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DIRITTO DI CRONACA
Inserito il 28 febbraio 2023 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

[I recenti eventi accaduti a Firenze con una rissa davanti ad una scuola, polemiche, lettere e articoli di giornale mi hanno fatto tornare in mente questo vecchio episodio scritto anni fa, in epoca non sospetta. Non bisogna credere a tutto cio' che si legge sui giornali!]



Serenella mi guardava fisso, senza spostare lo sguardo di un millimetro, decisa; il Sachem restituiva uno sguardo ingrifato, altrettanto deciso. Era un po’ di tempo che andava avanti questo silenzioso duello e nessuno dei due sembrava aver voglia di mollare. Bruno seguiva la cosa, con un mezzo sorriso divertito che, temevo, sarebbe presto sfociato nella sua risatona.

D’ altra parte era comprensibile: lo spettacolo del Sachem che squadrava feroce una ragazzina di dieci - undici anni che a sua volta gli teneva testa con altrettanta ferocia doveva essere abbastanza comico…

“ No, no, no! – feci io – non rilascio interviste per il giornalino scolastico!”

“ Lo devi fa, Sachè, a chi altro vuoi che gli faccio l’ intervista?”

“ Si dice ‘che gli faccia ’, Serenè! – risi - ma ché, vuoi fare la giornalista e non sai nemmeno usare i congiuntivi?”

“ Sachè, è inutile che sfotti! Eri tu che dicevi che qui in borgata, se parli troppo pulito, nun te capisce nessuno!”

Cacchio, mi aveva pizzicato! L’ avevo detto proprio io! E quella pestifera ragazzina approfittò del mio attimo di esitazione per affondare il colpo mortale:
“ E se non mi aiuti, te li puoi scordare gli inviti a pranzo a casa nostra! E i rigatoni al tonno e gorgonzola, quelli che fa mia mamma e che ti piacciono tanto, non te li facciamo vedere nemmeno col binocolo”.

Fu un colpo sleale, che aggirò le mie difese e affondò in profondità. Bruno, che seguiva il duello, scoppiò a ridere, si era già capito chi aveva vinto.

“ Va bè, Serenè, ma solo perché sei tu, e sai che ti voglio bene. Sia chiaro, i rigatoni non c’entrano niente, io non cedo mai a questi vili ricatti!” .

Lei rise, risi anch’ io; poi si aggiustò sul nasino gli occhiali di plastica che le davano quell’adorabile aria di sapientina e fece scattare la biro.

“ Allora? Ricordati che devo far fare bella figura alla scuola”.
“ Ma cosa vuoi che ti racconti? Capisci, in ogni caso dovremo pure mascherare un po’ la storia per non far riconoscere i protagonisti, la privacy. Fammici pensare… Trovato! Vogliamo parlare del problema razziale a Collerotto? ”.

Serenella mi guardava senza capire “Problema razziale?”.

“ Ma sì, gli immigrati, dall’ est ma soprattutto gli africani, quelli con la pelle colorata , quelli che variano dal caffellatte chiaro a nero carbone, quelli discriminati, quelli maltrattati e picchiati per via del colore della pelle!”.

Serenella mi guardava come se fossi impazzito “A Sachè, ma de che stai a parlà ???” .

“ Mia giovane ed ingenua amica devi renderti conto che per diventare una grande giornalista bisogna toccare argomenti politicamente corretti ma contemporaneamente di rottura, di forte impatto sociale, che sappiano destare nei lettori un senso di sdegno e recriminazione verso gli altri lasciando nel contempo una sensazione di appagamento verso sé stessi, qualcosa come “Ma guarda che gente orribile c’è in giro, mica come noi che siamo così buoni”. Quindi - conclusi – parleremo di razzismo, nella versione di Collerotto. Guarda, è giusto che tu stia a sentire i fatti, poi starà a te, da giornalista, decidere come presentarli.
Però, se non ti dispiace, voglio togliermi la soddisfazione di raccontare le cose proprio come sono successe”.

Presi un attimo per radunare le idee, e cominciai:
“ L’ episodio che ti voglio raccontare è successo qualche anno fa, quando Ahmed, ragazzo di colore che frequentava la tua stessa scuola, venne a lite all’ uscita con un paio di ragazzotti locali con cui ebbe un rumoroso alterco. Il giorno dopo venne a scuola con un occhio nero (poco visibile, dato che si confondeva con lo sfondo) e una guancia gonfia.

Alla lite aveva assistito da lontano la professoressa Magherini, zitellaccia acida e piantagrane (te lo assicuro, la conoscevo personalmente) che vedendo la faccia di Ahmed entrò dalla preside ululando all’ aggressione razzista, alla violenza minorile, alla pericolosità sociale delle borgate.

La preside cercò invano di placarla: la Magherini presentò un esposto ai carabinieri, mandò una lettera al provveditorato, chiamò un giornalista amico di famiglia, chiamò a raccolta un po’ di attivisti politici locali, insomma armò un bordello”.

Sguardo di riprovazione di Serenella.

“ No, scusa, non usare ‘sto termine… Diciamo che creò un … casino? No, no, non va bene neanche così, meglio … un finimondo. Sì, finimondo si può scrivere, no?”
Sguardo di approvazione di Serenella che appuntò sul notes “Armò un finimondo”.

“ L’ amico giornalista incluse un brevissimo trafiletto nella cronaca locale, niente di ché, poche righe, che però finirono sotto gli occhi di un assessore comunale, che ne parlò al sindaco, che, in un momento di stanca ritenne di cavalcare la faccenda per vivificare il clima politico, allora un po’ fiacco.
Puoi immaginare lo sconvolgimento quando arrivò alla scuola l’ avviso che il sindaco sarebbe venuto in visita per discettare del problema dell’ intolleranza razziale e della violenza nelle scuole”.

Serenella: “ Chi era il Sindaco, a quel tempo?”
Sachem: “Boh, il nome non me lo ricordo. E non fare quell’ aria scettica”.
Serenella, sguardo interrogativo e aria sempre più scettica…
“ Va bè, posso dirti che era abbastanza giovane, con un sorriso sdolcinato stampato sul volto, sempre così buono, sempre così affettuoso e gentile che i suoi avversari politici lo chiamavano Piacione. Tu lo sai cosa vuol dire no? Quel sorriso un po’ smielato che i seduttori usano quando vogliono far colpo sulle donne.
E che colpo fece quel giorno! Le professoresse si sdilinquivano ai suoi piedi (sdilinquire, dopo ti faccio lo spelling, ok?).
“ Com’è bello! Sospirava la Gesuelli, quella di ginnastica.
“ E che sguardo intelligente!” Sottolineava la Magherini.
“ Che uomo, che forza di carattere” ammiravano le altre professoresse.

Gli uomini erano un po’ più tiepidi, ma tanto cosa contavano i professori maschi in quella scuola? E così, in una palestra riempita di sedie rubate alle aule per cercare di sembrare un’ aula magna, affollata di adulti in pompa magna e di ragazzini puliti e pettinati per la prima volta in vita loro, il sindaco, sempre attento a rivolgere alle telecamere il suo lato migliore, pronunciò un vibrante discorso sui valori fondamentali del viver civile tenendo paternamente una mano sul capo crespo di Ahmed.
Che successo per la scuola, che stavolta finì nella cronaca dei giornali importanti e nei telegiornali locali!”

“ Non capisco bene il senso di questo racconto!” interruppe la piccola quattrocchi. “ È roba vecchia e già pubblicata. Però raccontata da un furbastro come te immagino ci sia dell’ altro. Sachè, dove vuoi arrivare?”.
“ Bè, io stavo lì in un angolo della palestra e mi stavo godendo tutta la scena. E sghignazzavo sottovoce, senza farmi notare.
Perché vedi, c’era un aspetto rimasto nell’ ombra: è vero che Ahmed aveva litigato con alcuni compagni di borgata, solo che il razzismo non c’entrava niente. Aveva rubato ad un compagno più piccolo i soldi per la merenda, e gli altri lo avevano aspettato all’ uscita della scuola per un giusto “recupero crediti”. Ma la cosa era successa fuori della scuola, la Magherini, a rigore , non doveva entrarci per niente!”.

“Va bene, Sachem, ma continuo a non capire il senso: perché la cosa non è saltata fuori? Oltretutto lo hanno pestato sul serio, no? Un occhio nero e la guancia gonfia. Come puoi essere certo che il razzismo non c’entrasse? E lui forse, povero africano, si è sentito prevaricato, minacciato, e non ha nemmeno avuto il coraggio di denunciare i suoi picchiatori”.

Ridacchio un po’ beffardo.
“Vedi, ha preferito che le cose rimanessero così, senza fare niente perché altrimenti i genitori lo avrebbero fatto nero – rido più forte al doppio senso di un nero “fatto nero” - Perché vedi, oltre ad aver derubato un compagno, la cosa poteva diffondersi in tutta la scuola marchiando come ladro lui e la sua famiglia. Perciò per chiudere la faccenda era stato punito, col consenso della famiglia, secondo le leggi non scritte della borgata.
Sai – faccio pensieroso – all’ epoca ero più giovane, non mi rendevo mica conto di allungare sberle così pesanti. – E mentre Serenella mi guardava a bocca aperta - “ Eh, sì, da quel giorno Ahmed si comportò molto meglio di prima. La gente pensò che si fosse commosso per il discorso del sindaco... Figuriamoci!
Però ha avuto anche lui i suoi vantaggi: ha evitato di essere pubblicamente additato come ladro e ha fatto anche la figura della povera vittima. A casa conserva ancora la foto del Piacione che gli tiene la mano sul capo, e l’ occhio nero, in quella foto non si vedeva già più… Ha pure trovato un buon lavoro...

Serenè – aggiungo – sai perché ti ho raccontato ‘sta storia? Perché se farai la giornalista (e sono sicuro che saresti bravissima) dovrai renderti conto che le cose non sempre sono come appaiono, che a volte un giornalista può smuovere eventi molto più grandi di quanto sembrino all’ inizio, magari distorcendoli un po’, e che la giustizia a volte passa tra le manacce di un Sachem di borgata anziché tra quelle di un signorotto tutto lustro.
Va bene, adesso racconta pure la storia come ti pare, ma ricorda che in fondo, se alteri un poco i fatti senza danneggiare nessuno, puoi farla sembrare molto più bella, allegra e significativa.”.

Serenella si alzò con l’ aria un po’ stordita.
“Ho capito Sachè, almeno credo. – rifletté ad alta voce con quel tono un po’ pedantino che le veniva tanto bene – Presenterò l’ intervista col sistema io-domando-tu-rispondi e ti farò presentare la storia da un punto di vista generale, mettendo in risalto gli aspetti fondamentali come il valore degli insegnanti nella crescita dei giovani, l’ importanza della nostra scuola nel miglioramento dell’ ambiente di borgata, l’ importanza che ha avuto l’ apprezzamento da parte delle autorità per lo sviluppo della convivenza con gli immigrati, eccetera – una breve pausa - Credo che effettivamente sia inutile voler insistere su vecchi e sgradevoli aspetti nascosti, però per me è stato importante averlo saputo. Ho capito, Sachè, grazie per l’ intervista. Credo proprio che ne faremo altre.
E non fare quella faccia inorridita!”

Poi, come ripensandoci, guardandomi fisso – Vieni a pranzo da noi domenica, vero? C’è la solita pasta e se tu non ci sei, io poi, con chi litigo? - mi fece la linguaccia - Con te c’ è più gusto”.
“ Vengo, vengo, ma vengo solo per la cucina della mamma, sia chiaro! È solo per la pasta che riesco ancora a sopportarti!” Non le restituii la linguaccia solo perché c’era altra gente, ma lei capì lo stesso.

E mentre quella pestifera ma eccezionale ragazzetta si allontanava ridacchiando pensai che chi avrebbe avuto a che fare con lei probabilmente non avrebbe avuto vita facile.

Compatii un po’ i futuri uomini della sua vita, ma, conclusi, avrei voluto tanto avere avuto una figlia così.

RITORNO AL BAR DELLO ZOZZO – Daniele Zamperini – 2020 –


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