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Inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa e rischio di infarto
Inserito il 12 gennaio 2009 da admin. - infettivologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Abacavir e didanosina sono risultati associati ad un aumento del rischio di infarto in pazienti affetti da HIV.

Il gruppo D:A:D, una collaborazione internazionale di 11 coorti, segue 33347 pazienti (arruolati tra Dicembre 1999 e Gennaio 2005) affetti da HIV-1 in 212 cliniche in Europa, USA e Australia e ne registra le caratteristiche sociodemografiche e cliniche, i trattamenti, e i dati di laboratorio. Questo gruppo aveva già condotto uno studio per valutare se l'uso di inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa (NRTI) riducesse l'associazione tra esposizione a inibitori delle proteasi e rischio di infarto del miocardio, suggerendo che anche gli NRTI possano contribuire al rischio cardiovascolare (D:A:D Study Group, N Engl J Med 2003, 349: 1993-2003; D:A:D Study Group, N Engl J Med 2007, 357: 1723-35).
In questa analisi osservazionale, prospettica, è stato valutato se gli NRTI zidovudina, didanosina, stavudina, lamivudina e abacavir, i più venduti nel 2007, siano associati ad un aumento del rischio di infarto del miocardio.

A tal fine i pazienti sono stati seguiti dalla data del loro arruolamento alla data del primo infarto del miocardio (outcome primario), o alla data del decesso, o 6 mesi dopo l'ultima visita, o al Febbraio 2007 (fine del follow-up), a seconda di quale evento si verificasse per primo.
Sono state adottate le seguenti definizioni: ipertensione = pressione sistolica >140 mmHg e pressione diastolica >90 mmHg, o uso di farmaci antipertensivi; dislipidemia = colesterolo totale >6,2 mmol/L, HDL <0,9 mmol/L, trigliceridi >2,3 mmol/L, o uso di ipolipemizzanti; infarto del miocardio = definito, possibile o inclassificabile secondo i criteri dello studio WHO MONICA (Tunstall-Pedoe H et al. Circulation 1994, 90: 583-612).
Altri outocome sono stati stroke, procedure cardiovascolari invasive (angioplastica o bypass coronarico o endoarteriectomia carotidea), diabete mellito e morte.

Per quantificare la relazione tra utilizzatori cumulativi, recenti (uso attuale o nei 6 mesi precedenti) o pregressi (ultima somministrazione >6 mesi) degli NRTI in studio e la comparsa di infarto del miocardio, è stato utilizzato il modello di regressione di Poisson e i dati ottenuti sono stati aggiustati per diversi fattori di confondimento, quali le caratteristiche demografiche, la coorte e l'uso di altri antiretrovirali.
Per l'abacavir sono stati esclusi gli eventi insorti nei primi 2 mesi di trattamento per evitare possibili effetti dovuti a reazioni di ipersensibilità al farmaco. Infine, i dati sono stati analizzati stratificando i pazienti in base al rischio di coronaropatia a 10 anni secondo l’equazione di Framingham (Anderson KM et al. Circulation 1991; 83: 356-62), i pazienti sono stati classificati a rischio: alto (>20%), moderato (10-20%), basso (<10%) o sconosciuto (per mancanza di dati).

Al 1 Febbraio 2007, sono stati calcolati 157912 anni/persona. 517 pazienti avevano avuto infarto del miocardio (event rate 3,3, 95% CI, 3,0-3,6, per 1000 anni/persona); di questi, 509 avevano ricevuto una terapia antiretrovirale, che era terminata al momento dell'infarto miocardico in 59 pazienti. I pazienti con infarto del miocardio erano generalmente più vecchi, maschi, fumatori, avevano una storia familiare di malattie cardiovascolari, una diagnosi di diabete mellito, di ipertensione, di lipodistrofia e di dislipidemia, ed un rischio di coronaropatia a 10 anni alto o moderato.
Non è stata trovata alcuna associazione tra incidenza dell'infarto del miocardio e uso cumulativo o recente di zidovudina, stavudina o lamivudina. Al contrario, l'uso recente, ma non quello cumulativo, di abacavir (RR 1,90, 95% CI, 1,47-2,45; p=0,0001) o didanosina (RR 1,49, 95% CI, 1,14-1,95; p=0,003) è stato associato con un aumento del rischio di infarto del miocardio; mentre lo stesso rischio non è risultato statisticamente significativo tra gli utilizzatori pregressi e coloro che non avevano mai ricevuto questi farmaci.
Dopo aggiustamento per il rischio di coronaropatia a 10 anni, quello di infarto del miocardio è rimasto aumentato per gli utilizzatori recenti sia di didanosina (RR 1,49, 1,14-1,95; p=0,004) che di abacavir (RR 1,89, 1,47-2,45; p=0,0001).

In conclusione, questa analisi, caratterizzata da una coorte ampia e un follow-up a lungo termine, dimostra che esiste un aumento del rischio di infarto del miocardio nei pazienti trattati negli ultimi 6 mesi con abacavir e didanosina, che tale aumento non è spiegabile sulla base di altri fattori di rischio cardiovascolare, e che non è presente dopo 6 mesi dalla cessazione del trattamento. Gli autori sottolineano che lo studio, essendo osservazionale, non è disegnato per stabilire definitivamente se le associazioni valutate siano causali; inoltre, non sono stati inclusi i dati relativi a emtricitabina e tenofovir a causa di un follow-up <2 anni.


Commento

Gli autori pongono l'accento su un importante dilemma clinico: i medici, alla luce di questi dati, devono aumentare la loro vigilanza sul possibile rischio di infarto del miocardio da abacavir e didanosina, o dovrebbero considerare la possibilità di interrompere il trattamento in alcuni, se non in tutti, i pazienti trattati con questi farmaci?
La scelta di interrompere la terapia deve essere individualizzata sulla base di altri fattori di rischio cardiovascolare e della disponibilità di terapie alternative da scegliere prendendo in considerazione i trattamenti precedenti, la resistenza virale ed il profilo di sicurezza dei farmaci in alternativa.
L'editoriale di accompagnamento di JH Stein e JS Currier, mette in evidenza che l'entità dell'aumento del rischio di infarto del miocardio tra gli individui ad alto rischio trattati con abacavir o didanosina non è trascurabile, sebbene in linea generale i risultati degli studi osservazionali non dovrebbero portare a cambiamenti nella pratica clinica. Infatti, nel 6% dei partecipanti allo studio D:A:D, si aspetta un ulteriore infarto del miocardio ogni 11 utilizzatori di abacavir e ogni 20 utilizzatori di didanosina per 5 anni; pertanto, debbono essere prese in considerazione terapie alternative e dovranno essere condotti ulteriori studi per confermare tale associazione e spiegarne l'eventuale meccanismo.
JH Stein e JS Currier, inoltre, sottolineano che, alla luce del prolungamento della sopravvivenza dei pazienti con HIV, le coronaropatie costituiscono un reale rischio; ne consegue che studi di 24-48 settimane non si possono più considerare sufficienti, ma dovrebbero essere condotti trial con follow-up a lungo termine per valutare meglio la tossicità delle terapie antiretrovirali. Gli studi di efficacia di tali farmaci dovrebbero sempre rilevare gli eventi coronarici e dovrebbero comprendere surrogati validati di outcome vascolari.

Dottoressa Arianna Carolina Rosa

Riferimenti bibliografici

D:A:D Study Group, Use of nucleoside reverse trascriptase inhibitors and risk of myocardial infarction in HIV- infected patients enrolled in the D:A:D study: a mutli-cohort collaboration. Lancet 2008; 371: 1417-26.
Stein JH & Currier JS, Risk of myocardial infarction and nucleoside analogues. Lancet 2008; 371: 1391-2.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/


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