Il numero di riospedalizzazioni osservato in questo studio (44.5%) è più elevato di quanto previsto. Gli autori suggeriscono che potrebbe essere dovuto al fatto che i pazienti sono stati reclutati esclusivamente in uno ospedale psichiatrico pubblico, nel quale spesso vengono ricoverati pazienti depressi con quadri clinici più gravi e con diagnosi di schizofrenia.
- Il disegno dello studio: manca la randomizzazione dei pazienti nei due gruppi di trattamento; inoltre i farmaci presi in esame non sono stati somministrati a dosi fisse.
- L’esiguo numero dei partecipanti e l’elevata quota di coloro che sono usciti dallo studio.
Sarà quindi necessario uno studio a lungo termine, randomizzato e in doppio cieco, per meglio delineare l’efficacia terapeutica dei diversi antidepressivi nel disturbo depressivo maggiore.
Gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interesse.

Dottoresse Francesca Parini e Sandra Sigala


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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