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Reddity on Line: considerazioni sulla diffusione su internet
Inserito il 19 giugno 2008 alle 23:35:54 da admin. Stampa Articolo | Stampa Articolo in pdf
l'intervento del garante
Ora, a fronte del provvedimento del Garante privacy del 6 maggio 2008, con cui l’Autorità ha inibito l’ulteriore diffusione telematica degli elenchi delle dichiarazioni reddituali e a fini dell'IVA per il periodo d’imposta 2005, nonché, a scopo precauzionale, la diffusione con le stesse modalità di quelle degli anni successivi, vi è chi, individuando immediatamente un punto argomentativo assai delicato del provvedimento del Garante, ricorda come il Codice dell’Amministrazione Digitale, decreto legislativo n. 82 del 2005, e dunque norma di pari rango rispetto al Codice privacy (d.lgs. 196/2003), incentivi e promuova un uso quanto più possibile diffuso e capillare delle tecnologie informatiche e telematiche nell’esercizio della funzione pubblica, nella condivisa, riconosciuta e ormai non più opinabile necessità della ricerca di una maggiore efficienza, efficacia e trasparenza dell’azione amministrativa.

L’osservazione va sicuramente appoggiata e mette a nudo un punto dolente del nostro (ma non solo del nostro) ordinamento giuridico: la difficoltà di determinare la linea di equilibrio, in relazione al trattamento del dato personale, tra la tutela del singolo, il rispetto della sua riservatezza e della sua dignità personale da un lato, e l’utilizzo di quel dato in attività istituzionali, costituzionalmente legittimate ed orientate in linea di principio al pubblico bene (ivi compreso quello della tutela delle situazioni giuridiche altrui) dall’altro.

L’introduzione delle tecnologie informatico-telematiche, così come ha visto un decuplicarsi delle possibilità (e della velocità) di trattamento, comunicazione, diffusione del dato personale, ha visto inevitabilmente un inasprirsi del conflitto sopra descritto, conflitto che permane sia in relazione alla soluzione di casi e situazioni singole, sia, come nella vicenda in discussione, in relazione alla stessa elaborazione di regole generali.

Tant’è che lo stesso Garante chiude il provvedimento auspicando per il futuro (e dunque affidandone al legislatore l’arduo compito) l'individuazione di un “giusto equilibrio tra l’esigenza di forme proporzionate di conoscenza dei dati dei contribuenti e la tutela dei diritti degli interessati”.

Ed effettivamente ai giorni nostri si tratta probabilmente di uno dei quesiti più difficili che possano essere sottoposti ad un professionista del diritto: il dilemma della conoscenza e della conoscibilità legittima del dato personale.

Un interrogativo arduo da risolvere principalmente per due motivi.

Il primo è di carattere sociologico ed ha a che fare con il rapportarsi dell’uomo contemporaneo alla tecnologia, alternativamente osannata o denigrata, e solo più raramente utilizzata con sano e lucidamente distaccato apprezzamento.

In relazione a questo aspetto è compito del giurista ribadire ostinatamente che, per quanto a volte le apparenze, il mercato, il business ingannino, non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche giuridicamente lecito.

Il secondo è di carattere storico e ha a che fare con il valore da porre sull’altro piatto della bilancia, e chiamato a delimitare misura e modo dell’uso delle tecnologie da parte della Pubblica Amministrazione: il bene pubblico.

Richiamando la causa del “bene pubblico” e collocandola dall’altro lato rispetto all’incontrollato uso delle tecnologie, il giurista compie un'operazione che sa già difficile e difficilmente condivisa, non in quanto logicamente o giuridicamente scorretta, ma in quanto questo secondo termine di paragone (il Bene Pubblico) è oggi un valore dai contorni incerti, fumosi, di difficile individuazione, tanto per i tecnici del diritto quanto da quello stesso “pubblico” che si vuole tutelare.


 
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