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Fattore VII attivato ricombinante nell’emorragia cerebrale acuta: studio FAST
Inserito il 14 febbraio 2009 da admin. - neurologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Il trattamento precoce con rFVIIa riduce significativamente le dimensioni dell’ematoma cerebrale ma non riduce la mortalità, né la disabilità dei pazienti sopravvissuti dopo emorragia cerebrale.

L’emorragia cerebrale è un evento grave, che comporta la perdita del 40% dei pazienti entro 30 giorni mentre la maggioranza di coloro che superano la fase acuta vanno incontro a gravi disabilità.
La crescita volumetrica dell’ematoma cerebrale si verifica fino al 70% dei casi valutati con TAC eseguita entro 3 ore dall’inizio della sintomatologia. L’espansione dell’ematoma è un fattore indipendente di morte e disabilità; altri fattori prognostici negativi sono l’età, le dimensioni iniziali dell’ematoma, il punteggio della Glasgow Coma Scale (GCS), la localizzazione dell’emorragia infratentoriale o intraventricolare.
Ad oggi, non si dispone di trattamenti efficaci per l’emorragia cerebrale ed è stato ipotizzato che, in considerazione del loro significato prognostico, le dimensioni dell’ematoma possono rappresentare un buon target terapeutico. Sulla base di questa ipotesi, gli autori del presente lavoro avevano pubblicato i risultati di uno studio nel quale paragonavano il trattamento con fattore VII ricombinante (rFVII) a tre diversi dosaggi (40, 80,160 µg/kg) vs placebo nell’emorragia cerebrale. I risultati hanno dimostrato che il rFVII riduceva la crescita dell’ematoma se somministrato entro 4 ore dall’inizio dei sintomi e aumentava la sopravvivenza con un impatto positivo sull’outcome dei pazienti e sulla morbilità a 90 giorni (Mayer SA et al. N Engl J Med 2005; 352: 777-85).

L’attuale lavoro illustra, invece, i risultati di uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco vs placebo, condotto tra Maggio 2005 e Febbraio 2007 in 122 presidi di 22 Paesi (compresa l’Italia), in cui è stato valutato l’effetto della somministrazione di rFVII alle dosi di 20 e 80 µg/kg sulla sopravvivenza e sulle disabilità in seguito ad emorragia cerebrale.
Sono stati considerati eleggibili per l’arruolamento tutti i pazienti di età >18 anni con emorragia intracerebrale documentata alla TAC entro 3 ore dalla comparsa dei sintomi.
Criteri di esclusione erano: un punteggio alla scala di Glasgow <5, l’esecuzione di drenaggio chirurgico nelle 24 ore successive all’evento, un’eziologia traumatica dell’ematoma, malformazioni arterovenose, l’utilizzo di anticoagulanti orali, trombocitopenia o disordini della coagulazione, stati settici e coagulazione intravascolare diffusa, gravidanza, precedenti disabilità (punteggio della scala di Rankin modificata (*) precedente all’emorragia cerebrale >2), malattie tromboemboliche.

I pazienti reclutati sono stati randomizzati in tre gruppi ed è stato somministrato rFVIIa 20 µg/kg, rFVIIa 80 µg /kg o placebo, entro un’ora dall’esecuzione della TAC e non più tardi di 4 ore dall’insorgenza dei sintomi. La scelta dei due dosaggi testati in questo studio è stata fatta sulla base dei risultati del precedente studio in cui si valutava il dosaggio ottimale, considerando sia la riduzione dell’ematoma che i rischi di complicanze tromboemboliche. Al momento dell’arruolamento è stata eseguita una valutazione clinica iniziale, ripetuta dopo un’ora e dopo 24 ore dalla somministrazione di farmaco o placebo; i pazienti sono poi stati riesaminati in seconda, terza e quindicesima giornata (o prima in caso di dimissione) e dopo 90 giorni dallo stroke.
I deficit neurologici sono stati quantificati mediante la GCS il cui punteggio va da 15 (normalità) a 3 (coma profondo) e la scala NIHSS (National Institute of Health Stroke) che va da 0 (normalità) a 42 (coma con tetraplegia).

L’end point primario era il decesso del paziente o la disabilità grave al novantesimo giorno, definita con un punteggio di 5 o 6 della scala di Rankin modificata, che varia tra 0, nessun sintomo a 6, decesso.
Le TAC di follow-up sono state eseguite ad intervalli definiti: 24 e 72 ore dopo la somministrazione del farmaco. Se la TAC 24 ore dopo non era stata eseguita, veniva considerata una TAC eseguita entro le 48 ore. Sono stati calcolati i volumi dell’emorragia intracerebrale, dell’emorragia intraventricolare e dell’edema, la localizzazione intraventricolare e l’edema perilesionale. Questi parametri sono stati considerati come end point secondari, insieme al punteggio dell’indice di Barthel che valuta l’indipendenza nelle attività di vita quotidiana, all’Extended Glasgow Outcome Scale, alla NIHSS, alla EuroQol scale e alla Revised Hamilton Rating Rcale for Depression.
Sono stati registrati tutti gli eventi avversi fino al giorno novanta, con particolare riferimento a tutti gli eventi riconducibili a complicanze trombotiche.

Sono stati presi in esame un totale di 8886 pazienti con emorragia cerebrale, di cui 841 randomizzati e 821 sottoposti a trattamento. L’età media era 65 anni (62% erano maschi, 69% bianchi, 19% asiatici e 9% neri). La mediana del punteggio GCS era 14 e la media dei punteggi della scala NIHSS era 13. La materia grigia profonda era coinvolta nel 78% dei casi e le regioni lobari nel 22%.
Le caratteristiche di base dei tre gruppi erano sovrapponibili, eccetto che per la localizzazione dell’emorragia, più frequentemente intraventricolare nei gruppi trattati con rFVIIa rispetto al gruppo placebo e in questi due gruppi erano più frequenti alterazioni elettrocardiografiche significative per ipertrofia ventricolare sinistra e un punteggio alla GCS <8 (indicativo di coma). Il volume dell’emorragia era in media 23,2 ml, simile nei tre gruppi.

Dei pazienti arruolati sono state analizzate 794 scansioni TAC e sono emersi i seguenti dati: l’aumento medio dell’emorragia era del 26% nel gruppo placebo contro l’11% dei pazienti trattati con rFVII 80 µg/kg; l’aumento volumetrico dell’ematoma era -3,8 ml in questo gruppo rispetto al placebo (95% CI 6.7-0.9; p=0.009) e l’aumento di volume dell’emorragia cerebrale era -2,6 ml rispetto al placebo per i pazienti con rFVII 20 µg/kg (5.5-0.3: p=0,08). Per quanto riguarda l’edema perilesionale non sono state riscontrate differenze significative nei tre gruppi.
Anche i risultati riguardanti la mortalità a tre mesi erano sovrapponibili nei tre gruppi (circa 20%) così come l’indice di Barthel e il punteggio di Rankin. Il punteggio NIHSS era minore nel gruppo dei pazienti con rFVIIa 80 µg/kg.

La frequenza di eventi avversi gravi a carattere tromboembolico era simile nei tre gruppi; le complicanze trombotiche arteriose erano più frequenti del 5% nei pazienti trattati con rFVIIa 80 µg/kg rispetto al placebo. Gli autori hanno ipotizzato che i fattori di rischio per l’aumentata frequenza di eventi tromboembolici potessero essere l’età, il precedente impiego di antiaggreganti ma non il trattamento con rFVIIa.

I risultati ottenuti con questo studio contrastano nettamente con quelli ottenuti precedentemente dagli stessi autori, nei quali si osservava una riduzione della mortalità del 38% nei pazienti trattati con rFVII. Viene ipotizzato che la discrepanza dei risultati possa essere attribuita a bias dovuti ad una randomizzazione non bilanciata, agli effetti trombotici in seguito alla somministrazione di rFVIIa, all’inclusione di pazienti molto anziani. Esiste, invece, una netta concordanza nei dati sulla frequenza di eventi trombotici in seguito alla somministrazione di rFVIIa. Dato che il profilo di sicurezza del farmaco studiato si è rivelato simile a quello del precedente studio di fase 2b, gli autori ritengono che la mancanza di benefici del trattamento in esame non possa essere attribuita alle complicanze legate al rFVIIa; piuttosto, potrebbero avere una piccola parte in causa gli sbilanciamenti della randomizzazione che hanno portato ad avere gruppi con importanti caratteristiche di base non omogenee.


In conclusione, alla luce dei risultati ottenuti, gli autori affermano che il trattamento precoce con rFVIIa riduce significativamente le dimensioni dell’ematoma cerebrale ma non conferma l’end point primario non influendo positivamente né la mortalità, né la disabilità dei pazienti sopravvissuti dopo emorragia cerebrale.



(*) La scala di Rankin (1956) fornisce una valutazione standardizzata degli esiti dell'ictus cerebrale. Modificata successivamente, è una scala di disabilità che consta di 6 diversi gradi, con un punteggio che va da 0 a 5. A volte viene aggiunta un'ulteriore categoria, punteggio 6, per i pazienti che sono deceduti. La scala di Rankin è stata ampiamente utilizzata sia nella prevenzione secondaria, sia nei trials clinici per l'ictus acuto, inclusi la maggior parte dei trial sulla trombolisi.

Commento

L’editoriale di accompagnamento sottolinea l’importanza delle dimensioni dell’ematoma come fattore prognostico indicando quindi, in accordo con gli autori dello studio, il volume della raccolta ematica come un possibile target terapeutico valido. Commenta poi i risultati dello studio attribuendo una certa rilevanza agli squilibri nelle caratteristiche di base dei tre gruppi in esame dovuti alla randomizzazione. In considerazione della complessità di trattamento di questa patologia viene inoltre suggerita l’adozione di una strategia integrata su più fronti, che comprenda tutti i fattori coinvolti nell’eziologia dell’emorragia cerebrale.

Dottoresse Sandra Sigala e Laura Franceschini

Riferimento bibliografico

Mayer A et al. Efficacy and safety of recombinant activated factor VII for acute intracerebral hemorrage. N. Engl. Med 2008; 358: 2127-37.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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