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I piccoli iracheni salvati dai lettori di un quotidiano |
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SPES ultima Dea
La salvezza o la morte dei bambini ricoverati all’ospedale Al Mansour di Bagdad è in mano ai medici dell’Ospedale Burlo Garofolo e della SPES di Trieste, onlus specializzata nel recupero delle popolazioni nelle zone di guerra. Questo è emerso dalla conferenza stampa svoltasi ieri mattina proprio all’ospedale infantile di Trieste dove erano presenti, oltre ai medici coinvolti nelle missioni, anche Emilio Terpin, commissario straordinario dell’ospedale, e Roberto Papetti, vicedirettore del “Il Giornale”, che insieme all’”Unità” ha finanziato il progetto con 173 mila euro ricevuti in donazione dai cittadini italiani.
A Medinat Al Tub, la città ospedaliera di Bagdad, dove sorge l’Al Mansour, la mortalità infantile è sei volte superiore a quella italiana. «I piccoli pazienti non hanno neanche l’acqua per bere o per lavarsi, le sale operatorie non funzionano, gli ambulatori sono inesistenti, la disinfezione è impossibile. Mancano farmaci, soluzioni di infusione e sangue per le trasfusioni», specifica Marino Andolina, pediatra del Burlo Garofolo, appena tornato dalla capitale Irakena. Ma i bambini stanno morendo anche perché il personale è sempre più assente. «Per ora siamo riusciti ad evitare la fuga in massa dei medici e degli infermieri dagli ospedali pagando gli stipendi ad oltre 500 dipendenti che non percepivano soldi da mesi», continua Andolina. «Abbiamo anche portato antibiotici, chemioterapici e fattori antiemofilici, ma la situazione rimane drammatica». Infatti il progetto di aiuti è solo all’inizio, numerose missioni sono in programma a cadenza mensile per completare le forniture all’ospedale, portare altri soldi e medicinali ed organizzare un sistema di audio e videoconferenza satellitare per un continuo scambio di informazioni fra i medici dell’ Al Mansour e quelli del Burlo Garofolo. Una sorta di gemellaggio che permetterà ai medici italiani di aiutare costantemente l’ospedale di Bagdad, ma anche di conoscere meglio e più da vicino patologie ormai quasi sconosciute nei nostri territori come il “Kala Azar” o bottone d’oriente, diffusissimo in tutto l’Iraq.
«La Leishmaniosi», spiega Dario Sarto, medico della SPES, «è la denominazione occidentale di questa malattia. La causa è un protozoo intracellulare, la Leishmania, che viene inoculato da insetti del genere flebotomi chiamate mosche del deserto». Se la malattia si localizza solo a livello cutaneo è curabile con iniezioni di antiparassitario nella zona della lesione, ma se penetra negli organi interni la vita del soggetto colpito è seriamente a rischio. «I farmaci necessari al trattamento di questa parassitosi costano pochissimo», continua Dario Sarto. «Con tre euro possiamo trattare decine di bambini, ma alcune volte il problema è arrivare in tempo prima che il parassita diffonda all’interno dell’organismo».
Ma gli aiuti ai bambini iracheni affidati a questo gruppo di medici va oltre ogni aspettativa, su richiesta specifica di Marino Andolina e del dott. Fanni Canelles, la delegazione italiana in Iraq, presieduta da Gian Ludovico de Martino, ha promesso ogni aiuto per riuscire a portare in Italia almeno 10 bambini affetti da patologie gravi e non curabili nelle strutture sanitarie del medio oriente. La delegazione si occuperà anche di fornire i documenti necessari all’espatrio sia dei piccoli pazienti che dei genitori accompagnatori. «Due bambini sono già nella lista della salvezza», spiega Andolina. «Ali Iaseim, un bambino di 4 anni, è stato portato dal padre all’ospedale Al Mansour dopo un viaggio a piedi nel deserto». Il bambino è costretto a portare una vistosa e rigida fasciatura alla spalla sinistra per contrastare un’emorragia provocata da un tumore benigno che a Bagdad attualmente nessuno è in grado di operare. «Saja Naim, una stupenda bambina di 12 anni dagli occhi neri sta morendo per una leucemia acuta», riprende Andolina. «Durante la guerra, dopo aver perso nei bombardamenti sia la casa che la loro attività di sostentamento, lei e la sua famiglia hanno dovuto vivere nei sobborghi di Bagdad. Ma ora, proprio quando la speranza di ricostruire la propria vita in un paese libero cominciava ad essere consistente, Saja si è ammalata». Il padre l’ha portata in ospedale dove i medici, utilizzando l’ultimo ago per biopsia midollare che ancora avevano, hanno diagnosticato una grave forma di leucemia acuta. «A Saja mancano solo pochi giorni di vita», riprende Andolina. «Solo un trattameno chemioterapico ed il trapianto di midollo immediatamente successivo potrebbe salvarle la vita».
L’embargo prima e la guerra poi hanno portato allo stremo una popolazione dove l’orgoglio di essere la culla della civiltà erano alla base di ogni regola sociale. Tutto quello che è nelle possibilità di questi medici e degli ospedali che gli appoggiano verrà fatto per soccorrere il popolo irakeno. Ma come spiega Marcello Gaspa, presidente della SPES, altri paesi sono nel mirino delle iniziative di soccorso, l’ Afghanistan in prima battuta. In questo paese sono stati portati dalla SPES i fondi necessari per la ristrutturazione di alcuni orfanotrofi e la SPES sta raccogliendo i soldi necessari a portare corrente elettrica e luce a Khowst, un paese sperduto dell’ Afghanistan orientale. Massimiliano Fanni Canelles |
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