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Incontinenza urinaria da sforzo
Inserito il 29 aprile 2009 da admin. - urologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Una messa a punta su una patologia molto frequente nella donna.


Che cos'è l'incontinenza urinaria da sforzo?
L'incontinenza urinaria da sforzo (stress incontinence degli autori anglosassoni), una patologia tipica del sesso femminile, è caratterizzata dalla perdita involontaria di urina, in assenza di stimolo della minzione. Tale evento si verifica in occasione di momenti scatenanti come sforzi fisici, tosse, stanuti, risate, quando la pressione all'interno della vescica che si realizza in condizioni in cui aumenta la pressione intra-addominale supera la resistenza presente nell'uretra. Gli esami (ecografia pelvica, esame urine, urinocoltura) di solito sono negativi a meno che non sia presente qualche altra patologia associata. Il residuo post-minzionale può esserevalutato mediante ecografia ed è considerato anormale se superiore a 150 mL. I test urodinamici che valutano la funzione uretrale, la capacità vescicale e la funzione di svuotamento vescicale non sono in genere necessari per l'inquadramento diagnostico, ma possono venir richiesti in previsione di un intervento chirurgico.
L'incontinenza urinaria da sforzo va distinta dall' incontinenza da urgenza (urge incontinence degli autori anglosassoni), più rara, in cui la perdita di urina è dovuta ad una instabilità del muscolo detrusore vescicale che si contrae in modo inappropriato; in quest'ultimo tipo di incontinenza la donna avverte lo stimolo ad urinare prima che si verifichi la perdita di urina.
Possono esistere forme miste, ma è imporante la loro distinzione in quanto il trattamento è diverso.
La distinzione può essere fatta semplicemente chiedendo alla donna se l'incontienza urinaria compare dopo sforzi, attività fisica, tosse, etc. oppure se si avverte lo stimolo alla minzione, ma non riesce a trattenere l'urina abbastanza per arrivare in bagno.
Un test molto semplice che può essere effettuato in ambulatorio è il test della tosse: si chiede alla donna, a vescica piena, di tossire: la perdita di urina depone per un' incontinenza da sforzo.

Quali sono i fattori di rischio?
I fattori di rischio comunemente associati alla incontinenza da sforzo sono le gravidanze e i parti (più per i parti per via vaginale che per taglio cesareo), il fumo, il peso eccessivo e la razza bianca.

Quanto è frequente?
A seconda delle varie casistiche viene riferito che una incontienza urinaria da sforzo può colpire fino a quasi il 40-50% delle donne adulte. Anche se non tutte le donne ritengono fastidiosa la perdita di urina, in molti casi il distirbo comporta una riduzione importante della qualità di vita. In altri casi invece le perdite di urina sono lievi e le donne non si rivolgono al medico, o per vergogna oppure perchè ritengono il sintomo poco importante, e usano semplicemente degli assorbenti per porre rimedio al disturbo.

Quali sono i trattamenti farmacologici e non chirurgici
Il farmaco più usato è la duloxetina che migliora i sintomi e la qualità di vita dopo alcuni mesi di terapia. Il farmaco viene somministrato a 20-80 mg/die e può provocare alcuni effetti collaterali di tipo gastrointestinale (nausea, diarrea, stipsi, etc.), astenia, anoressia, sonnolenza. Attualmente il farmaco non è approvato per questa indicazione.
Nelle donne obese è sempre utile ottenere una riduzione del peso che potrebbe migliorare le perdite di urina.
Tra le opzioni non chirurgiche vanno ricordati gli esercizi per i muscoli del pavimento pelvico che migliorano la sintomatologia dopo qualche mese. Probabilmente però sono meno efficaci della duloxetina. Gli esercizi vengono dapprima eseguiti sotto la supervisione di un fisioterapista dedicato e successivamente, una volta che la paziente ha appreso correttamente la tecnica, possono essere eseguiti a domicilio. Un'altra opzione non chirurgica è l'elettrostimolazione del pavimento pelvico che può dare risultati dopo 1-2 mesi. Essa si basa sull'uso di un elettrostimolatore che viene inserito in vagina e, tramite la generazione di impulsi elettrici, provoca la contrazione dei muscoli del pavimento della pelvi. In qualche caso possono verificarsi effetti collaterali come dolore pelvico, flogosi e sanguinameno vaginali.
Alcuni propongono i coni vaginali: vengono inseriti dei dispositivi di forma conica in vagina, che la donna deve riuscire a tenere in sede quando cammina, per poi inserire un cono di peso superiore. Sembrano avere un'efficacia paragonabile agli esercizi per il pavimento pelvico, ma la compliance può essere un fattore limitante.

Quali sono le opzioni chirurgiche?
Nelle pazienti in cui il trattamento conservativo non ottenga risultati può venire proposto l'intervento chirurgico. Esistono varie possibilità. L'intervento classico è la colposospensione a cielo aperto (secondo Burch). Si tratta di un intervento che usa la via retropubica e che prevede l'innalzamento del collo vescicale e dell'uretra. Nel medio-lungo termine l'intervento si è dimostrato più efficace delle opzioni non chirurgiche, ma può essere gravato da alcune complicanze post-operatorie, da dolore addominale, dispaurenia, aumentata attività del muscolo detrusore vesciale. L'intervento di colposospensione può essere effettuato anche per via laparoscopica, che sembra efficace come l'intervento tradizionale, con un tasso di complicanze probabilmente simile.
Un intervento alternativo alla colposospensione sono le fionde suburetrali (sling suburethral o fascial sling degli autori anglosassoni). In questo tipo di intervento vengono inserite delle fionde di vario materiale ad imbragare l'uretra; queste fionde sono poi fissate in alto al muscolo retto addominale. L'efficacia di questo intervento sembra simile a quella ottenuta con la colposospensione.
Anche se colposospensione e fascial sling rimangono, per ora, il gold standard chirurgico, ultimamente sono state introdotte procedure meno invasive. La più usata è quella che va sotto il nome di banderelle vaginali senza tensione (tension-free vaginal tape o TVT degli autori anglosassoni). In questo caso, con tecnica minivasiva, viene inserita una banderella che imbraga l'uretra e la porta in posizione più elevata. La banderella viene poi fissata al tendine del muscolo retto, senza sottoporla a tensione; sarà la successiva retrazione cicatriziale a fornire il sostegno desiderato. Sembra che i risultati siano sovrapponibili a quelli ottenuti con le altre metodiche, però la TVT è gravata da un maggior rischio di lesioni vescicali rispetto alla colposospesione a cielo aperto. Recentemente è stata proposta una variante che prevede l'inserimento delle banderelle tramite il forame otturatorio invece che per via retropubica. I risultati paiono simili a quelli della TVT classica, ma mancano al momento studi con casistica e follow-up adeguati.

Renato Rossi


Referenze

1. Rogers GR. Urinary stress incontinence in women. N Engl J Med 2008 March 8; 358. 1029-1036
2. Shamliyan TA et al. Systematic Review: Randomized, Controlled Trials of Nonsurgical Treatments for Urinary Incontinence in Women. Ann Intern Med 2008 March 18; 148:459-473.
3. Holroyd-Leduc JM et al. What Type of Urinary Incontinence Does This Woman Have?
JAMA. 2008 March 26;299:1446-1456.
4. Smith PP et al. Current trends in the evaluation and management of female urinary incontinence.
CMAJ 2006 Nov 7; ;175:1233-40
5. Onwude J. Incontinenza urinaria da sforzo. Clinical Evidence Conciso. Edizione Italiana 2008, pag. 236-238



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