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Oppiacei nel dolore non oncologico?
Inserito il 24 giugno 2009 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Una breve sintesi sulle strategie da mettere in atto quando si decide per un trattamento con oppiacei del paziente con dolore cronico moderato/severo non di tipo oncologico.


Un interessante articolo di revisione ha sviscerato la problematica della somministrazione di oppiacei a pazienti affetti da dolore cronico non oncologico. Gli autori sono partiti dalla constatazione che sebbene gli oppiacei siano considerati la maggior risorsa terapeutica contro il dolore cronico vengono raramente usati nel dolore cronico non oncologico per una serie di ragioni che vanno del timore di creare dipendenza ed abuso alle remore di tipo medico-legale. Tuttavia in pazienti selezionati gli oppiacei sono efficaci e sicuri ed il loro uso è previsto sia dalle principali linee guida che dalla legislazione.
Gli oppioidi sono di solito efficaci nel dolore cronico di origine muscolo-scheletrica, meno in quello neuropatico.
Nella tabella che segue sono riportati i principali punti sottolineati dalla revisione.


1. I pazienti con dolore cronico moderato/severo di solito richiedono una formulazione di oppiacei a rilascio controllato oppure una combinazione di oppiacei che controlli il dolore, migliori il sonno, la compliance e la qualità di vita.
2. Gli oppioidi ad azione immediata dovrebbero essere usati solo per controllare il dolore che compare tra una dose e l'altra del preparato a lunga durata.
3. Prima di prescrivere una terapia oppiacea a lungo termine bisogna però identificare quei pazienti che potrebbero andare incontro a dipendenza od abuso. Esistono a tal proposito dei questionari che possono aiutare il medico.
4. Anche ricercare alcuni comportamenti messi in atto dai pazienti aiuta ad identificare i soggetti che corrono il rischio di abuso o dipendenza: per esempio la falsificazione delle ricette, procurarsi o prendere in prestito farmaci di altri pazienti, vendere le ricette, iniettarsi una preparazione orale, richiedere con insistenza una prescrizione oppure cercare di ottenere il farmaco da strutture non mediche, uso di altri farmaci a rischio di abuso o dipendenza, richiesta di aumentare continuamente le dosi, richiedere nuove prescrizioni con la scusa che si è persa la ricetta. Anche altri comportamenti, seppur meno predittivi di addiction, sono da tenere sotto controllo: lamentarsi in maniera aggressiva per avere dosi più elevate, fare incetta del farmaco durante i periodi di minore sintomatologia, chiedere un farmaco specifico, riferire di aver provato ad aumentare le dosi senza ottenere un effetto benefico dal farmaco.
5. E' importante valutare l'anamesi del paziente alla ricerca di pregressa storia di tossicodipendenza o di abuso di psicofarmaci e tenere il conteggio delle quantità di farmaco prescritto.
6. Il paziente va rivalutato per esaminare l'intensità dei sintomi e decidere se sospendere la terapia nei periodi di quiescenza.
7. Considerare la presenza di effetti collaterali. Quest'ultimo punto è particolarmente importante: gli effetti avversi della terapia con oppiodi sono essenzialmente la stipsi, la nausea, il vomito, la sonnolenza, disfunzioni cognitive e la depressione respiratoria.
8. Eccetto che per la stitichezza molti di questi effetti scompaiono con la continuazione della terapia. La stipsi invece deve essere prevenuta, nei limiti del possibile, usando sia lassativi di tipo stimolante che sostanze che rendono le feci più soffici.
9. In caso di effetti di tipo neuropsichiatrico può essere utile ridurre la dose. A tal fine si può ricorrere alla associazione di un analgesico non oppiode.
10. Per quanto riguarda la depressione respiratoria, si tratta di un effetto collaterale che si sviluppa raramente se si ha l'avvertenza di titolare con cautela le dosi.




Fonte:

Nicholson B and Passik S. Management of Chronic Noncancer Pain in the Primary Care Setting.
Southern Medical Journal. 2007 October. 100:1028-1036.



Commento di Renato Rossi

Il paziente con dolore cronico non oncologico di intensità da moderata a grave rappresenta una sfida per il medico. Di solito si tratta di dolore di tipo osteo-articolare o fibromialgico, talora neuropatico o viscerale. Le scelte terapeutiche di prima linea sono i FANS e gli analgesici non oppioidi (+ eventualmente un oppioide debole).
I FANS possono risultare efficaci, ma molti sono i pazienti che rispondono parzialmente o non rispondono; in altri casi l'efficacia dei FANS è limitata dal rischio di effetti collaterali legati all'uso cronico, sia di tipo gastrointestianle che cardiovascolare. Non di rado poi il pazienta presenta controindicazioni all'uso degli antinfiammatori.
Gli analgesici non oppiodi sono un' alternativa, ma anche in questo caso l'efficacia è estremamente variabile ed in molti casi non duratura. Esistono in commercio associazioni precostituite di analgesico e oppioide debole che possono essere usati vantaggiosamente in molti casi, soprattutto per il dolore non severo.
Tuttavia numerosi studi hanno documentato che una larga percentuale di soggetti affetti da dolore cronico continua a lamentare sintomi e dichiara di trovare solo un beneficio limitato dai farmaci usati come prima scelta. Viene allora spontaneo pensare alla terapia con oppiacei, tuttavia le remore del medico sono numerose: il pericolo di provocare assuefazione con l'uso prolungato di questi farmaci, il timore di ripercussioni di tipo legale in caso di eventuali controlli, la possibilità di effetti collaterali.
Per quanto riguarda il rischio di provocare assuefazione, abuso o dipendenza, gli studi forniscono dati contraddittori: secondo alcuni non vi sarebbe un aumento di questi fenomeni in chi viene trattato cronicamente con oppiacei rispetto alla popolazione generale, secondo altri questo pericolo risulta invece reale. L'articolo di revisione recensito in questa pillola può essere di aiuto per il medico che scelga questa strada per minimizzare il rischio di creare un paziente con "addiction" agli oppiodi, per ridurre gli effetti collaterali e, last but not least, per migliorare la qualità di vita del paziente stesso. Sicuramente si tratta di una scelta non facile, ma probabilmente penalizzata da troppi timori non sempre fondati. Di importanza fondamentale è il controllo in tempi ravvicinati dell' efficacia della terapia, in modo da personalizzare le dosi, nonchè della effettiva necessità di continuarla o di ridurla o di sospenderla nei periodi di remissione della sintomatologia.
In conclusione: l'uso degli oppiodi può e deve essere previsto in pazienti selezionati che non rispondono alle terapie di prima linea (FANS e/o analgesici non oppiodi). Un attento monitoraggio del trattamento permette al medico di affrontare queste situazioni con relativa tranquillità e con ragionevole sicurezza.
Un aspetto da non trascurare è, infine, l'informazione del paziente. Spesso è quest'ultimo che rifiuta l'uso degli oppiacei quando se li vede proporre, associando erroneamente questi farmaci a situazioni terminali. Bisogna allora spiegare con pazienza ed in termini facilmente comprensibili che gli oppiacei non sono solo farmaci per il paziente con il "cancro", che il loro uso è previsto anche in situazioni di dolore cronico che non risponde ad altri farmaci, che i rischi e gli effetti collaterali ci sono, ma che questa è una prerogativa di tutti i trattamenti medici: con la sua collaborazione la terapia potrà essere effettuata in modo sicuro e potrà essere interrotta quando non ce ne sarà bisogno. Per fortuna spesso le condizioni caratterizzate da dolore cronico hanno un andamento spontaneo caratterizzato da periodi di recrudescenza alternati a periodi di benessere o di dolore di intensità ridotta, e questo permette di modulare la terapia sulla base delle effettive necessità del paziente.



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