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Possiamo imparare dagli studi clinici?
Inserito il 06 gennaio 2009 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Gli studi clinici hanno fornito un nuovo impulso per accertare e mettere in pratica la medicina basata sulle evidenze (EBM), ma devono ancora acquisire un significato in relazione alla pratica clinica attuale.


Gli studi clinici sono strumenti volti a verificare delle ipotesi. Possono essere portati avanti per diverse ragioni tra cui ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco nuovo, stabilire le differenze tra due patologie simili, studiare un meccanismo di azione, confrontare due farmaci con una indicazione simile.

Gli autori, Silvio Garattini e Vittorio Bertelè dell’Istituto Mario Negri di Milano, hanno realizzato una revisione sulle sperimentazioni cliniche condotte su farmaci per tre ragioni:

1) la maggior parte delle sperimentazioni cliniche sono trial sui farmaci, perché rappresentano il canale tramite il quale i nuovi farmaci possono essere introdotti in commercio;

2) i trial sui farmaci hanno una grande responsabilità nel determinare la terapia migliore per i pazienti;

3) i risultati degli studi sui farmaci sono economicamente molto importanti per una serie di azionisti.

Al momento attuale, gli studi clinici controllati rappresentano il metodo migliore “per dimostrare una conoscenza vera, esaminare la validità di un’ipotesi o determinare l’efficacia di qualcosa precedentemente non dimostrata” (Shadish WR et al. Houghton Mifflin, Boston 2003; 1–32.) e rimarranno per un lungo periodo il principale approccio per verificare la relazione tra causa ed effetto.

Il valore aggiunto

In alcune aree terapeutiche i farmaci vengono approvati senza sperimentazione di fase III. Questo è il caso dei farmaci anti-tumorali approvati a livello europeo dall’EMEA. Delle 21 indicazioni concesse per 18 nuovi agenti antitumorali, solo 9 erano supportate da uno studio di fase III e solo in 3 casi si è tentato di dimostrare la loro superiorità (Apolone G et al. Br J Cancer 2005; 93: 504–9.)

Dato che non è richiesto un valore aggiunto, esiste la tendenza a sviluppare e utilizzare trial basati su disegni di equivalenza o di non inferiorità, anche se la FDA ha recentemente espresso dei dubbi a riguardo. L'uso di disegni di equivalenza o di non-inferiorità indica l'intenzione di evitare un reale confronto o la dimostrazione di un valore aggiunto per un farmaco nuovo.
L'unica ovvia ragione di questo tipo di sperimentazioni è commerciale: ottenere l’autorizzazione alla commercializzazione e risparmiare denaro, dato che gli studi di equivalenza o di non-inferiorità hanno bisogno di un minor numero di pazienti rispetto ai trial di superiorità. Questo tipo di sperimentazione è discutibile soprattutto dal punto di vista etico, perché espone i pazienti ad una sperimentazione, per definizione, non vantaggiosa nè per loro nè per i futuri pazienti (Garattini S, Bertelè V. Lancet 2007; 370: 1875–77).

Che tipo di confronto?

Nonostante le raccomandazioni della dichiarazione di Helsinki (World Medical Association 2000. www.wma.net/e/policy/b3.htm), vi è ancora la tendenza ad utilizzare il placebo come confronto, anche quando sono disponibili farmaci con la stessa indicazione. Esiste una valida ragione per questa scelta: l'uso del placebo, ovviamente, dà più possibilità al nuovo farmaco di apparire efficace, richiede un relativamente piccolo numero di pazienti e, di conseguenza, è relativamente meno costoso.
Le regole della buona pratica clinica raccomandano come “comparator” un trattamento standard o di uso corrente, impiegato ad una posologia ottimale. Alcuni studi riportati in letteratura dimostrano come in molti casi i risultati siano gravati da bias. In alcuni casi, il confronto è utilizzato sulla base di insufficienti evidenze sull’attività, rendendo perciò qualsiasi risultato incerto.
Sono pertanto, necessari clinical trial più significativi che dovrebbero essere effettuati da organizzazioni indipendenti no-profit.

Selezione dei pazienti

Gli studi clinici possono essere in gran parte classificati in due gruppi:

- quelli che selezionano pazienti con un gran numero di criteri di esclusione per assicurare un gruppo omogeneo di pazienti;

- quelli che hanno l'obiettivo di garantire che il farmaco venga testato in una popolazione simile ai pazienti che si ritrovano nella corrente pratica clinica.

Tuttavia, nella maggior parte dei protocolli vengono esclusi interi sottoinsiemi della popolazione. I pazienti pediatrici sembrano quelli maggiormente penalizzati dallo scarso numero di clinical trial che li riguardano. Ciò determina, nella pratica clinica, la somministrazione a bambini e adolescenti di dosi in funzione del loro peso corporeo, ignorando il fatto che l’effetto del farmaco potrebbe essere differente in un organismo che sta ancora crescendo. Le donne sono incluse solo in un numero ristretto di studi clinici per il timore di causare effetti nocivi sulla fertilità. Anche i pazienti >65 anni di solito vengono esclusi dalle sperimentazioni cliniche, determinando numerose conseguenze come l’uso inappropriato dei farmaci, un numero maggiore di interazioni e una più elevata incidenza di reazioni avverse rispetto ai soggetti più giovani, a causa della ridotta clearance renale ed epatica di alcuni farmaci e di variazioni nel loro metabolismo.

End point

Idealmente gli studi clinici dovrebbero focalizzarsi sulla valutazione della mortalità, morbilità e sulla qualità della vita, perché dal punto di vista dei pazienti questi sono gli unici parametri significativi. Tutti gli altri esiti, come la valutazione di una somministrazione maggiormente vantaggiosa o la riduzione degli eventi avversi, sono utili solo se sono stati testati i 3 end point su riportati.
Gli studi pivotal presentati alle autorità regolatorie non prendono in considerazione i cosiddetti end point forti o ”hard” e ancora confidano in end point surrogati come la riduzione della colesterolemia, della glicemia, della pressione arteriosa o del tasso di risposta tumorale. Gli end point surrogati non sempre possono essere predittivi di esiti hard, perchè altri effetti del farmaco oppure la sua tossicità a breve o a lungo termine possono pregiudicare un esito positivo di tipo surrogato. Per esempio, nel caso degli studi sui farmaci antitumorali, significative variazioni nel tasso di risposta, come la diminuzione del volume del tumore, non necessariamente corrispondono ad un aumento significativo della sopravvivenza.

Anche a fronte di protocolli ben disegnati, spesso non esiste una buona corrispondenza tra il protocollo e i risultati riportati nelle pubblicazioni. Della maggior parte dei protocolli approvati, solo circa la metà sono stati iniziati; di questi l’85% sono stati completati ma solo il 38% alla fine viene pubblicato. Ciò implica il fenomeno della pubblicazione selettiva che non riflette quanto è stato effettivamente dimostrato negli studi.
A questo si aggiunge la tendenza a non pubblicare trial che non hanno dato risultati positivi. In una revisione retrospettiva di 130 studi, la probabilità che venissero rapidamente pubblicati quelli con risultati positivi era tre volte maggiore rispetto ai trial con esito negativo (Stern JM, Simes RJ. Br Med J 1997; 315: 640–45).
Quindi non solo i protocolli sono pubblicati selettivamente, ma anche i risultati sono selezionati.

Reazioni avverse

Generalmente le reazioni avverse non sono considerate una parte importante di una pubblicazione e, di conseguenza, non sono commentate in dettaglio. Sono sottolineate solo quando derivano da una valutazione del rapporto rischio-beneficio.
Alcuni trial si focalizzano solamente sugli aspetti relativi alla riduzione delle reazioni avverse e solo più tardi vengono riconosciuti altri tipi di tossicità.
Gli autori citano due esempi, quelli sui coxib e sugli antipsicotici atipici, per dimostrare come negli articoli vengano evidenziati i benefici dei farmaci rispetto alle principali reazioni avverse monitorate per le stesse categorie di farmaci (tossicità gastrointestinale, nel caso dei coxib ed effetti extrapiramidali per gli antipsicotici di seconda generazione), tralasciando alcune reazioni avverse che possono causare ospedalizzazione e persino aumentare la mortalità (sanguinamento gastrointestinale nel caso dei coxib ed aumento del peso, dell’emoglobina glicosilata, del colesterolo e dei trigliceridi nel caso degli antipsicotici di seconda generazione).

Clinical trial e formazione

I clinical trial non sono solo un mezzo per ottenere informazioni relative all’efficacia e alla sicurezza dei farmaci, ma anche un potente strumento di educazione continua dei medici. La partecipazione dei medici ai trial rappresenta un forte incentivo nel tradurre rapidamente i risultati nella pratica clinica.

Clinical trial e conflitti d’interesse

Solo il 2% degli studi finanziati dalle multinazionali farmaceutiche riportano risultati non favorevoli rispetto al 21% dei trial supportati dalle organizzazioni indipendenti.
Dato che spesso i conflitti d’interesse sono inevitabili, occorre determinare quale livello possa essere accettabile. Una possibilità è che gli editori delle riviste riportino regolarmente quanti lavori sono stati rifiutati per conflitti d’interesse.
Ioannidis JP (JAMA 2005; 294: 218–28) ha lanciato un alert constatando che “nella maggior parte delle ricerche pubblicate i risultati sono falsi”. Attualmente, la maggior parte dei trial non vengono ripetuti e, quindi, manca la conferma dei dati che potrebbe essere necessaria quando il livello di significatività stabilito corrisponde ad una p<0.05.


Gli studi clinici hanno fornito un nuovo impulso per accertare e mettere in pratica la medicina basata sulle evidenze (EBM).
Anche se rimarranno a lungo delle pietre miliari per la valutazione dei benefici e dei rischi dei farmaci, devono ancora acquisire un significato in relazione alla pratica clinica attuale.
Di seguito vengono elencate alcune necessità:
1. i nuovi farmaci devono essere impiegati negli studi clinici quando vi è un solido razionale basato sui dati della ricerca preclinica o su dati preliminari promettenti,
2. è necessario ripetere gli studi,
3. poca attenzione viene data alla tossicità dei farmaci,
4. sono necessari più studi su categorie di popolazione poco rappresentate nei trial clinici,
5. la scelta del farmaco di confronto è fondamentale e deve essere il migliore trattamento disponibile,
6. le analisi e le relazioni dei risultati non sono frequentemente accurate,
7. tutte queste considerazioni conducono alla questione dell’indipendenza dei trial clinici, non si tratta solamente di indipendenza finanziaria,
8. l’Italia, seguita dalla Spagna, ha creato, attraverso l’AIFA grazie al 5% sulle spese promozionali industriali, un fondo destinato a finanziare trial indipendenti che con poca probabilità sarebbero condotti dall’industria.


Dopo 50 anni di trial clinici si può affermare che diversi aspetti sono stati considerevolmente migliorati, ma le considerazioni etiche devono essere ancora implementate in modo appropriato. Gli interessi finanziari legati alla valutazione dei farmaci devono essere eliminati o ridotti mediante valutazioni più sensate sui rischi e sui benefici, se si vuole rendere disponibile alle autorità regolatorie, ai medici e ai pazienti una solida verifica dei benefici e dei rischi dei farmaci. Ciò richiede non solo un comportamento meno aggressivo da parte delle multinazionali farmaceutiche, ma anche un’attitudine critica ed onesta dei ricercatori clinici.

Dottoressa Paola D’Incau

Riferimento bibliografico

Silvio Garattini S, Bertelè V. Do we learn the right things from clinical trial? Eur J Clin Pharmacol 2008; 64: 115-25.

Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/




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