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IO TI CURO MA MI AMMALO: LE PATOLOGIE DI CHI SI OCCUPA DEGLI ALTRI
Inserito il 30 maggio 2000 da admin. - psichiatria_psicologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  




E’ da lungo tempo noto in psicologia il rischio psicofisico cui vanno incontro coloro che esercitano le cosiddette "professioni di aiuto": la cosiddetta sindrome da "born-out" costituita da frustrazione, disinteresse, sensazione di depressione, varie somatizzazioni viscerali, e’ stato ampiamente studiato. Non altrettanto studiato sono le patologie psichiche che si riflettono su coloro che devono prendersi carico di un soggetto malato. Sono moltissime in Italia le persone che assistono coniugi, figli, genitori con patologie croniche o debilitanti che necessitano di una costante assistenza. Il rischio a cui vanno incontro e che richiama per certi aspetti il "born-out", va sotto il nome di "burden" parola che indica il senso di fatica e di oppressione che si trovano a dover fronteggiare spesso inconsapevolmente.
In una ricerca condotta da Scholte Ob Reimer presso l’Univerista’ di Amsterdam e’ stato evidenziato come a questo rischio siano esposti i famigliari ad esempio di pazienti affetti da ictus cerebrale. Superato il momento critico e tornati a casa dall’Ospedale, pazienti e famigliari si trovano a dover riorganizzare la propria vita, facendo i conti con la disabilita’ e con le piccole e grandi difficolta’ che un giorno inesorabilmente si presentano.
Indagando quindi un numero di 115 soggetti, mettendo a confronto le variabili relative al paziente e all’ambiente di vita si e’ rilevato che i piu’ elevati livelli di "burden" sono soprattutto correlati alle caratteristiche del famigliare che assiste. Non e' cioe' tanto lo stato oggettivo del paziente a determinare la reazione psico-emotiva del famigliare, bensi’ la visione soggettiva di colui che se ne prende in cura e vive la situazione di assistenza.
Dalla ricerca emerge che pesano soprattutto lo stress emotivo, la solitudine percepita, la disabilita’, l’ammontare delle cure fornite e i bisogni assistenziali che non sono corrisposti.
Gli autori concludono che, come anche per le altre patologie croniche quali l’Alzheimer o i traumi cranici, i livelli di stress sono associati in modo preponderante alle caratteristiche personali dell’assistente e in minor misura alla patologia del paziente. Il profilo di vulnerabilita’ di questi soggetti, non ancora ben definito, mette in evidenza alcune caratteristiche: le donne riportano in genere piu’ alti di "burden" anche perche’ spesso, trovandosi in una generazione "sandwich", si trovano a essere impegnate nello stesso tempo nella cura dei figli e dei genitori.
L’influenza dell’eta’ si manifesta soprattutto dall’eta’ di mezzo in poi in quanto i soggetti giovani sembrano piu’ abili nel gestire le situazioni critiche. Coloro che presentano predisposizione a valutare gli eventi in senso positivo o hanno una buona percezione delle proprie capacita’ gestionali sanno affrontare la cronicita’ con minori reazioni disadattative. Coloro che prestano assistenza per lungo tempo a un congiunto sono esposti a gravi rischi per la salute mentale e fisica. Spesso infatti si rilevano in queste persone alti livelli di ansia e di depressione, problemi cardiovascolari, riduzione ed efficienza del sistema immunitario.
Assistere un famigliare malato che ha perso la propria indipendenza e’ un impegno molto gravoso, spesso sottovalutato e misconosciuto, ed ha importanti ricadute sociali che varcano i confini della famiglia e possono incidere anche sull’attivita’ sociale e lavorativa dell’assistente.
Paola Chiambretto, Psicologia contemporanea n.159-2000

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