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GLI STRUMENTI DELLA GIUSTIZIA 2 - 3
Inserito il 03 dicembre 2022 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Continua dalla parte I
- LE CAMPANE DI COLLEROTTO – Parte 2
- I MULINI DI DIO - Parte 3




Non era Natale, e nemmeno una delle Feste comandate. A dire la verità non era nemmeno domenica. Uno straniero si sarebbe meravigliato a vedere tanta gente in chiesa, in un qualsiasi lunedì feriale. La chiesa era affollata di gente di borgata: molti uomini indossavano gli abiti da lavoro, e molte donne avevano dimenticato di togliersi il grembiule. Eravamo tutti lì, silenziosi.

C’era pure, seminascosto da un bavero rialzato, Tommaso, il “Professore”.

Casimiri me lo aveva segnalato, così avevo iniziato un lentissimo movimento avvolgente e io mi ero spostato, con Bruno, dietro di lui.
Apparentemente il Professore non ci aveva visti. Cosa difficile da credere, viste le dimensioni di Bruno. Tuttavia decise di mantenere il punto: non ci aveva visti.

“ Tommà, sei uno stronzo! Che ci sei venuto a fare, qui oggi?”
Lo prememmo ai due fianchi spingendolo verso l’ uscita laterale. Non resistette e dopo pochi secondi ci trovammo sotto il portichetto.
Pioveva a dirotto ma c’era una panchina di legno che sembrava miracolosamente asciutta; ci dirigemmo lì.

“Perché sei venuto? A rovinarci la giornata?” chiese ancora Bruno.
Lui abbassò il bavero e ci guardò: lo sguardo era spento, la barba lunga, nulla dell’ arrogante Professore che qualche anno prima se ne era andato come un ladro lasciando moglie e figlio senza dire niente.
“Lo sai il perché”

“ Tommà, ti rendi conto che te dovremmo massacrà? Hai lasciato Mariella, poverina, sola con il bambino, a tirarlo su facendo le pulizie in casa d’ altri, e pure incinta; ha abortito, lo sai questo, no? Sei sparito senza una parola, in una notte. Ti abbiamo cercato, tutti quanti, ma nessuno è riuscito a trovarti. Ti sei portato via i quattro soldi che avevate da parte, e se non ci fosse stato Don Bartolo, chissà Mariella che fine avrebbe fatto”.

Lui non ribattè: rimase immobile a guardarci fisso, muovendo solo le pupille per passare lo sguardo dall’ uno all’ altro. Non mi resi quasi conto che alle nostre spalle si erano aggiunte altre figure.
Poi sembrò riprendere l’ atteggiamento odioso dei vecchi tempi: “ Lo sai il perché - ripetè arrogante – E se non lo capisci, sei proprio uno stupido”.

La risposta, odiosa nella sua presunzione fece saltare i nervi a Bruno, che scattò con un pugno, colpendolo in faccia. Il maresciallo Parrocchi si era unito al gruppo, non visto, e a quel punto bloccò l’ altro braccio di Bruno, quello che stringeva una chiave inglese.
Tommaso crollò su pavimento, sanguinando dalla bocca.

Il Maresciallo tirò indietro Bruno parlando ad alta voce “ Ma che è successo, qui? Io non ho visto niente. Tommà, sei caduto? Ti sei fatto male? Ma come mai sei da queste parti? – poi, chinandosi su di lui – Passa domani in caserma, che dobbiamo fare due chiacchiere su certe vecchie questioni in sospeso”.
E si allontanò trascinandosi dietro Bruno.

Casimiri mi prese per un braccio e mi tirò indietro “ Sta alla larga, Sachè, te lo dice il dottore!”.
Mi tirai indietro di qualche centimetro continuando a fissare Tommaso, con occhi diversi. Mi accorsi meglio del pallore, della magrezza, dell’ aria malata che emanava da quel corpo, e mi parve di intendere ...

Tommaso si rialzò, barcollante ma ancora con aria di sfida negli occhi. “Sono venuto a riprendermi ciò che è mio – esclamò – la moglie che ho sposato e che è ancora mia moglie, ed ha ancora dei doveri verso di me. VERSO DI ME! – urlò – verso di me, non verso quel moccioso insignificante che finalmente si è levato dai piedi! Io sono malato – ringhiò verso Casimiri – si vede, no? e lei mi deve assistere! Mi deve assistere, coccolare, nutrire e obbedire, obbedire in tutto, quella puttana! Se lo deve guadagnare il Paradiso, no???”
E rise, sguaiato.
Sia io che Salvatore scattammo rabbiosi verso di lui, e fummo fermati per un pelo da Casimiri e dagli altri, prima di arrivare al contatto, perché in quel momento non eravamo più in grado di ragionare.

E fu in quel momento che la campana cominciò il suo lento rintocco. Il don – don – don lento e ritmato che accompagna il passo lento del funerale e che avverte tutti che, dopo l’ anima, un altro corpo stava per raggiungere l’ ultima dimora.

Fu strano, in fondo quelle campane le conoscevamo bene, tante volte avevano accompagnato l’ ultimo viaggio di qualche persona amica. Però sembrava che quella volta avessero un timbro diverso, più sottile, più argentino, perfino quasi gioioso; sembravano quasi risuonare di una voce infantile.

Parlavano, parlavano di vita, di gioia infantile, di giochi in mezzo alla strada, di compagnucci di scuola, di abbracci e di risatine. Sembrava che ci salutassero, che ci accarezzassero, sembrava che Renatino ci sussurrasse attraverso di loro di non piangerlo, che lui era in pace.
Non so come mai: ogni aggressività mi abbandono, sentii qualche lacrima scendermi per le guance e mi lasciai trascinare, inerte, verso il sagrato dove la folla cominciava a snodarsi dietro una piccola bara bianca…


" Ritorno al Bar dello Zozzo" - 2020



I MULINI DI DIO (Parte 3)

Le cose non andavano bene, a Collerotto, e perfino al bar l’ atmosfera sembrava diventata cupa e cattiva. Oddio, ci si vedeva sempre tra amici, si discuteva di questo e di quello, ma non era passato abbastanza tempo e se la conversazione cadeva per caso sulla faccenda di Renatino e Mariella calava una cappa cupa di malumore e di odio.
Dire “per caso” in realtà era un azzardo perché la faccenda, come un dente cariato, non riusciva ad essere dimenticata e rimaneva come un dolore nello sfondo.

Parrocchi stava indagando sulle vicende di Tommaso nel periodo in cui era scomparso all’ estero, ma non si era ancora riusciti ad arrivare a nulla di concreto. Mariella aveva ripreso a girare con le maniche lunghe, Tommaso manteneva quell’ aria malata e cadente che però si accompagnava sempre all’ atteggiamento aggressivo che lo aveva reso odioso a tanta gente.

“ È malato, Sachè, non so di preciso cosa abbia perché non si fa visitare da me, però è malato – Casimiri fece l’ occhiolino – Dato però che non è mio paziente, non sono tenuto al segreto professionale. Da comune cittadino (ora che mi fa comodo) ho notato quel colorito giallastro, il dimagrimento… direi che ha un qualcosa al fegato”.
“ Che bello! – esclamò il Guercione – vuoi dire che mò muore?”.
“ Magari! No, può essere un’ epatite, magari evoluta in cirrosi, può pure esserci qualche virus sovrapposto. Sapete, quando uno fa una vita come la sua nessuna legge vieta che di malattie se ne prenda due o tre insieme”.
“ Epatite C + AIDS ?” disse nuovamente Guercione, ancora speranzoso.
“ Forse, ma non posso esserne sicuro, e non si può sapere quanto durerà”
“ I mulini di Dio macinano piano, ma macinano fino” - intervenne in modo inatteso Marisa, la moglie di Bruno – avrà ciò che si merita!”.
“ Sì, va bè – fece quell’ ateo mangiapreti di Giulio – ma se vanno troppo piano che gusto c’è? – Si rivolse a Veronelli, il farmacista – Non c’è possibilità di dare una spintarella, accelerare un po’ le cose?”

Risposta negativa di Veronelli, con rammarico.
Rammarico generale.

Fatto sta che Tommaso cominciò ad avere una serie di strani “incidenti”.
Una volta inciampò dalla scala esterna di casa sua, dove un gradino si era spostato. Con dolore di tutti non si ruppe l’ osso del collo, ma solo un braccio.

Un’ altra volta mentre si arrampicava con cautela (ovviamente, col braccio al collo!) sulla scala a pioli per cogliere i frutti del fico nel giardino di casa, il ramo che sosteneva la scala si ruppe facendolo cadere e, stavolta, fratturandogli una caviglia.

“ Eh, sì – commentavano al bar – si sa che i rami del fico sono teneri, è imprudente caricarci sopra il peso. Magari si erano indeboliti…”.
E lo dicevano con un dispiacere che non si sapeva se rivolto alla frattura del piede o al fatto che ancora avesse salvato l’ osso del collo.

Un’ altra volta, mentre zoppicando girava per una strada sterrata della periferia di Collerotto sentì fischiare all’ orecchio una salva di pallini.
“Qualche bracconiere - commentarono al bar – Qualche dilettante, che non sa neanche maneggiare bene un fucile” scuotevano la testa i vecchi, quelli che ai vecchi tempi andavano con Zio Ivo alle battute di caccia alla lepre.

Fatto è che a Tommaso cominciarono a fischiare le orecchie per tutti ‘sti strani incidenti ma, rimanendo coerente a sé stesso (cioè un vero stronzo) anziché mantenere un basso profilo si mise ancora più platealmente a picchiare Marisa, qualche volta utilizzando addirittura un bastone.
Si mise anche ad esibire un mucchio di soldi che aveva “guadagnato” nelle sue avventure e che utilizzava però solo per sé.

Siccome le Canarine evitavano di aver rapporti con lui (sia per paura delle malattie, sia perché troppo sgradevole come persona) andava nelle borgate vicine, dove non lo conoscevano e si facevano incantare dai soldi. Tornava spesso completamente ubriaco, e per la povera Mariella quelle erano le nottate più brutte.

Fu una di quelle notti che, rientrando con la sua vecchia macchina, decise di prendere una strada secondaria, un vialetto sterrato che girava intorno all’ abitato. Era molto meno frequentato rispetto alla strada principale, e questo fu il pensiero che lo convinse: aveva un brutto presentimento e in questo modo sperava di evitare cattivi incontri e schioppettate nella notte.
Solo che la strada era davvero mal tenuta, piena di buche e di radici sporgenti, senza lampioni nè altre luci.
La macchina di Tommaso aveva un faro rotto e l’ altro faro acceso solo con le luci “corte”; lui poi guidava col tutore alla caviglia e un braccio ancora malandato. Non c’è da meravigliarsi perciò se con la ruota anteriore entrò in una buca poco visibile e ruppe il semiasse finendo nella cunetta.
Battè la testa contro il parabrezza, che lo ferì alla fronte.
Scese imprecando e zoppicando dalla macchina cercando di pulire il sangue che gli colava sugli occhi, e così, semiaccecato, cadde sui resti di una vecchia recinzione arrugginita e ormai semisepolta. Un paletto di ferro sporgente gli ferì una coscia, che prese immediatamente a sanguinare.

Tommaso si mise ad urlare, terrorizzato, gridando aiuto e cercando di fermare il sangue con le mani.

Quando lo trovarono il giorno dopo era morto. Aveva la bocca spalancata, l’ aria terrorizzata e le mani, con cui aveva cercato di trascinarsi, adunche e piene di sangue misto a terra.

Il paletto, come spiegò Casimiri, aveva leso l’ arteria femorale e l’ aveva fatto morire dissanguato.
La ferita era mortale, solo se fosse stato soccorso immediatamente forse avrebbe potuto salvarsi, però nessuno l’ aveva sentito.
Il fatto di avere ancora gli esiti delle frattura al braccio e alla gamba gli aveva anche impedito di trascinarsi carponi fino alle case.

Era morto in pochi minuti, solo, trascinandosi nel fango, ma non c’era dubbio che si fosse trattato di un incidente. E così venne chiusa la faccenda.

Ne discutemmo il giorno dopo al bar.
“È stato davvero sfortunato – diceva Casimiri – è vero che la strada è poco frequentata, ma ogni tanto qualcuno ci passa. Era proprio destinato male, quella notte non è passato proprio nessuno”.
“E già – fece Bruno - proprio sfortunato. Io ogni tanto ci passo, ma ieri no, ero impegnato con l’ inventario del bar”.
“Pure io ci passo – fece Salvatore – ma ieri avevo fretta di tornare a casa da Nora, e ho preso la strada centrale”.
“ Io invece – fece Teodoro – ci sono passato, ma doveva essere prima dell’ incidente, perché non ho visto né sentito niente”.
“ Ma che combinazione – fece eco il Guercione – io pure devo essere passato prima dell’ incidente perché non ho visto né sentito nulla, assolutamente…”.

Tutti si voltarono verso di me “ Io ero alla Casa dell’ Angelo con Annabella – dissi – e da lì non si sente nulla dalla stradina, lo sapete, no? “.

Ci guardammo tutti con aria vaga e assolutamente innocente.

“ I Mulini di Dio macinano piano ma macinano fino” disse la moglie di Bruno.

“ Eh, sì, e la farina del Diavolo va sempre in crusca” disse Casimiri

“ Ma chi la fa, l’ aspetti” ammonì Salvatore

“ Le vie del Signore sono infinite! - aggiunse Tebaldo – Certe volte passano pure per la campagna”.

Lo guardammo un po’ stralunati: “ Ma ché, allude?” poi assentimmo tutti gravemente e toccammo i bicchierini in un silenzioso brindisi.

Feci cadere in terra, di nascosto, il ciondoletto che avevo raccolto vicino all’ incidente in modo che chi lo aveva smarrito potesse recuperarlo. Stava nella polvere, in mezzo ad un viavai di impronte diverse, impossibili da datare con precisione ma che mi avevano dato l’ impressione di essere abbastanza recenti.

Certo, poi ci si erano aggiunte anche le mie ma avrei sempre giurato a chiunque che stavano lì da chissà quando….
Non me l’ ero sentita di fermarmi a cancellare tutto mentre Tommaso stava immobile per terra, probabilmente già morto.

Sapevo che Don Bartolo mi avrebbe duramente rampognato per non aver almeno tentato qualche impossibile manovra di salvataggio. Inutile perché, ne ero certo, non c’era niente da fare.

“Dombà - gli dissi allora – guarda che mica l’ ha ammazzato nessuno! È stato un incidente! Io l’ ho trovato già morto, credo, ma anche se qualcuno fosse passato mentre era ancora vivo non poteva mica fare niente per lui, solo stare a guardare. E chi, poi? Eravamo tutti altrove, mica mi dirai che non ci credi, no?

È stato il destino, senza dubbio si erano messi in moto i Mulini di Dio. E chi siamo noi, Donbà, per opporci alla Sua volontà?”.



“Ritorno al Bar dello Zozzo” – Daniele Zamperini – 2020
Matite di Roberta Floreani

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