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Antipsicotici atipici di incerto beneficio nell'Alzheimer
Inserito il 31 marzo 2009 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Considerando i risultati positivi ottenuti nei gruppi trattati con antipsicotici, ma anche la mancanza di un miglioramento della qualità di vita nello stesso gruppo di pazienti, si deve riflettere sulla reale efficacia di questi farmaci.

Sintomi psichiatrici e comportamentali sono comuni nei pazienti con malattia di Alzheimer e contribuiscono in modo sostanziale alla loro morbidità. I farmaci comunemente utilizzati quali gli inibitori delle colinesterasi e la memantina, possono avere effetti benefici sui sintomi non cognitivi, ma non sono utili nei pazienti con disturbi comportamentali in fase attiva.
Il progetto Clinical Antipsychotic trials of Intervention effectiveness – Alzheimer’s Disease (CATIE-AD) del National Institute of Mental Health (NIMH), a differenza di molti altri studi condotti in passato, ha incluso pazienti non ricoverati in ospedale e sottoposti agli usuali protocolli terapeutici presso la propria residenza e ha valutato l’efficacia della terapia per un periodo di 9 mesi.
Si tratta di uno studio randomizzato in cieco nel quale sono stati arruolati 421 pazienti, trattati con olanzapina, quetiapina, risperidone o placebo secondo un rapporto di 2:2:2:3. Durante i 9 mesi, era consentito, a discrezione del medico, modificare il dosaggio. Dopo le prime 2 settimane, inoltre, il medico poteva interrompere il trattamento assegnato (fase 1) per mancanza di efficacia, effetti collaterali o altre ragioni. A questo punto la fase 1 terminava e il paziente entrava nella fase 2, nella quale veniva randomizzato in cieco, al trattamento con un altro farmaco o a citalopram. Era anche possibile scegliere di proseguire il trattamento in aperto.

I criteri di inclusione sono stati: diagnosi di demenza di tipo Alzheimer secondo i criteri del DSM-IV o di probabile demenza di Alzheimer secondo i criteri del National Institute of Neurological and Comunicative Disorders and Stroke and Alzheimier’s Disease and Related Disorders Association; i pazienti dovevano risiedere al proprio domicilio o in strutture residenziali assistite, essere deambulanti, il loro caregiver doveva essere istruito sulla malattia e sul trial; il punteggio del MMSE(*) [Mini-Mental State Examination] doveva essere compreso tra 5 e 26 e i sintomi quali allucinazioni, agitazione, aggressività, disorganizzazione concettuale dovevano essere presenti quasi tutti i giorni della settimana precedente o in maniera intermittente nelle ultime 4 settimane.
I sintomi psichiatrico-comportamentali dovevano essere di gravità almeno moderata sulla base della Brief Psychiatric Rating Scale (*); quelli psichiatrici, valutati con la scala Neuropsychiatric Inventory (*) di gravità moderata o più severi e con una frequenza almeno settimanale. Sono stati esclusi pazienti in trattamento con antidepressivi o con anticonvulsivanti.

I farmaci potevano essere utilizzati a due diversi dosaggi: olanzapina (2,5-5 mg), quetiapina (25-50 mg), risperidone (0,5-1 mg). Era possibile utilizzare benzodiazepine o aloperidolo al bisogno.

Le valutazioni dei pazienti sono state eseguite al reclutamento e dopo 2, 4, 8, 12, 24 e 36 settimane di trattamento con l’ausilio di numerosi test neurocomportamentali, sia per i sintomi psichiatrici e comportamentali che per la valutazione delle funzioni cognitive, delle abilità funzionali, della qualità della vita e della necessità di cure (*).
I primi parametri considerati sono stati la differenza dei punteggi all’ultima misurazione della fase 1 tra il gruppo trattato con antipsicotici rispetto a quello con placebo; successivamente sono stati confrontati i risultati ottenuti con i diversi farmaci.
L’età media dei pazienti era 77,9 anni (44% maschi, 56% femmine). Complessivamente il 77-85% dei pazienti è uscito dalla fase 1 prima delle 36 settimane previste dal protocollo e la durata media della fase 1 è stata di 7,1 settimane, senza differenze significative nei diversi gruppi.
I dosaggi medi prescritti al termine del trattamento erano: olanzapina 5,5 mg/die, quetiapina 56,5 mg/die, risperidone 1 mg/die. Farmaci d’emergenza sono stati somministrati raramente e senza significative differenze nei diversi gruppi.

Sono state valutate le variazioni nei punteggi delle diverse scale di valutazione dalla visita iniziale all’ultima della fase 1.
Per quanto riguarda i sintomi globali i risultati sono i seguenti:
Neuropsychiatric Inventory Scale: i pazienti trattati con olanzapina o risperidone mostravano un miglioramento superiore rispetto al gruppo placebo.
Clinical Global Impression of Change: i pazienti trattati con risperidone avevano avuto un miglioramento clinico maggiore rispetto al gruppo placebo.
Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS): non sono emersi miglioramenti nei parametri valutati nei pazienti trattati con antipsicotici rispetto al gruppo placebo. In particolare i trattati :
- con olanzapina o risperidone hanno mostrato miglioramento nei disturbi paranoidi alla fine della fase 1 rispetto al placebo
- con risperidone mostravano un miglioramento maggiore dei sintomi psicotici alla fine della fase 1 rispetto al gruppo placebo
- con olanzapina hanno avuto un peggioramento dei sintomi di isolamento rispetto al placebo
Non sono state riscontrate differenze nei punteggi tra i pazienti trattati con antipsicotici e il gruppo placebo per quanto riguarda i disturbi cognitivi e nemmeno per i punteggi della Cornell Scale for Depression in Dementia.

I pazienti che hanno continuato la fase 1 fino alla dodicesima settimana sono poi stati sottoposti a valutazione secondo la Clinical Global Impression of Change, una valutazione globale delle variazioni cliniche dei sintomi cognitivi, comportamentali e funzionali. La distribuzione dei punteggi ottenuti non differiva sostanzialmente tra i gruppi (pazienti migliorati o molto migliorati: 45%, 52%, 61% e 40% nei gruppi trattati con olanzapina, quetiapina, risperidone e placebo). Nei pazienti trattati con antipsicotici non sono state osservate variazioni sostanziali rispetto al gruppo placebo per quanto riguarda la necessità di cure, l’assessment cognitivo, la qualità di vita. Per quanto riguarda l’Activity of Daily Living Scale, i pazienti in terapia con olanzapina mostravano punteggi peggiori rispetto al gruppo placebo.
All’ultima visita della fase 1 non c’erano differenze significative nei gruppi trattati con i diversi antipsicotici per quanto riguardava i sintomi di isolamento e DI depressione (p=0.04). Confrontando i vari gruppi fra loro, emergeva un peggioramento dei sintomi nei trattati con olanzapina rispetto ai trattati con quetiapina (p=0.009).
I dati ricavati alle settimane 2, 4, 8 e 12 mostravano solo due differenze significative: 1) all’ottava settimana c’era un miglioramento complessivo nel gruppo trattato con antipsicotici (p=0.02) ma il gruppo olanzapina mostrava un peggioramento dei sintomi rispetto alla quetiapina (p=0.01) e al gruppo risperidone (p=0.02); 2) alla dodicesima settimana è stato rilevato un effetto positivo sulla valutazione delle attività quotidiane di base nel gruppo trattato farmacologicamente (p=0.02) ma i pazienti che assumevano olanzapina hanno avuto un peggioramento rispetto ai trattati con quetapina (p=0.02) e risperidone (p=0.02).

In questo studio, diversi parametri clinici indicano che i pazienti con malattia di Alzheimer traevano beneficio dalla terapia con antipsicotici, ma il miglioramento dei sintomi, laddove presente, pur essendo statisticamente significativo, era comunque lieve. Non sono emerse differenze significative nel punteggio della BPRS nei diversi gruppi terapeutici all’ultima visita, anche se nel gruppo trattato con risperidone il miglioramento rispetto al placebo era maggiore.
Inoltre, gli effetti positivi degli antipsicotici sui sintomi della malattia non si traducevano in un miglioramento della qualità di vita: infatti non è stato osservato alcun incremento dei punteggi ottenuti alla dodicesima settimana con le scale di valutazione riguardanti l’autonomia funzionale, le attività quotidiane di base o la necessità di cure. Questo potrebbe essere dovuto alla grande variabilità individuale della progressione di malattia, all’intervento esterno dei caregiver, a fattori ambientali, così come agli effetti collaterali di alcuni farmaci.

I limiti di questo lavoro, denunciati dagli autori stessi, sono da attribuire soprattutto al disegno dello studio: i risultati di queste analisi, che non scaturiscono da un “efficacy trial” convenzionale vanno interpretati con attenzione. I dati analizzati comprendono numerose misurazioni diverse, confrontate fra loro, senza aggiustamenti delle analisi statistiche. Un altro aspetto da considerare nella valutazione dei dati finali è la stretta dipendenza della fase 1 dalle decisioni dei singoli sperimentatori in base al loro giudizio soggettivo.


In conclusione, considerando i risultati positivi ottenuti nei gruppi trattati con antipsicotici, ma anche la mancanza di un miglioramento della qualità di vita nello stesso gruppo di pazienti, si deve riflettere sulla reale efficacia di questi farmaci. Sono pertanto necessari ulteriori studi per stabilire quanto questi risultati siano inficiati da variabili non esaminate in questo lavoro e per valutare l’effettivo rapporto rischio/beneficio dei farmaci antipsicotici in questi pazienti.



(*) Neuropsychiatric Inventory: misura la frequenza e la severità di 12 sintomi psichiatrici sulla base dell’intervista al caregiver.
Brief Psychiatric Scale: misura la gravità di 18 sintomi comportamentali e psichiatrici raccolti in parte dal colloquio con il paziente e in parte dai dati aggiunti dal caregiver.
Cornell Scale for Depression in Dementia: scala in 19 punti che misura disturbi dell’umore, disturbi depressivi e segni neurovegetativi in pazienti con demenza.
Alzheimer’s Disease Cooperative Study-Clinical Global Impression of Change: misura globale delle modificazioni cliniche dei sintomi funzionali, comportamentali e cognitivi in base all’opinione del medico.
Alzheimer’s Disease Assessment Scale cognitive subscale: scala basata su prove di memoria, linguaggio, capacità viso-costruttive e procedure di ideazione.
Mini-Mental State Examination: test con 30 domande, che misura l’abilità cognitiva globale
Alzheimer’s Disease Cooperative Study-Activities of Daily Living Scale: scala con 23 punti che misura le capacità funzionali di base (mangiare, lavarsi, vestirsi) e strumentali (utilizzo del telefono). Le risposte sono date dal caregiver.
Dependence Scale: scala con 13 punti che misura il grado di assistenza necessaria
Caregiver Activity Survey: misura il tempo impiegato dal caregiver per provvedere alle necessità del paziente
Alzheimer’s Disease Related Quality of Life: i 47 punti di questa scala misurano il grado di interazione sociale, l’umore, la coscienza di sè.


Dottoresse Laura Franceschini e Sandra Sigala

Riferimenti bibliografici

Sultzer DL et al. Clinical symptom responses to atypical antipyschotic medications in Alzhemier’s disease: Phase 1 outcomes from the CATIE-AD effectiveness trial. Am J Psychiatry 2008; 165: 844-54.
Schultz SK. Atypical antipsychotic medications in Alzhemer’s disease: effectiveness vs expectations. Am J Psychiatry 2008; 165: 787-89.


Contributo gentilmente concesso dal Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia - http://www.sifweb.org/farmaci/info_farmaci.php/

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