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Videogiochi, aspetti culturali e comportamenti disfunzionali
Inserito il 01 marzo 2024 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Uno studio che, partendo dal “fenomeno culturale” di FORTNITE esamina i comportamenti disfunzionali degli utenti nei giochi free-to-play

Premesse:

Non c’è alcun dubbio: Fortnite, il gioco online di sopravvivenza, ha spopolato negli ultimi anni. Basato su meccanismi di gioco free-to-play, è descritto come un gioco avvincente, emozionante, competitivo e coinvolgente al punto da essere definito da molti un vero e proprio “fenomeno culturale”. Scopo del gioco è abbattere più avversari possibili senza rinunciare all’estetica, avendo la possibilità di acquistare abiti ed accessori utilizzando denaro reale.
Il nostro studio indaga, attraverso una revisione della letteratura di riferimento, quanto il tempo speso su Fortnite e altri giochi simili possa essere direttamente correlato a comportamenti disfunzionali, come l’acquisto compulsivo, e patologici, con aumento di aggressività ma anche ansia e depressione. Per validare lo studio, inoltre, è stato somministrato un questionario ad adolescenti soliti a giocare con video games del genere, per verificare se i loro eventuali comportamenti disfunzionali dipendessero dalle ore di gioco o se questi fungessero solo da priming per problematiche già presenti.

Introduzione
Fortnite è stato uno dei giochi è più popolari degli ultimi anni. Rilasciato da Epic Games nel luglio 2017, è un gioco di sopravvivenza con cui si può giocare da ogni tipo di dispositivo come: computer, Xbox One, PlayStation4, Mac,Nintendo Switch e da tutti i dispositivi Ios e Android che, inoltre, ne hanno sostenuto la crescita, portando il gioco nelle mani di un pubblico potenziale di centinaia di milioni di utenti, i quali avevano già tutto quello che serviva: uno smartphone. Con oltre 200 milioni di utenti registrati, esso conferma come la forza dei meccanismi di free-to-play sia destinata a crescere, divenendo uno dei mercati più proficui sul campo mondiale: basti pensare che nel 2017 questi videogiochi hanno generato circa 63 miliardi di dollari, il 47% di tutta l’industria tecnologica. I free-to-play, sono giochi gratuiti che, tuttavia, includono funzionalità e contenuti extra a pagamento per gli utenti disposti a investire soldi veri. Questo modello di business iniziò a diffondersi già a partire dagli anni 2000 con giochi di ruolo multiplayers asiatici, per poi diffondersi anche in quelli occidentali. Questi sono, di solito, divisi in 3 categorie:
• Puri: Sono giochi in cui l’esperienza di gioco è totalmente gratuita ed uguale per tutti i giocatori ma su cui lo sviluppatore ha deciso di non investire più e per tale motivo non beneficiano di migliori tecniche e ludiche e, dunque, con l’avanzare di nuove altre tecnologie, cadono in disuso;
• Impuri: Chiamati anche “PAY-TO-WIN”, in cui potenziamenti e item, che rendono il giocatore più forte permettendogli così di avanzare nel gioco più velocemente, sono a pagamento;
• Ibridi: Giochi gratuiti ma con beni virtuali a pagamento, spesso di carattere puramente estetico, che non influenzano l’esperienza di gioco. Fortnite, appartiene a quest’ultima categoria.[16].

Ci si domanda, dunque, cosa possa spingere i giocatori ad acquistare compulsivamente oggetti puramente estetici all’interno del gioco e quanto il tempo trascorso su questi possa comportare l’aumento di comportamenti disfunzionali o disturbi psicopatologici. Tale problematica diviene di emblematica importanza se si pensa che in Italia circa il 90% degli adolescenti gioca quotidianamente ai videogiochi e che l’uso eccessivo delle tecnologie sia sempre più diffuso tra i giovani. Di fatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità inserisce la dipendenza da gioco digitale tra le patologie ufficialmente riconosciute. Ciò diviene ancor più preoccupante in presenza di giochi, come Fortnite, in cui la violenza è normalità se non addirittura celebrata, e in cui per divenire un pro-gamer, cioè un giocatore esperto, 3-4 ore di gioco al giorno non bastano: bisogna allenarsi tanto e con frequenza!

Gli studi in merito sono ancora divisi: alcuni autori sostengono come le tante ore trascorse a giocare portino come conseguenza comportamenti disfunzionali quali aggressività o apatia per le altre attività. È stato evidenziato, inoltre, come l’abuso di tali tecnologie sia effettivamente uno dei fattori scatenanti di sintomatologie depressive, problematiche nello studio e nelle relazioni interpersonali.
Altri studi, invece, affermano il contrario, sostenendo come la violenza che scaturisce in questi giocatori non sia relativa al gioco in sé, ma sottende ad altre problematiche affrontate dagli stessi. Il consumo digitale rifletta e influenzi il nostro comportamento, poiché l’avatar agisce come estensione del proprio essere. Tali studi evidenziano, quindi, come giocatori che hanno un tempo di gioco molto esteso hanno maggiori probabilità di effettuare l’acquisto in-game, poiché risultano essere anche nella vita reale compratori compulsivi. Allo stesso modo, i video-giochi avrebbero una correlazione positiva con sintomatologie depressive ed ansiogene, ma anche con l’aumentare di comportamenti violenti, semplicemente perché si comporterebbero da priming in soggetti già propensi ad atteggiamenti disfunzionali o disturbi psicopatologici. Alcuni studi, infine, affermano che non vi sia una correlazione tra questi.

METODOLOGIA

Abbiamo condotto un’inchiesta campionaria avvalendoci di interviste dirette e questionari Computer Assisted tramite la piattaforma Google Moduli. I soggetti erano giocatori di Fortnite con un’età compresa dai 12 ai 30 anni. Le domande poste riguardavano: il tempo (ore e frequenza di gioco), le emozioni e gli eventi negativi provati prima, durante e dopo l’esperienza di gioco, che hanno costituito le Variabili Indipendenti della nostra ricerca.
Abbiamo misurato come Variabile Dipendente l’adozione di comportamenti disfunzionali, quali aggressività ed apatia verso altre forme di svago, dovute alle singole V.I. o alla loro interazione. Sono state, infine, raccolte informazioni qualitative quali età e sesso. Le risposte sono state valutate su scala Likert a 5 passi (1=per niente; 5= moltissimo). In alcune domande ( ‘’Cosa ti coinvolge di più in questo gioco?’’, ‘’Cosa ti ha portato a smettere di giocare?’’) i partecipanti avevano la possibilità di rispondere liberamente.
Dei 25 partecipanti selezionati solo le risposte di 20 fra questi sono risultate significative per la nostra ricerca.

RISULTATI
Dai risultati è emerso che la maggioranza dei giocatori è di sesso maschile (87%). Di questi, il 33,3% ha dichiarato di giocare a Fortnite da tantissimo tempo, il 40% da diverso tempo e il 26,6% ha iniziato il gioco da poco.
I motivi che li hanno attirati sono molteplici ma spiccano la competitività, la dinamica di uccisione del nemico e la grafica virtuale. La maggior parte (67,3%) gioca abbastanza frequentemente e non per moltissime ore al giorno. Tra questi, il 33% riporta di non aver provato esperienze significative di frustrazione tali da riversarle nel game-play. Tali soggetti non hanno notato un aumento della aggressività da quando giocano e affermano di continuare a provare interesse per le altre attività.
Coloro i quali, invece, giocano con moltissima frequenza e quasi o più di 12 ore al giorno, (rispettivamente il 20% e il 13,3%) hanno dichiarato di provare meno interesse verso altri hobby, (6,7% - 20%), e hanno notato un effettivo aumento della loro aggressività e di altri comportamenti disfunzionali.
Gli stessi hanno anche dichiarato di essersi sentiti emotivamente coinvolti in esperienza frustranti, (molto 13,3% e moltissimo 20%). Infine il 66,7% ha dichiarato di non giocare più a Fortnite e di questi solo il 13,3% che aveva dichiarato di giocare per più di 12 ore al giorno, ha notato una diminuzione della propria aggressività dichiarandosi più sereno.
È stato, inoltre, interessante notare che la maggioranza dei giocatori non preferisce il multiplayer e alcuni tra questi tendono a isolare gli altri giocatori (26,7%).

DISCUSSIONE
Dai risultati emersi abbiamo, quindi, potuto convalidare le ipotesi iniziali. Si è mostrata una correlazione positiva tra le ore di gioco e le esperienze frustranti, che costituivano le nostre V.I. L’interazione tra queste, seppur interessando solo il 13,3% del campione di riferimento ha mostrato una influenza positiva sulla V.D (aumento dei comportamenti disfunzionali). Di conseguenza si è rilevata una correlazione negativa tra frequenza di gioco e aumento dell’aggressività. Infine, la preferenza al gioco individuale rispetto al multiplayer non si è dimostrata correlata in alcun modo a tutte queste variabili, evidenziando come la dinamica dei giochi sparatutto e di questo, nello specifico, non influenzi comportamenti anti-sociali ma questi sottendono ad altre problematiche vissute dalla persona e dal contesto sociale in cui vive.

LIMITI
Lo studio, condotto somministrando un questionario con domande a risposta aperta e item su scala Likert a 5 punti, ha visto coinvolti una popolazione ristretta di adolescenti di sesso maschile. Sono necessarie ulteriori indagini che prendano di riferimento un campione più ampio di riferimento, tali da essere generalizzabili. Inoltre, i costrutti indagati dovrebbero essere maggiormente esplorati, soprattutto in relazione all’adozione di comportamenti disfunzionali tra i giocatori. Inoltre, anche le esperienze personali di ciascun soggetto dovrebbero essere maggiormente sviscerate al fine di comprendere quali effetti dei video-giochi siano veritieri o fungano da priming.

CONCLUSIONI
Al termine della ricerca, nonostante le limitazioni presentate, possiamo affermare di aver trovato risposta alle domande iniziali. È stato dimostrato, infatti, quanto le dinamiche di gioco influenzino i comportamenti degli individui. È emerso che, nonostante il tempo trascorso a giocare sia un fattore positivo, i comportamenti disfunzionali e patologici degli individui afferiscono ad una sfera emotiva e sociale propria di ogni persona: percio’ i giochi di guerra non sono di per se’ fattori scatenanti di ansia, depressione ed aggressività che sono già insiti nella persona, anche se possono aumentarne gli effetti.

Per tale motivo, è ingiusto additare come tossici videogames e tecnologie in generale ma bisogna educare fin da bambini al loro utilizzo, ponendo limiti alle ore di gioco ed evitando di far sostituire alcuna figura sia essa genitoriale, amorosa o amichevole da un dispositivo elettronico. L’ educazione nel mondo digitale, infatti, non deve differire da quella del mondo reale: in questa direzione non potremo che trarre benefici dalle tecnologie.

Gruppo Giovani Psicologi Assimefac/SMI: Dr.ssa Valentina Cirillo
Supervisore:,Dr.ssa Annamaria Ascione, Psicologo clinico e Psicoterapeuta

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