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Quali farmaci per prevenire e curare la demenza?
Inserito il 24 gennaio 2010 da admin. - neurologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Secondo uno studio del BMJ i sartani sarebbero associati ad una significativa riduzione di incidenza e progressione di malattia di Alzheimer e di demenza rispetto ad ACE o altri farmaci cardiovascolari in una popolazione prevalentemente maschile, ma il risultato va interpretato con cautela.


La demenza, inclusa la malattia di Alzheimer, è una delle maggiori minacce per la salute pubblica e rappresenta anche un costo economico per la società. Le cause della demenza e della malattia di Alzheimer in particolare, sono complesse ma la ricerca si sta focalizzando ultimamente su tre importanti fattori di rischio —età, accumulo di β amiloide nel cervello, e deterioramento del sistema cardiovascolare. Alcuni studi hanno trovato che fattori di rischio cardiovascolare nella mezza età, quali ipercolesterolemia, ipertensione e diabete contribuiscono allo sviluppo di demenza e si ritiene che i farmaci usati per trattare questi fattori di rischio possono ridurre anche l’incidenza di demenza.
Partendo dal fatto che non si conoscono bene gli effetti sia degli ARB che degli inibitori degli enzimi di conversione dell’angiotensina (ACE) sulla demenza, gli autori hanno voluto valutare se gli ARB abbiano o meno effetti protettivi contro la demenza e la malattia di Alzheimer o contro la loro progressione.
Hanno utilizzato come disegno dello studio un’analisi prospettica di coorte, hanno ricavato i dati dal database amministrativo della US Veteran Affairs, nel periodo dal 2002 al 2006.
La popolazione in indagine era costituita da 819 491 partecipanti, prevalentemente di sesso maschile (98%), di età 65 anni o più con malattia cardiovascolare.
Le principali misure di esito sono state: il tempo per incidenza di malattia (di Alzheimer o demenza) in tre coorti (bloccanti recettori angiotensina-ARB-, lisinopril, e altri farmaci cardiovascolari, i “comparatori cardiovascolari”) in un periodo di quattro anni (anni fiscali 2003-6) utilizzando i modelli proporzionali di rischio Cox con aggiustamenti per età, diabete, stroke, e malattia cardiovascolare. La progressione di malattia veniva valutata dal tempo di ricovero in una “nursing home” o morte tra i partecipanti con pre-esistente malattia di Alzheimer o demenza.

Risultati
I tassi di rischio per incidenza di demenza nel gruppo bloccanti recettore dell’angiotensina (ARB) erano 0.76 (95% intervallo di confidenza da 0.69 a 0.84) rispetto a comparatori cardiovascolari e 0.81 (da 0.73 a 0.90) rispetto al gruppo lisinopril.
Rispetto ai comparatori cardiovascolari, i bloccanti i recettori dell’angiotensina (ARB) in pazienti con pre-esistente malattia di Alzheimer erano associati con un rischio significativamente più basso di ricovero in una “nursing home” (0.51, da 0.36 a 0.72) e morte (0.83, da 0.71 a 0.97).
I bloccanti i recettori dell’angiotensina (ARB) hanno mostrato una relazione dose-risposta ed effetti additivi in combinazione con gli inibitori degli enzimi di conversione dell’angiotensina (ACE).
Questa combinazione, rispetto agli inibitori degli enzimi di conversione dell’angiotensina (ACE) da soli, era associata ad un rischio ridotto di incidenza di demenza (0.54, da 0.51 a 0.57) e di ricovero in una “nursing home” (0.33, da 0.22 a 0.49).
Sono state osservate differenze minori nella pressione sistolica e diastolica tra i gruppi. Risultati simili sono stati osservati per la malattia di Alzheimer.

Conclusioni degli autori
Gli ARB sono associati con una significativa riduzione di incidenza e progressione di malattia di Alzheimer e di demenza rispetto ad ACE o altri farmaci cardiovascolari in una popolazione prevalentemente maschile.

Commento degli autori
Una delle misure usate per la progressione di malattia è stato il ricovero in “nursing home”, La robusta riduzione di tali ricoveri associata all’uso d ARB è un’osservazione particolarmente importante che potrebbe avere maggior impatto sulla salute pubblica se validata da studi futuri. La forza e la consistenza dell’effetto in ciascuna delle differenti analisi supporta la validità di questi risultati. L’uso di ARB era associato con un significativo profilo dose-risposta per incidenza di demenza, con l’ARB candesartan (che penetra la barriera emato-encefalica) che mostrava la più forte riduzione dose-dipendente di incidenza di demenza. Entrambe le classi di farmaci (ARB ed ACE) hanno mostrato benefici aggiuntivi, il che è compatibile con la loro comune attività sul recettore AT1. Sono stati osservati effetti aggiuntivi solo per il lisinopril e per gli ACE. I benefici additivi di entrambe le classi di farmaci sono compatibili con recenti trial clinici prospettici. La terapia combinata, quindi, potrebbe essere di particolare beneficio per i pazienti. Gli effetti associati con l’uso additivo dei farmaci e con lo switching tra le due classi indica che gli ARB sono associati con esiti migliori rispetto agli ACE, come dimostrato da un effetto maggiore osservato con una dose più elevata e con l’uso combinato di ARB ed ACE.

Limitazioni dello studio
Lo studio ha coperto un periodo di cinque anni. Una cornice di tempo maggiore, tuttavia, avrebbe potuto essere associata ad un esito più robusto perché gli studi hanno dimostrato che fattori di rischio cardiovascolare esercitano il loro impatto sulla demenza a cominciare dall’età media
Una errata classificazione, quale errata diagnosi o informazioni mancanti, è un fattore importante che avrebbe potuto dare bias sui dati fino all’ipotesi nulla.
Studi da database di popolazioni sono inclini ad altri tipi di bias. La comorbidità può essere differente tra coorti. Infatti, il diabete e lo stroke sono stati associati in maniera significativa ad alcuni degli esiti. Tuttavia, tali condizioni erano associate ad alti tassi di malattia di Alzheimer e demenza, la qual cosa avrebbe dovuto tendere a ridurre l’entità di ogni associazione di ARB con tassi ridotti di queste malattie.
Sebbene sia stata paragonata la pressione arteriosa media tra i gruppi (non si sono osservate differenze), non si è potuto determinare un abbassamento della pressione arteriosa media per ARB e ACE. Gli studi hanno suggerito che queste classi di farmaci raggiungono livelli simili di calo pressorio, differenze tra i gruppi potrebbero contribuire all’ipotetico beneficio nei confronti della demenza associato all’uso di ARB.
Molteplici bias di indicazione potrebbero diluire gli effetti dei nostri risultati e ciò potrebbe dare bias fino all’effetto di ipotesi nulla.
La natura aperta del sistema medico negli USA solleva anche la possibilità di un bias tra i partecipanti, utilizzando il Veterans Affairs healthcare system.
Un bias aggiuntivo potrebbe derivare da ancora altre cause. Il ricovero in una nursing home dipende da fattori che sono indipendenti dalla demenza, quali la capacità dei care givers di prendersi cura dei pazienti. Bias possono anche derivare dall’uso delle nursing home, perchè i partecipanti possono variare nella loro scelta di nursing homes affiliate con il Veterans Affairs system o sistemi privati. Circa la metà dei partecipanti nel Veterans Affairs system hanno scelto le nursing homes affiliate al Veterans Affairs. L’analisi dei ricoveri nelle nursing home sulla base del nursing homes affiliate al Veterans Affairs system potrebbe introdurre un bias generale di selezione nelle nostre coorti, ma tale bias ha bisogno di essere valutato nel contesto di tassi simili di perdite al follow-up e uso di coorti basate su classi simili di farmaci che siano anche simili per altre misure esaminate. La caratterizzazione del bias legato alla scelta delle nursing home richiede l’armonizzazione del database Veterans Affairs and Medicare, che non è stata ancora raggiunta.
Potrebbero esistere altri bias dovuti a variabili non misurate quali variabili strumentali (per esempio, stato economico, esercizio).
Studi farmacoepidemiologici di farmaci sul rischio di demenza devono essere valutati in ampie popolazioni che permettono adeguata potenza statistica per controllare i confondenti da indicazione.

Conflitto di interessi
Gli autori del presente lavoro hanno dichiarato di aver ricevuto grant dalla Retirement Research Foundation ed una donazione dalla Casten Foundation.



Fonte:

Li Nien_chen et al.Use of angiotensin receptor blockers and risk of dementia in a predominantly male population: prospective cohort analysis. BMJ 2010 Jan 16; 340:b5465




Commento di Patrizia Iaccarino

Nel loro editoriale di accompagnamento al lavoro, Colleen J Maxwell e David B Hogan sottolineano la gravità della situazione demenza-Alzheimer: 36 milioni di persone nel mondo ne sono affetti e il loro numero potrebbe raddoppiare nei prossimi 20 anni, per cui è fondamentale il ruolo della prevenzione e della ricerca che attualmente si sta focalizzando sui fattori di rischio vascolare. Anche se studi su cellule e su animali suggeriscono un effetto neuroprotettivo degli antipertensivi, gli autori giustamente sostengono che “la plausibilità biologica non equivale alla efficacia clinica”; inoltre, se vi è un effetto protettivo non è chiaro se esso dipenda dal calo dei valori pressori o da altri meccanismi (le evidenze sono molteplici e contrastanti) .
Maxwell e Hogan sottolineano, inoltre, al di là dei bias ammessi dagli autori stessi, la presenza di altri bias, quali storia familiare di demenza, educazione e grado di severità della malattia, oltre ad altri problemi di errata classificazione iniziale e durante il follow-up, nonché il tempo di quattro anni, da ritenersi breve. Altri problemi sono: la mancata randomizzazione del trattamento, le disparità etniche e razziali nell’uso di antipertensivi, quali gli ARB, che non sono state riportate, nonché la impossibile generalizzazione al sesso femminile (solo il 2% della coorte). Per cui concludono che sono necessari ulteriori lavori per verificare l’utilità degli antipertensivi e degli ARB in particolare nella prevenzione della demenza.
Non possiamo, quindi, che convenire con le conclusioni dell’editoriale che sembrano consigliare cautela nei confronti di conclusioni discutibili tratte da dati poco affidabili,
che possono rischiare di divenire propaganda





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