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Appropriatezza prescrittiva dei farmaci: ma si può calcolare?
Inserito il 16 dicembre 2008 da admin. - scienze_varie - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Disegnare alcuni scenari ipotetici può aiutare a comprendere quanto sia arduo definire cosa si intende quando si parla appropriatezza prescrittiva dei farmaci.

Spesso si ritiene che una riduzione della spesa farmaceutica voglia dire, tout court, miglior appropriatezza della prescrizione dei farmaci. Questo concetto ha ispirato la stipula di Patti Aziendali con le ASL che incentivano la prescrizione di farmaci, a parità di efficacia, dal costo minore. Il principio è ovviamente del tutto condivisibile: considerato che ogni ricetta del SSN costituisce un assegno che poi tutta la collettività deve pagare, è del tutto corretto che, se due farmaci sono egualmente efficaci nel trattare una determinata patologia, si debba dare la preferenza a quello più economico, fatte salve intolleranza, inefficacia o controndicazioni da valutare nel singolo paziente.
Tuttavia valutare l'appropriatezza solo sulla base di un indicatore grossolano come il costo non ci sembra "appropriato" (ci scusino i lettori per il gioco di parole).
Per dimostrarlo ricorreremo ad un esempio: si supponga che per trattare la patologia "X" siano disponibili 10 farmaci appartenenti alla classe "A", dal costo molto diverso l'uno dall'altro, ma dalla efficacia sovrapponibile. Viene siglato un Patto Aziendale che prevede l'uso preferenziale dei farmaci più economici.
A questo punto, dopo un anno che il Patto è in vigore, si tirano le somme. I parametri che generalmente vengono presi in considerazione sono da un lato la spesa globale per i farmaci della classe "A" e dall'altro il numero totale dei pazienti che è stato trattato con questi prodotti.
Si possono ipotizzare tre macroscenari a seconda se il numero dei pazienti trattati è rimasto uguale, è aumentato oppure si è ridotto rispetto al dato storico (baseline).
A sua volta ogni macroscenario prevede tre sottoscenari a seconda se la spesa totale per i farmaci della classe "A" si è mantenuta stabile, si è ridotta oppure è aumentata rispetto al baseline. In totale quindi si possono prevedere nove scenari diversi.
Proviamo ad analizzarli uno per uno.


Il numero totale dei pazienti trattati è rimasto invariato


La spesa è rimasta invariata
In questo caso non è possibile alcuna considerazione rispetto al baseline.

La spesa si è ridotta
In questo caso la riduzione di spesa è dovuta ad uno spostamento delle prescrizioni verso i farmaci a minor costo. Poichè si è ipotizzato che tutti i farmaci della classe "A" sono ugualmente efficaci, il dato è ovviamente positivo. Si noti comunque che poco si può dire circa l'appropriatezza vera e propria, in quanto non si può escludere che ci siano pazienti sottotrattati o addirittura non trattati.

La spesa è aumentata
In questo caso l'aumento della spesa è dovuto allo spostamento delle prescrizioni verso i farmaci più costosi. Il dato quindi ha una valenza negativa. Tuttavia è possibile anche una spiegazione alternativa, almeno in via speculativa: i farmaci più economici sono egualmente efficaci, ma gravati da effetti collaterali maggiori per cui si rende necessario ricorrere alle alternative più costose. Ovviamente quest'ultima rimane un'ipotesi che andrebbe poi dimostrata sul campo.



Il numero totale dei pazienti trattati è aumentato


La spesa globale è rimasta invariata
Il dato può essere interpretato come positivo in quanto sono stati trattati più pazienti usando i farmaci meno costosi. Tuttavia è possibile un'altra spiegazione: sono stati usati farmaci meno costosi, ma sono stati anche trattati pazienti che non avevano bisogno del trattamento.
Questa distorsione potrebbe dipendere dal fatto che per rientrare negli obiettivi programmati dal Patto (per esempio una percentuale "tot" di prescrizioni deve essere con i farmaci a costo più basso) alcuni medici hanno aumentato la quota dei pazienti posti in terapia, anche se non vi erano delle stringenti indicazioni cliniche. Ipotesi ovviamente non augurabile, ma teoricamente possibile.

La spesa globale è aumentata
Anche in questo caso sono possibili interpretazioni diverse. Se l'aumento dei pazienti trattati è dovuto ad una migliore attenzione dei medici verso la patologia "X", il dato è in sè positivo, ma, a questo punto, bisogna anche valutare la spesa pro-capite per vedere quali farmaci sono stati privilegiati. Se invece l'aumento dei pazienti trattati risponde alla logica ipotizzata nel punto precedente, il dato è negativo anche se la spesa pro-capite fosse diminuita rispetto al baseline.

La spesa globale è diminuita
In questo caso il dato può essere visto come positivo, se l'aumento dei pazienti trattati è dettato da motivi clinici corretti: si avrebbe una maggiore appropriatezza clinica ed economica.
Tuttavia, sempre in teoria, si potrebbe ipotizzare che sono stati trattati pazienti che non ne avevano bisogno, pur usando i farmaci meno costosi, nella logica di rimanere entro le percentuali stabilite dal patto. In questo caso non si può certo parlare di appropriatezza, anche se la spesa si è ridotta.


Il numero totale dei pazienti trattati è diminuito


La spesa globale è rimasta invariata
Sono possibili almeno due interpretazioni. La prima è positiva: i medici hanno trattato solo i pazienti che ne avevano bisogno, il che indica che in precedenza vi era un sovratrattamento non necessario. La seconda è negativa: ossessionati dagli obiettivi di riduzione della spesa i medici hanno ridotto la percentuale dei pazienti in trattamento, a scapito anche di chi ne aveva bisogno.
Comportamento sicuramente non etico e che non ci auguriamo, ma che, in teoria, quando si disegnano i vari scenari possibili, deve essere considerato.

La spesa globale è diminuita
In questo caso la riduzione della spessa deve essere considerata alla luce dell' appropriatezza clinica: se la riduzione dei pazienti trattati risponde a criteri clinici il dato è positivo; in caso contrario si rientra nella malaugurata ipotesi illustrata al punto precedente, e quindi ad una riduzione della spesa non corrisponde un' appropriatezza clinica.

La spesa globale è aumentata
Si può ipotizzare che la riduzione dei pazieti trattati corrisponda a motivazioni cliniche e però le prescrizioni abbiamo privilegiato i farmaci più costosi. Il dato viene considerato come negativo, ma è sempre possibile che questo dipenda da un maggior numero di effetti collaterali a carico dei farmaci più economici (ipotesi che poi andrebbe verificata sul campo). Al contrario se la riduzione dei pazienti trattati risponde ad una pura logica di tentativo di riduzione della spesa, il dato è ovviamente negativo.



Conclusioni


Questi scenari, ovviamente schematici, sono un tentativo incompleto di dimostrare quanto sia arduo definire l'appropriatezza prescrittiva basandosi solo due parametri "bruti" come la spesa globale e il numero dei pazienti trattati e non pretendono di esaurire tutta la complessa questione. Definire l'appropriatezza di una prescrizione farmacologica è affare molto difficile, richiede ragionamenti articolati e non può prescindere dall'esame di ogni singolo caso. Insomma, tra il dire e il fare, questa volta, c'è di mezzo un oceano.
In generale il processo prescrittivo prevede in una prima fase una valutazione clinica che consiste nell'individuare i pazienti che realmente necessitano di un trattamento e successivamente nello scegliere i farmaci che hanno prove di efficacia più forti. Questa fase potrebbe essere definita appropriatezza clinica. Vi è poi una seconda fase, che potremo chiamare appropriatezza economica, che consiste nel privilegiare i farmaci meno costosi a parità di efficacia. Ovviamente questa seconda regola prevede delle eccezioni: per esempio se esistono controindicazioni, intolleranze o non efficacia nel singolo paziente del farmaco più economico, diventa appropriato passare a quello più costoso. D'altra parte se per trattare una determinata condizione patologica si hanno a disposizione due farmaci, uno più costoso, ma più efficace, e uno meno costo e meno efficace, è corretto prescrivere il primo sia dal punto di vista clinico che economico (data la maggiore efficacia vi sarà un risparmio di esiti negativi e quindi un futuro risparmio economico).
Da quanto esposto ci sembra sia chiaro che non necessariamente chi spende meno è più virtuso, in quanto la spesa più bassa potrebbe dipendere da un sottotrattamento, se non da un mancato trattamento (si pensi per esempio a tutto il vasto capitolo della prevenzione cardiovascolare). D'altra parte non necessariamente chi spende di più è meno virtuoso: la spesa più elevata potrebbe dipendere da una particolare casistica di pazienti o da condizioni locali particolari. Anche la pesatura dei pazienti proposta da alcuni (in base all'età o ai codici di esenzione per patologie) non può rendere conto di tutta la complessità clinica che ogni medico deve affrontare. Per esempio due medici potrebbero avere un numero eguale di pazienti diabetici, ma il primo una spesa per questa patologia più elevata. Questo potrebbe dipendere dal fatto che ha molti più diabetici di difficile controllo glicometabolico, per cui è costretto ad usare molti più farmaci. Oppure da un diverso atteggiameto dei due medici, uno teso ad ottenere un controllo glicemico più stringente dell'altro o un miglior trattamento dei fattori di rischio. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi: prevenzione cardiovascolare, trattamento del paziente asmatico, ecc.
E' evidente che situazioni di tale sfaccettatura non possono essere catturate e valutate sulla base di parametri generali, per quanto corretti con vari espedienti di pesatura.
In definitiva quello che ci preme sottolineare è che giudicare la reale correttezza prescrittiva non è semplice e, comunque, deve basarsi sull'esame dei singoli casi e mai su astratte medie prescrittive, che poco sanno di clinica e di scienza.



Renato Rossi


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