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GUIDE PER VALUTAZIONE DEL DANNO ALLA PERSONA, 100% INVALIDITA' PERMANENTE E MORTE |
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Inserito il 26 gennaio 2001 da admin. - medicina_legale - segnala a:
(Questo articolo, editoriale di un prossimo numero della Rivista Italiana di Medicina Legale, viene qui pubblicato in anteprima assoluta per gentile concessione del Direttore della Rivista, Prof. Francesco Introna, e dell' Autore, Prof. Angelo Fiori, Direttore dell' Istituto di Medicina Legale dell' Universita' Cattolica di Roma), che ringraziamo.
1. La recente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 25 luglio 2000 delle nuove Tabelle per l’indennizzo dell’inabilità permanente nell’assicurazione sociale contro gli Infortuni e le Malattie Professionali, in applicazione del D.L. 23 febbraio 2000 n. 38, segue di pochi anni la 4^ edizione della nota Guida di Luvoni, Mangili e Bernardi, la seconda edizione della Guida della SIMLA e la pubblicazione di altre Guide, nonché le tabelle dell’invalidità civile e quelle sugli handicap. Ed anticipa la possibile elaborazione di una Guida europea, prevista da una Raccomandazione, indirizzata recentemente al Parlamento Europeo da una Commissione ad hoc, tendente a realizzare una omogeneizzazione tra gli Stati Membri nel risarcimento del danno alla persona da responsabilità civile. Si tratta di Guide destinate alla valutazione quantitativa delle conseguenze dannose di menomazioni psicofisiche permanenti - dovute a cause diverse - con criteri derivanti dalle norme di riferimento e dalla giurisprudenza o da contratti. Le accomuna l’impiego della stessa unità di "misura" costituito dalla quantificazione percentuale. La diversità degli ambiti giuridici giustifica, ovviamente, anche le differenze riscontrabili nelle tabelle, alcune delle quali sono a carattere orientativo – come quelle per la responsabilità civile e per la valutazione dell’invalidità civile - altre sono tassative, perlomeno per le voci cardine, come quella dell’INAIL, e quelle delle polizze di assicurazione privata contro gli infortuni.
L’analisi che qui si intende compiere - nell’attesa, destinata probabilmente ad essere lunga, di una Guida europea per la valutazione del danno alla persona da responsabilità civile - è finalizzata ad accertare, per quanto riguarda l’Italia, se i profondi mutamenti avvenuti nella dottrina e nel diritto giurisprudenziale, nonché nella prospettiva di forse imminenti modifiche del Codice Civile che includano il cosiddetto danno biologico, abbiano o meno una corrispondenza coerente ed adeguate motivazioni nelle nuove Guide. La nuova tabella INAIL (Tabella delle menomazioni), riguardando l’indennizzo del danno biologico, propone anche problemi aggiuntivi, sia di natura dottrinale che di applicazione pratica, specie in relazione al regresso ed alla rivalsa, ma questi non appartengono al tema specifico di questo Editoriale. Vi rientra invece la possibilità di eventuali modifiche future di alcune voci tabellari consentita dal carattere sperimentale di una parte dell’art. 13 del D.L. 38/2000. Lo studio della storia naturale di queste diverse guide-tabelle – che è indispensabile e deve opportunamente estendersi a comparazioni con qualche guida straniera - ne dimostra l’origine genetica comune chiaramente visibile nel loro impianto generale e nei principi che da esso traspaiono e porta a concludere che il processo di aggiornamento ha tendenzialmente mantenuto la struttura originaria privilegiando il decremento solidale delle varie voci in luogo di un rimescolamento delle voci tabellate che il mutare dell’oggetto della quantificazione avrebbe a nostro avviso richiesto. Chi scrive è pienamente consapevole che il proporre un riesame critico delle strutture tabellari dopo la loro pubblicazione in epoche recenti, ha senso, se le conclusioni cui si perverrà venissero condivise, soltanto ai fini di una futura revisione. D’altro canto la ricerca scientifica, in questo settore come in qualsiasi altro, non può rinunciare alla propria connaturata esigenza di rimettere continuamente in discussione le conoscenze e la prassi.
2. L’impiego del metodo percentuale per la stima dell’invalidità permanente ha la sua indubbia validità pratica quale risulta da alcune elementari constatazioni.
E’ un metodo impiegato da quasi un secolo ed è quindi entrato largamente nell’uso, quantomeno in molti paesi. E’ convertibile in moneta con metodi diversi a seconda dell’ambito in cui viene utilizzato. Non è un metodo scientifico in senso stretto – pur basandosi su conoscenze scientifiche anatomiche e funzionali relative ai singoli organi od apparati – ma può avvalersi, come di fatto si avvale, di accordi convenzionali cui l’uso di numeri conferisce un alone di scientificità e nel contempo di asetticità. E’ tuttavia evidente a chiunque che questo metodo è di per sé alquanto grossolano. A prima vista appare quanto sia temeraria l’idea di poter "misurare" il valore di una struttura estremamente complessa come l’uomo, disponendo dell’equivalente di un metro lineare, cioè di cento punti. Se la misura fosse espressa in millesimi, sarebbe forse uno strumento meno limitato, potendosi avvalere di mille punti per meglio quantificare situazioni intermedie ; ma il vantaggio così ottenibile non sarebbe comunque risolutivo. E’ altrettanto evidente – ed è questo forse il punto più debole del sistema - che il metodo percentuale non è in grado di riprodurre, nel suo incremento lineare, l’esponenzialità dell’incremento del danno dovuto alle menomazioni più gravi, spesso concorrenti e plurime, in genere designate come "macropermanenti". E’ questo un limite ancor maggiore di quello che si riscontra all’estremo opposto della scala, cioè quello dei danni minimi, o "micropermanenti", difficili da quantificare attraverso punti percentuali, che spesso appaiono eccessivi. Appare dunque chiaro che non si tratta di un metodo di "misura" bensì di un metodo di "stima", molto approssimativa, del decremento anatomo-funzionale conseguente a lesioni configuranti stato di malattia generale o locale.
3. Nel corso del Secolo XX si possono individuare tre successivi periodi nell’elaborazione ed introduzione di tabelle per la stima dell’invalidità permanente. Al primo periodo, che giunge fino alla prima metà degli anni sessanta, appartengono la Tabella dell’Assicurazione Sociale contro gli Infortuni inserita nel Regolamento del Testo Unico del 1904; la Tabella orientativa proposta da Antonio Cazzaniga nel 1928 per la responsabilità civile e le Tabelle delle polizze private di assicurazione contro gli infortuni. Il secondo periodo si può far datare dal 1965, anno di pubblicazione del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 che negli allegati n.1 e 2 conteneva nuove Tabelle della valutazione del grado percentuale di inabilità permanente dell’industria e dell’agricoltura, ampliate e modificate rispetto alla Tabella del 1904. Alcuni anni dopo una Commissione di giuristi, medici legali e assicuratori ha proposto in un convegno tenutosi a Como nel 1967, ed approvato nel 1968 in un ulteriore convegno a Perugia, una nuova Tabella orientativa per la valutazione del danno alla persona da responsabilità civile. Al 1969 risale la pubblicazione della Tabella proposta, con le stesse finalità, dalla Società Romana di Medicina Legale peraltro limitata al sistema locomotore Nel corso del "secondo periodo" sono state pubblicate anche altre tabelle citate nelle note n.5, 6 e 7. Il terzo periodo si può datare dall’anno di pubblicazione della citata 4° edizione della Guida di Luvoni, Mangili e Bernardi (1995) che muta il titolo delle precedenti edizioni (Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente) - le prime due dovute a Ranieri Luvoni e Ludovico Bernardi, la terza, anche a Franco Mangili - in "Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente" introducendo modifiche di talune voci e, soprattutto, mutando l’oggetto della quantificazione percentuale: dal danno patrimoniale a quello biologico in senso stretto. Nello stesso anno è stata pubblicata la "Guida –tabella del Danno Biologico a carattere permanente e invalidante" ad opera di Cittadini e Zangani (1995) seguita poco dopo dalla "Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente" compilata sotto l’egida della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni da Marino Bargagna, Marcello Canale, Francesco Consigliere, Luigi Palmieri e Giancarlo Umani Ronchi (1996 ) giunta ormai alla sua terza edizione. E’ del 12 luglio 2000, come già detto, il Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, che pubblica le nuove tabelle da utilizzare per l’indennizzo degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
4. La prima Tabella di legge è contenuta nell’art. 95 del "Regolamento per la esecuzione della Legge (testo unico) 31 gennaio 1904 n. 51 per gli infortuni degli operai sul lavoro". Per l’indennizzo delle inabilità permanenti parziali il legislatore ha ritenuto opportuno sin da allora evitare giudizi arbitrari e sperequazioni per cui ha stabilito alcuni punti fissi di riferimento costituiti da cifre percentuali di riduzione della capacità lavorativa misurata in rapporto alla riduzione del salario. La Tabella comprendeva 22 voci, 20 delle quali riferite alla "perdita" di arti o parti di essi, altre 2 relative alla perdita monolaterale dell’udito e della facoltà visiva di un occhio. Il T.U. del 1904 ha stabilito che "in caso di perdita di più membra, od arti, od organi o di più parti dello stesso organo" si doveva determinare di volta in volta "la riduzione del salario" "tenendo conto di quanto effettivamente, in seguito all’infortunio, è stata diminuita l’attitudine dell’operaio al lavoro" rispettando le norme concernenti le riduzioni corrispondenti alla singole lesioni. "L’abolizione assoluta e inguaribile della funzionalità di membra, arti od organi" era equiparata alla perdita anatomica. Inoltre quando "le membra, gli arti o gli organi" fossero resi "soltanto parzialmente inservibili", la riduzione del salario si doveva determinare "sulla base della riduzione assegnata per la perdita totale di essi, in proporzione del grado della funzionalità perduta, senza però che la riduzione medesima possa essere inferiore al cinque per cento". I criteri generali di utilizzo della Tabella per gli infortuni sul lavoro erano dunque fissati con molta precisione e chiarezza sin dal 1904. E’ interessante rilevare che le analoghe voci contenute nelle due Tabelle successive, allegate al Testo Unico D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965 (quella per l’Industria composta di 58 voci, ed una tabella per la valutazione dell’acuità visiva, quella per l’Agricoltura di 40 voci) presentano differenze di percentuali, alcune di minore rilievo, altre più radicali. La perdita delle dita della mano destra, analogamente alla perdita totale dell’avambraccio sinistro, era tariffata nel 1904 con il 70%, quella di tutte le dita della mano sinistra con il 65%, valori rimasti uguali nella Tabella dell’Agricoltura del 1965, abbassati nella Tabella dell’Industria rispettivamente al 65% per le dita della mano destra, al 55% per quelle della mano sinistra. La perdita del pollice destro era tariffata nel T.U. del 1904 con il 30%, quella del sinistro con il 25%, valori che nel 1965 sono stati ridotti rispettivamente al 28% ed al 23% nella Tabella dell’Industria, ma sono rimasti identici in quella dell’Agricoltura. La perdita della facoltà visiva di un occhio è rimasta immutata al 35 % dal 1904 al 1965, nelle due tabelle. Ma la sordità completa di un orecchio, valutata con il 10% nel 1904, è stata aumentata nel 1965 al 15% per l’Industria, al 20% per l’Agricoltura. Non sappiamo quali siano stati i criteri seguiti per effettuare queste variazioni. Non appaiono comunque sufficientemente giustificate le differenze nei valori percentuali assegnati dalla tabella per gli infortuni nell’Agricoltura rispetto a molte identiche voci della tabella dell’Industria anche se può facilmente immaginarsi che siano state prodotte da considerazioni pratiche inerenti la diversa soglia di franchigia che allora era del 10% per l’Industria e del 15% per l’Agricoltura, differenze scomparse a causa dell’omologazione di tutte le franchigie al 10% operata dalla Corte Costituzionale. Queste tabelle, com’è noto, contenevano percentuali più elevate rispetto a quelle orientative proposte per la responsabilità civile nell’epoca antecedente il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno biologico. Tale ipervalutazione dipendeva dal riferimento alla "attitudine al lavoro" e quindi ad un aspetto reddituale (sia pure in regime indennitario) connesso alla prevalente attività lavorativa manuale svolta dagli operai dell’industria e dell’agricoltura specie nel periodo storico che ha visto la nascita delle tabelle. E’ interessante notare la rilevante conseguenza che ha avuto l’esclusione dell’indennizzabilità della perdita di un testicolo in entrambe le Tabelle del 1965. Su questa decisione del legislatore del 1965, razionalmente giustificata dal riferimento all’attitudine al lavoro, si è di fatto incagliato il Testo Unico del 1965 in quanto ha fornito lo spunto per la richiesta di intervento della Corte Costituzionale motivata con la mancanza di indennizzo del cosiddetto danno biologico. Dopo anni di attesa colmata in modo disuguale dalla giurisprudenza, il Parlamento ha accolto i ripetuti inviti della Corte Costituzionale prevedendo con la Legge delega n.144/1999 (art. 55, comma 1, punto s) la "idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico", quest’ultimo definito nell’art. 13 del successivo D.L. 23 febbraio 2000 n. 38. La nuova Tabella delle Menomazioni del 12 luglio 2000 che tale articolo prevede, sostituisce le precedenti del 1965 all’interno di un impianto molto più complesso, ed originale, costruito per la necessità di conciliare l’obbligo di indennizzare oltre il danno reddituale presuntivo anche il danno biologico, nel contempo salvaguardando per quanto possibile la salute del bilancio dell’INAIL. Non è questa la sede per un’analisi approfondita delle nuove "Tabelle Inail", in particolare di quella denominata "Tabella delle Menomazioni" che pure ha evidenti connessioni generali con il tema di questa nota. E’ sufficiente ricordare che essa si avvale di importanti indicazioni criteriologiche, consta dei 387 voci e di 3 allegati (allegato n. 1 udito; n. 2 pneumopatie ostruttive e restrittive, interstiziopatie, asma; n. 3 vista). Interessa invece riferirsi, a titolo esemplificativo per quanto si discuterà più avanti paragrafi, ad alcune voci relative e menomazioni motorie messe a confronto con menomazioni di organo od apparato quali la "cecità assoluta bilaterale" (n. 369) tariffata con l’85%, la nefrectomia (n. 356) con il 18%, la splenectomia con necessità di accorgimenti terapeutici (n. 109) quantificabile fino al 9%, la perdita di un testicolo (n. 349) tariffata con il 6%; la "tetraplegia alta" (n. 138) 100%, la paraplegia (n.141) 85%, la "perdita totale del pollice" (n. 243) d. 20 s. 16.
5. Nella responsabilità civile la valutazione percentuale dell’invalidità permanente ha avuto un suo strumento nella breve ma significativa Tabella orientativa proposta da Antonio Cazzaniga nella sua fondamentale monografia del 1928, ancora insuperata, perlomeno sotto il profilo metodologico. Se la tabella degli Infortuni sul Lavoro del 1904 aveva come parametro di riferimento l’incidenza negativa delle menomazioni sull’attività prevalentemente manuale degli operai, la tabella orientativa di Cazzaniga doveva estendersi a qualsiasi categoria di cittadini. Dovendo comunque fare riferimento alla capacità di produrre reddito, il Cazzaniga ha utilizzato efficacemente l’espressione di capacità lavorativa "ultragenerica" per distinguerla dalla capacità lavorativa generica dell’operaio. Di conseguenza egli ha proposto, per voci analoghe a quelle della tabella infortuni del 1904, valori percentuali più bassi ma senza rivoluzionare l’impianto generale della tabella e mantenendo sostanzialmente uguale il rapporto interno delle singole percentuali. In altri termini la diversità dei due settori – gli Infortuni nell’assicurazione sociale e la Responsabilità Civile - ha comportato una differenziazione tra i più elevati valori percentuali della legge sugli infortuni e quelli più bassi suggeriti dal Cazzaniga per la responsabilità civile, ma senza un rimescolamento delle voci e senza variazioni essenziali nei rapporti quantitativi tra di esse il che era giustificato dal contenuto reddituale del danno in entrambi gli ambiti.
A quanto ci risulta, pur senza aver potuto compiere analisi approfondite, le polizze private di assicurazione sin da allora hanno adottato contrattualmente voci e valori percentuali sovrapponibili a quelli del Cazzaniga. Un quarto di secolo ha separato l’opera di Cazzaniga dalla proposta innovativa di Cesare Gerin di risarcire l’invalidità biologica in quanto tale, indipendentemente dalle sue conseguenze economiche, ed un tempo ancora più lungo è trascorso prima che iniziasse, alla metà degli anni sessanta, la lunga stagione delle nuove tabelle (che ha occupato il secondo ed il terzo "periodo"). L’iniziativa che ha portato alla compilazione della Tabella di Como e Perugia (1967-1968), ispirata da Aldo Franchini, è nata dall’esigenza di convogliare il contenzioso stragiudiziale e giudiziario per responsabilità civile entro binari per quanto possibile sottratti ad arbitrii valutativi. La Tabella di Como e Perugia è stata compilata nel perdurante regime di risarcibilità limitata al danno patrimoniale e al danno extrapatrimoniale. Appare tuttavia un segno evidente della evoluzione dottrinale già allora in corso il fatto che la definizione del danno tariffato nella Tabella di Como e Perugia sia stata quella "danno biologico di rilevanza patrimoniale", espressione coniata da Aldo Franchini. La Tabella di Como e Perugia è stata pubblicata con il corredo di un Decalogo che ne ha costituito parte integrante indicandone i criteri applicativi, ovviamente a carattere orientativo. Il Decalogo è riportato nell’introduzione della citata "Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente" così denominata da Luvoni e Bernardi nelle due prime edizioni. Questa Guida, che per comodità designeremo come Guida LMB, ha avuto un ruolo rilevante nella diffusione della Tabella di Como e Perugia e per molti anni, fino alla pubblicazione della Guida della SIMLA, è stata lo strumento più usato da coloro che hanno svolto attività valutativa medico legale, sia in ambito di responsabilità civile che nell’assicurazione sociale e in quella privata contro gli infortuni. Tale indiscusso successo si deve sicuramente al fatto che gli Autori hanno aggiunto, sin dalla prima edizione (1970), molte voci intermedie rispetto a quelle principali della Tabella di Como-Perugia, includendo utili nozioni, commenti e suggerimenti di natura medica e medico-legale, e proponendo le percentuali indicative affiancate su tre colonne, relative ai tre diversi settori quelli sopra menzionati: la responsabilità civile (R.C.), gli infortuni sul lavoro (I.L.) e gli infortuni nell’assicurazione privata (I.P.). Il mutamento radicale della giurisprudenza in tema di danno alla persona da responsabilità civile - iniziato a Genova nel 1974, ma affermatosi definitivamente solo dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.184/ 1986 - ha indotto gli Autori della Guida LMB ad operare nella 4° edizione delle modificazioni sia nel titolo del manuale (cfr. supra e nota n.2) sia in molte percentuali orientative. Questi cambiamenti sono stati sommariamente giustificati dagli Autori nell’Introduzione alla 4° edizione. All’origine la Guida, come già detto, aveva come parametro di riferimento il "danno biologico di rilevanza patrimoniale" concetto che nelle pagine introduttive della 4° edizione gli Autori ritengono coincidente con il sopravvenuto concetto di "danno biologico". Ma in realtà si tratta di una identità apparente perchè la differenza è invece sostanziale, relativa alla natura del danno tariffato. La diversità consiste infatti nel titolo e nel metodo risarcitorio, che nella Tabella di Como e Perugia erano strettamente ed esclusivamente inerenti il danno patrimoniale economico. Le percentuali stimate dal medico legale venivano tradotte in moneta principalmente attraverso il calcolo di capitalizzazione, a sua volta basato sul reddito reale o figurato del danneggiato. In altri termini, la natura del danno che veniva percentualizzato nella Tabella di Como e Perugia era esclusivamente riferita al danno patrimoniale da lucro cessante, in linea, del resto, con il concetto espresso dal Franchini: "danno biologico di rilevanza patrimoniale". Il cambiamento di titolo della Guida LMB nella 4° edizione coincide in realtà con il radicale mutamento dell’oggetto della valutazione perchè attua il trasferimento della quantificazione percentuale dalla stima del danno patrimoniale a quella del danno biologico: una decisione inevitabile, cui peraltro ha fatto seguito la perdita di uno strumento tabellare di stima del danno patrimoniale vero e proprio da ridotta capacità di guadagno, perdita alla quale finora non si è apportato univoco rimedio. In altri termini lo stesso sistema di stima (quello percentuale), è stato spostato, con modeste modifiche, dalla quantificazione del danno patrimoniale da invalidità permanente alla quantificazione di un tipo di danno sostanzialmente diverso (il danno alla salute) sia pure ricondotto anch’esso al "danno ingiusto" previsto dall’art. 2043 c.c. Le differenze "quantitative" che si riscontrano nel confronto tra le percentuali della Tabella di Como e Perugia, e quelle della 4° edizione della Guida LMB non sono invece molto rilevanti, come segnalano gli stessi Autori, i quali giustificano questa loro scelta argomentando anche che "il riferimento al valore medio di capacità lavorativa [utilizzato nelle precedenti edizioni] in realtà non rappresentava per quel tempo che il modo di consentire la risarcibilità, nell’ambito del danno patrimoniale, anche delle menomazioni che con la capacità lavorativa di fatto non avevano a che fare. Basti pensare alle menomazioni dell’apparato genitale, pur considerate nella tabelle, a certe menomazioni dell’efficienza estetica e così via". Tuttavia alcune tra le modificazioni introdotte, a carattere riduttivo, ed in particolare quelle riguardanti gravissimi handicap, assumono invece una rilevante importanza sul piano concettuale ed etico, oltre che sul piano pratico (anche se si tratta di menomazioni poco frequenti): ed è questo il problema che più di altri ha offerto spunto per questo Editoriale.
La successiva Guida orientativa elaborata dalla Società Italiana di Medicina Legale attraverso l’opera impegnativa ed apprezzabile di alcuni autorevoli membri, è stata invece dedicata esclusivamente al "danno biologico" da responsabilità civile. Rispetto alla Tabella di Como-Perugia e alla Guida LMB si registrano, oltre ad una articolazione molto ampia di voci accompagnata da suggerimenti e spiegazioni, ulteriori modifiche, il più delle volte riduttive della quantificazione percentuale. Il principio del diritto alla risarcibilità od almeno alla indennizzabilità (in ambito Inail) del cosiddetto danno biologico è stato alla fine trasfuso anche nella nuova tabella INAIL che per molte voci si differenza in misura evidente dalle tabelle Inail del 1965,in misura molto minore anche dalla 4° edizione della Guida di LMB e da quella della SIMLA, risultando sovrapponibile, o quasi, per molte voci.
6. Le domande che sembra giustificato porsi, a questo punto, anche nella prospettiva di una eventuale tabella europea, sono le seguenti:
- le attuali Guide orientative per il danno da responsabilità civile, e la nuova Tabella Inail, destinate ormai tutte alla valutazione dell’invalidità permanente "biologica", sono il prodotto di una reale ristrutturazione tabellare tale da fornire percentuali essenzialmente espressive non già della ridotta capacità lavorativa bensì della salute compromessa, ovvero la struttura di base delle nuove tabelle è rimasta nella sostanza quella tradizionale, con correttivi di minore rilievo, prevalentemente a carattere riduttivo delle percentuali?
- il confronto con le tabelle per la responsabilità civile adottate in alcuni altri paesi, fonti da cui potrebbe nascere il barème europeo, consente di riscontrare identità dell’oggetto della valutazione, tale da giustificare scelte identiche, ovvero identifica solo delle generiche analogie?
La risposta che crediamo si possa dare alla prima domanda, attraverso un semplice confronto tra le varie tabelle italiane, induce a concludere che in realtà l’impronta genetica delle antiche tabelle è rimasta abbastanza visibile. Permane - benché attenuato attraverso riduzioni di varia entità dei valori percentuali - il rilievo attribuito alle menomazioni motorie che mantengono una relativa preminenza (in taluni casi giustificata) rispetto ad altre menomazioni anatomo-funzionali a carico di fondamentali apparati od organi. Il rapporto quantitativo tra queste due categorie di menomazioni rimane infatti prevalentemente immutato in quanto la riduzione delle percentuali le colpisce talora entrambi: come nel caso del passaggio dal 100% all’80% della cecità assoluta o dal 100% all’80% per la perdita di entrambe le mani (Guida LMB). Ma nella stessa Guida LMB alla riduzione sostanziosa della percentuale assegnata alla cecità assoluta (80%) si contrappone immutato il 70% assegnato, come nelle precedenti edizioni, alla perdita dell’arto superiore destro (appena 10% in meno della cecità assoluta), che invece è tariffato con il 60% nella Guida SIMLA. Nella tabella esemplificativa allegata abbiano messo a confronto alcune voci più tipiche di menomazioni motorie e di menomazioni a carico di altri importanti organi rilevabili in alcune guide per la responsabilità civile, passate e recenti, nonché le tabelle Inail del 1965 e del 2000.
[Tabella da inserire C.G. Cazzaniga-Giolla CO-PE Como-Perugia (i numeri in corsivo sono suggeriti da LMB 3° edizione) LMB-4° (Luvoni, Mangili Bernardi 4° edizione), SIMLA: Guida Bargagna, Canale, Consigliere, Palmieri, Umani Ronchi. ]
Appare evidente, da queste voci cardine, che la scelta prevalente operata dalle nuove guide è stata quella di confermare la maggiore rilevanza attribuita alle menomazioni motorie. E’ giustificata questa scelta a fronte del mutato oggetto della stima percentuale costituito dal risarcimento, o l’indennizzo del danno biologico, anziché di quello patrimoniale da ridotta o perduta capacità reddituale? O non è forse doveroso compiere uno sforzo di ristrutturazione dell’antico impianto delle tabelle per renderle più coerenti con la natura giuridica del danno medicolegalmente quantificato, operando una più radicale rielaborazione nel rapporto tra le varie voci per tenere maggiormente in conto il rispettivo valore anatomo-funzionale di ciascuna di esse in relazione al bene tutelato cioè l’integrità psicosifica –salute?
7. La scelta finora operata, anche nelle tabelle più recenti, ci sembra abbia dunque obbedito ad un criterio sostanzialmente conservatore. Pur comprendendo le ragioni pratiche di tale scelta, intesa a realizzare anche una omologazione internazionale – perché molte voci sono simili a quelle di altre guide, come quella francese, che tuttavia ha un differente oggetto della quantificazione - non crediamo si possa tuttavia rinunciare ad una analisi nella prospettiva dell’opzione più radicalmente innovativa. Per evitare che questa nostra analisi sia giudicata sterile, in quanto superata dai fatti, essa può almeno proporsi di far riflettere i compilatori dell’elaborando barème europeo – ma anche coloro che elaborano guide-tabelle italiane per la responsabilità civile e coloro che possono operare correzioni dell’appena pubblicata tabella INAIL delle menomazioni - affinché accettino di confrontarsi in una pubblica discussione, eventualmente accedendo all’ipotesi, concordata, di opportuni correttivi nell’impianto generale e nella quantificazione di talune menomazioni. Nel proporre questa riflessione siamo pienamente consapevoli del fatto che l’ostacolo principale, ed intrinseco, ad una più soddisfacente strutturazione delle tabelle è costituito comunque, ed insuperabilmente, dalla povertà dello strumento percentuale, il quale non è in grado di rispondere ad esigenze così complesse come quelle che si manifestano nella varietà delle possibili menomazioni psicofisiche e delle loro possibili associazioni. Né ci si può nascondere il fatto un altro ostacolo che la rielaborazione delle tabelle sicuramente incontra, rappresentato dalla consuetudine ormai secolare di privilegiare determinate menomazioni (quelle motorie) che d’altro canto figurano tra le più frequenti in ambito traumatologico. Esiste in realtà uno spazio di approfondimento del problema, collocato al centro di qualsiasi tabella per la valutazione percentuale dell’invalidità permanente. Le percentuali adottate dall’inizio del secolo XX, poi più volte adattate e corrette, sono senza dubbio il frutto di decisioni convenzionali: ma ciò non significa che queste convenzioni non si siano avvalse di un razionale criterio di base, e che questo non debba essere adattato alla nuova realtà. Tale criterio, che invero non ci risulta sia mai stato esplicitato in quanto tale, riteniamo si possa identificare nel principio della focalità, termine che si trae dal ben noto ed antico concetto, elaborato in patologia, di malattie focali (foci tonsillari, dentari ecc.) tuttora ritenuto valido in ambito clinico. Si tratta notoriamente di una concezione che attribuisce valore patologico rilevante a modeste patologie localizzate, sedi di colonie batteriche pericolose per la possibilità di diffusione e di danno a livello di apparati vitali come il cuore ed il reni. Utilizzando il concetto nel nostro ambito, per lata analogia, può ritenersi "focale", sotto il profilo funzionale e non già eziopatogenetico, quella menomazione che, pur essendo il più delle volte localizzata, esercita per sede e per natura una rilevante influenza dannosa sull’intera persona. Tale influenza dannosa - che chiamiamo focale esclusivamente per sottolineare l’influenza generale di una menomazione locale - può essere considerata secondo due distinte prospettive, cioè in rapporto ai differenti effetti dannosi prodotti da una identica menomazione psicofisica: la focalità con effetti dannosi generali sulla capacità di lavorare e produrre la focalità con effetti dannosi generali sullo stato di salute o comunque sull’integrità psicofisica della persona.
E’ ovvio che esistono, tra le due categorie, delle intersezioni ed interazioni in quanto la fonte biologica del danno è la stessa. E’ palese, sin dalle percentuali assegnate a determinate menomazioni dalla Tabella del Testo Unico del 1904, il valore "focale" loro attribuito nei confronti dell’intera capacità lavorativa (quindi reddituale) del danneggiato. Pertanto se la perdita di un pollice destro, in un destrimane, veniva quantificata con il 30% (in seguito con il 28%) - cioè con poco meno di 1/3 della valore complessivo della persona (100%) - significa che a quella menomazione anatomica, indubbiamente modesta rispetto all’intero corpo umano, si attribuiva una assai rilevante influenza "focale" sulla globale capacità lavorativa, prevalentemente manuale, del leso. Mutando l’oggetto della quantificazione percentuale- dal danno reddituale al danno biologico - il concetto di focalità mantiene intatta la sua essenza ma poiché il danno considerato ai fini del risarcimento o dell’indennizzo non è più quello lavorativo in quanto tale, bensì il danno alla salute nel suo aspetto statico, cioè l’integrità psicofisica (quello "dinamico" non è considerato nelle tabelle fatta eccezione per la Tabella Inail delle Menomazioni che al comma 2 del D.L. 38/2000 include nelle percentuali di legge gli "aspetti dinamico-relazionali") è evidente che per ogni menomazione permanente l’ottica di attribuzione dei valori percentuali deve mutare e, in linea di principio, le menomazioni motorie dovrebbero essere riequilibrate rispetto a quelle che interessano gli organi più importanti per l’integrità psicofisica attuale e futura dell’individuo.
Si deve indubbiamente prendere atto del fatto che l’integrità biologica (la cui menomazione costituisce il fondamento naturalistico del danno biologico, presupposto dell’aspetto giuridico del danno alla salute) ha gradi diversi di "visibilità" organica e funzionale. Perdere un pollice è nel contempo dotato di elevata visibilità anatomica e, per gli adattamenti che richiede in alcune attività, è anche molto visibile nella funzionalità perduta. La perdita di un rene, al contrario, è sostanzialmente priva di "visibilità" anatomica (al più si può vedere una cicatrice cutanea chirurgica) e può esserlo anche di visibilità funzionale ma solo sotto il profilo della mancanza di alterazioni cliniche e bioumorali pur configurando una menomazione rilevante specie per i rischi futuri che può implicare. Queste differenze hanno una loro importanza psicologica anche dal punto di vista del danneggiato, che istintivamente tende a dar maggiore rilievo alle menomazioni facilmente visibili. A questo proposito occorre anche richiamare la necessità di una revisione delle conoscenze scientifiche nella compilazione delle moderne tabelle. Per quanto riguarda il monorene, ad esempio, le conoscenze odierne dimostrano che nel fisiologico processo di invecchiamento, ed indipendentemente dal sopravvenire di patologie a carico del rene superstite, si realizza in quest’ultimo una progressiva scomparsa di molti glomeruli che rende ben diversa la situazione funzionale rispetto a chi possiede entrambi i reni. Un altro esempio può essere la milza, tanto sottovalutata, le cui funzioni da tempo note oggi sono meglio conosciute. I due esempi riportati rientrano nel grande problema delle menomazioni delle grandi funzioni "vitali" – la respirazione, la circolazione, la digestione, gli emuntori - che in genere danneggiano nell’attualità o in prospettiva con maggiore evidenza medica tutto l’organismo, rispetto alle funzioni motorie che hanno un maggiore grado di indipendenza dall’economia generale. Se il concetto, per ora provvisorio, di danno biologico come "lesione dell’integrità psicofisica della persona (art. 13 del D.L. 38/2000) che il legislatore ha individuato aggiornando il Testo Unico Inail, dovesse essere esteso anche al risarcimento del danno alla persona da responsabilità civile – come per ora sembra di poter prevedere – appare evidente che questo concetto, del resto già compreso in quello di danno-base elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, specie dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986, coincide con il decremento della globale integrità psicofisica dell’individuo indipendentemente da fatto che la menomazione implichi, nell’attualità, sintomi clinici: la perdita del rene e della milza, ad esempio, sono assai spesso quasi, o del tutto, asintomatiche. Il concetto di danno alla integrità psicofisica appare omologabile, benché non totalmente sovrapponibile, a quello che la giurisprudenza - e la medicina legale – hanno elaborato in tema di esiti permanenti di malattie configuranti lesione personale ex artt. 582, 583 e 590 c.p. in cui il bene tutelato è appunto l’integrità anatomo-funzionale della persona. Se la Cassazione penale ha sempre ritenuto integrare l’aggravante dello "indebolimento permanente di organo" una menomazione anche minima purché apprezzabile, a fortiori costituiscono grave "indebolimento permanente" menomazioni importanti come la perdita di un rene od anche la pur "svalutata" perdita della milza (che alcune sentenze della Suprema Corte hanno ritenuto addirittura perdita di organo a causa della sua indubbia unicità anatomica). La lesione dell’integrità psicofisica – che in sede penale richiede soltanto il superamento di valori di soglia per integrare il livello delle lesioni gravi e quelle delle lesioni gravissime – in sede civile comporta il riferimento ad una scala di valori basati sulle comuni e fondamentali conoscenze della medicina aggiornate con le acquisizioni degli studi più recenti. Ci sembra infatti evidente che in ambito di risarcimento (o indennizzo) del "danno biologico" la menomazione permanente deve essere quantificata percentualmente tenendo conto primariamente del valore anatomo-funzionale dell’organo con riguardo marginale (non certo nullo) alle conseguenze "visibili" ed anche all’eventuale attualità di una sintomatologia clinica. Attribuire all’anchilosi di un’anca in posizione favorevole il valore percentuale di danno biologico del 40% (Guida LMB) od anche il 30% (Guida SIMLA) significa avvalersi esplicitamente, e correttamente, del concetto di focalità dannosa. La menomazione anatomica, rispetto all’intero organismo è infatti di modesta entità ma i riflesso generale sull’integrità, e sulla salute, è rilevante e può risultare tale, a seconda dei casi, anche sulla capacità di produrre reddito. Analoghe considerazioni si possono svolgere prendendo ad esempio il pollice destro (25% Guida LMB, 20% Guida SIMLA), struttura che non ha molto peso anatomico, ma ne ha uno ben maggiore sul piano funzionale, comprendendo nella "funzione" anche l’aspetto estetico di decremento visibile dell’integrità della persona. Se questo è indiscutibilmente il principio, che abbiamo denominato di focalità, che sta alla base delle tabelle (se così non fosse le due menomazioni esemplificate dovrebbero essere fortemente declassate a causa del loro scarso "peso" anatomico)", non è in alcun modo giustificabile l’abbassamento operato nella tariffazione di organi di primaria importanza anatomo-funzionale quali il rene, un testicolo, la milza, il fegato, l’organo dell’equilibrio e così via. Sotto il profilo dell’integrità psicofisica della persona la loro svalutazione non è scientificamente giustificata e quindi non è medicolegalmente accettabile.
8. Delle due domande che ci siamo poste in un paragrafo precedente (cfr. supra 6) la seconda domanda poneva il problema del confronto con le tabelle per la responsabilità civile adottate in alcuni altri paesi, dal quale potrebbe nascere il barème europeo, per verificare se l’ipotesi di omologazione delle tabelle esistenti risponda, oltrechè a motivi di mera opportunità, anche ad una reale identità di oggetto, che giustifichi scelte identiche, ovvero solo forti analogie. La nota Guida dell’American Medical Association precisa, nella Introduzione, che i valori percentuali proposti riguardano il medical impairment che può produrre a sua volta la disability. Il medical impairment è defininito "an alteration of health status assessed by medical means" mentre la disability è "an alteration of the patient’s capacity to meet personal, social and occupational demands, or to meet statutory or regulatory requirements, which is assessed by nonmedical means". Se la salute (health) è dunque alla base della Tabella statunitense dell’A.M.A. potrebbe desumersi che nessuna ragionevole differenza possa sussistere in una tabella italiana relativa all’aspetto statico del danno biologico e quindi anche l’85% attribuito alla cecità assoluta dalla Guida SIMLA sia nel tutto omologo all’84% della Guida A.M.A. che assegna inoltre il 25 percento alla perdita di un occhio ed il 22 percento alla perdita del pollice dominante. Non è tuttavia chiaro a sufficienza se il concetto di salute su cui si basa la Tabella AMA - che ha indubbiamente molte coincidenze di valori percentuali rispetto alla Guida LMB e alla Guida SIMLA – coincida con il concetto più restrittivo che si va prospettando nel nostro ordinamento, a partire dal D.L. 38/2000, cioè quello di integrità psicofisica, sovrapponibile all’originaria concezione di Cesare Gerin. In sede europea, dove è in atto il sopra citato tentativo di una armonizzazione, sono invece di chiara evidenza le differenze che, a titolo di esempio, possono evidenziarsi rispetto al sistema risarcitorio francese del "dommage corporel en droit commun". Il confronto con la Francia è importante perché la Guida orientativa della Società francese di Medicina Legale, proposta in prima edizione nel 1982, quindi posteriore alla Tabella di Como e Perugia ma di molto anteriore alla Guida SIMLA, ha molte percentuali "cardine" sostanzialmente sovrapponibili a quest’ultima (ed ora, sia pure parzialmente, con la Tabella Inail delle menomazioni) ed è da ritenere abbia avuto molta influenza sui barème che si sono pubblicati in Europa successivamente, ad esempio in Spagna, e che possa averla anche in futuro sul barème europeo. Occorre ricordare che in Francia, come è stato illustrato recentemente da Michel Penneau, i cosiddetti "chefs de préjudice" non hanno definizione legale ma derivano dalla dottrina e dalla giurisprudenza e si distinguono in "patrimoniali" economici, ed "extrapatrimoniali" o personali, non economici: solo relativamente ai primi la Securité Sociale può esercitare diritto di rivalsa. Il Barème indicatif des incapacités en droit commun francese apparso per la prima volta sul n. 25 de Le Concours Médical (19 giugno 1982) contiene le tariffe indicative per una forma di danno che non a caso è denominato dommage physiologique, non già "dommage biologique". Questa forma di danno è essenzialmente a carattere funzionale al punto che la perdita anatomica di un rene o della milza, se privo nell’attualità di conseguenze clinico-funzionali, può essere valutato con lo 0%. Questa concezione, del tutto rispettabile, ma ben lontana dall’attuale principio italiano di lesione dell’integrità psicofisica, spiega perché il barème, pur mantenendo la tariffazione del 25% per la perdita della vista di un occhio abbia abbassato anch’esso all’85% la valutazione percentuale della cecità assoluta. La guida francese ha fornito una motivazione di questa modifica restrittiva che è da ritenere illuminante per l’analisi che qui stiamo prospettando e che induce a concludere non sia per ora mutuabile in Italia dove l’oggetto della quantificazione percentuale è la lesione dell’integrità psicofisica e non il danno prevalentemente funzionale. Si motiva testualmente, nella nostra letterale traduzione italiana dell’introduzione del barème francese del 1982: "Il tasso del 100% è concesso attualmente con troppa facilità, il che obbliga i giudici e gli assicuratori a distinguere tra piccoli e grandi 100%. Per lo stesso tasso, l’entità del risarcimento può in effetti variare molto a seconda dello stato reale del danneggiato. Non è anormale attribuire il 100% ad un paraplegico che può muoversi da solo, guidare la sua automobile, avere un’attività professionale ed una vita famigliare? Certo, la diminuzione della sua capacità è grande, ma la sua percentuale è lontana dalla cifra massima. L’approccio all’incapacità attraverso lo studio della capacità residua è un buon metodo. Per valutare le incapacità elevate, è in effetti necessario controllare il risultato attraverso l’apprezzamento inverso della capacità residua. E’ talora più facile stabilire il tasso di capacità che persiste dopo un danno importante che non assegnare tassi dell’ordine dell’80 o 90%. E’ così che un cieco mantiene la propria intelligenza intatta, ed intatto l’uso dei suoi arti. Certo, le sue attitudini sono ridotte e le possibilità di riadattamento variano in base ad una serie di fattori, in particolare l’età. Percentualizzare una tale diminuzione di capacità non può essere che arbitrario: il presente barème propone un tasso dell’85% per la perdita della visione". Il chiarimento concettuale definitivo, che dimostra la rilevante differenza rispetto al danno biologico italiano, si desume dall’intoduzione della Guida-barème pubblicata successivamente. L’incapacité permanente è definita come "la riduzione a causa delle sequele traumatiche della capacità fisiologica, cioè del potenziale fisico, psicosensoriale e intellettuale della persona lesa. Il campo di applicazione di questa capacità è quello della vita quotidiana: si tratta dunque di una incapacità generale, o funzionale, di un disturbo, di una difficoltà o di una impossibilità negli atti della vita corrente, la vita di qualsiasi persona in ciascuno dei suoi componenti diurni e notturni, la vita per sé e per l’entourage, la vita personale e familiare". E poco dopo: "l’incapacità permanente si situa al livello funzionale: è dunque il deficit personale permanente". Questa è dunque la ragione per la quale il danno oggetto del risarcimento, e quindi della tariffazione mediante il barème, non è denominato in Francia dommage biologique bensì dommage physiologique e quindi ha un connotato prevalentemente funzionale, relativo alla ridotta "capacità". E’ evidente, che questo tipo di danno non coincide se non in parte con il danno biologico statico elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiana, bensì dà prevalenza assoluta all’aspetto dinamico che in Francia, inoltre, è per una sua parte ulteriormente distinto, e risarcito, sotto le voci autonome dei "préjudices dits annexes" come il Préjudice estethique, il préjudice sexuel, il préjudice d’agrément (limitazioni nella vita sportiva, artistica ecc.) oltre alle souffrances endourées (pretium doloris). Appare dunque improprio, perlomeno allo stato attuale, omologare in Italia talune percentuali a quelle francesi, proposte con finalità in discreta parte diverse. Il concetto di focalità dannosa per l’integrità psicofisica, nell’ottica dell’ordinamento italiano che da pochi mesi ha definito sia pure in forma sperimentale il danno biologico in ambito Inail e si accinge a definirlo anche per la responsabilità civile ci induce pertanto a ritenere inaccettabili le riduzioni della tariffazione percentuale di alcuni handicap gravissimi, in particolare quelli che riguardano la cecità assoluta, la tetraplegia, la paraplegia, dal 100% all’85% o all’80%.Non è infatti la capacità residua che deve considerarsi in questa valutazione bensì, all’inverso, l’entità della compromissione globale "focale" dell’integrità psicofisica dell’individuo in relazione all’importanza della struttura danneggiata. E’ agevole considerare che se si dovesse far riferimento alla "capacità residua" il ragionamento proposto dai francesi per il danno del cieco assoluto, del tetraplegico ma anche del paraplegico, indurrebbe ad abbassare la perdita di un pollice a 5-6 punti in percentuale essendo evidente che il residuo anatomo- funzionale di chi abbia perso un solo pollice destro, sia esso valutato con il 20 o, a fortiori, con il 25%, è in realtà ben maggiore dell’80 od 85% che la differenza 100-20, o 100-25, fa risultare. Ci si dovrebbe spiegare, insistendo nell’emblematico esempio del pollice, come la perdita di un solo dito su dieci delle due mani, possa essere valutata un quarto della paralisi completa (non già paresi) degli arti inferiori e la necessità di vivere in carrozzella.
9. L’abbattimento contestuale e solidale dei valori percentuali per la quantificazione del danno biologico, ha dunque mantenuto, non solo in Italia, la tradizionale supremazia delle menomazioni motorie deprimendo in modo ingiustificabile le menomazioni a carico di altre strutture ed organi che, ai fini dell’integrità psicofisica dell’uomo, hanno spesso un valore comparativamente più rilevante. Con lo stesso meccanismo, ed anche con motivazioni aggiuntive che non ci sentiamo di condividere, si sono trascinati al ribasso percentuali massime, pari al cento percento, tradizionalmente attribuite a gravissimi handicap, quali la cecità assoluta, la tetraplegia, la paraplegia. La nuova Tabella Inail ha seguito questo esempio pur mantenendo al 100% la tetraplegia. Abbiamo visto (cfr. supra par. che in qualche misura tale abbattimento può forse giustificarsi nel barème francese che fa riferimento essenzialmente alla funzione e alla capacità, non già all’integrità. Questa decisione, in Italia, si è avvalsa anche di un argomento utilizzato dai colleghi francesi, cioè l’imbarazzo concettuale creato da menomazioni ancora più gravi, quale ad esempio uno stato di coma apallico. Assegnare il 100% alla cecità assoluta, si afferma, non rende disponibile un punteggio maggiore per condizioni di ancora maggiore gravità. Si è anche udito affermare che il 100% coinciderebbe con la morte dell’individuo: motivazione singolare che commenteremo brevemente al prossimo paragrafo. Noi possiamo rinunciare - anche se con gravi dubbi circa la giustificazione etica di questa scelta imposta da necessità pratiche di semplificazione - a dotarci di un metodo di quantificazione medico-legale del danno alla persona che sia capace di tener conto dell’incremento esponenziale, e non meramente lineare, della compromissione del bene integrità e salute, accontentandoci di compensare questa grave insufficienza tecnica mediante l’incremento esponenziale del valore economico del punto, nella fase di traduzione della percentuale in moneta. Ma questa accettazione dei nostri limiti non può giungere ad impoverire ulteriormente il già grossolano metodo di misura di cui disponiamo. Vari sono gli argomenti che si devono opporre al declassamento delle tariffazioni assegnate a gravissimi handicap. Il più elementare di questi argomenti è costituito dall’assurdità di avvalersi di un metodo di quantificazione per proprio conto rozzo, del tutto convenzionale, e comunque insufficiente – costituito da cento punti – e di aggravare il già grave problema riducendo ulteriormente lo strumento di misura cioè privandolo dei valori dal 95 al 100. Più decisivo a dirimente è l’argomento che l’operazione restrittiva entra in insanabile conflitto con il principio di focalità (cfr. supra par. 7) che, ove anche non lo si voglia definire con questo termine, rimane la sostanza della tecnica di tariffazione percentuale. Non sarebbe agevole spiegare ad un danneggiato, come la perdita del pollice dominante sia valutata con il 20% cioè un quarto, o poco meno, della cecità assoluta, e l’anchilosi dell’anca, con la metà ovvero più di un terzo: valori accettabili in sé e per sé ma a condizione che la cecità, la tetraplegia e la stessa paraplegia riprendano le posizioni percentuali che sono proporzionali all’enorme gravità dell’handicap potendo giungere a saturare lo strumento di quantificazione di cui disponiamo. Non può neppure affermarsi che il 100% appiattisce le valutazioni perché la sua soglia è di fatto superabile, nella responsabilità civile, attraverso lo strumento complementare dell’equità ed il risarcimento del danno morale e, nell’assicurazione obbligatoria, attraverso le prestazioni per superinvalidità. Si deve anche considerare che questi gravissimi handicap sono infrequenti nella pratica peritale e quindi gravano in misura molto modesta sul costo globale delle assicurazioni private e di quella obbligatoria rispetto a quello enorme delle micropermanenti. E’ infine doveroso riflettere su questo problema anche dal punto di vista dell’etica del consenso sociale. Queste decisioni tabellari restrittive hanno certo obbedito a considerazioni che, pur a nostro avviso non condivisibili, possono forse trovare una loro motivazione. Ma è indubitabile che, effettuate dopo quasi un secolo di utilizzo del 100% per quantificare menomazioni molto gravi – poco importa se motivato dall’aspetto reddituale delle menomazione o da quello attuale dell’integrità psicofisica – devono essere sottoposte al vaglio di un’opinione pubblica allargata per quanto sia possibile oltre l’area degli esperti, proprio in ragione della discrepanza palese tra la comune sensibilità di fronte ai gravissimi handicap, e il marginale rilievo di considerazioni aritmetiche, per di più in contrasto con la logica interna del sistema tabellare, come abbiamo cercato di dimostrare. E’ da considerare un segno positivo, ed incoraggiante, il fatto che la Commissione europea, come ha riferito Borovia, abbia a lungo discusso la quantificazione ed il risarcimento delle menomazioni gravi, da taluno considerate tali le "macropermanenti" che superano il 70%, ed abbia proposto che il barème europeo progettato non venga obbligatoriamente applicato in queste particolari evenienze.
10. Abbiamo dunque udito, ma senza trovarlo scritto, (e se abbiamo appreso esattamente) che la cifra massima del 100% non si potrebbe comunque assegnare se non in caso di menomazioni gravi plurime e numerose perchè equivarrebbe alla morte della persona. E’ un’idea bizzarra ed inaccettabile sia dal punto di vista biologico che da quelli umano, filosofico e giuridico ed anche contraddittoria perché se il 100% è la morte non si dovrebbe poterlo usare neppure in casi di menomazioni plurime. La morte è la fine irreversibile della vita biologica che implica il passaggio nel regno dei trapassati e la cancellazione dell’individuo dal registro dello stato civile. Nel lungo dibattito, non ancora concluso, che in Italia si è sviluppato sulla trasmissibilità ereditaria del risarcimento del danno biologico (per ora la Corte di Cassazione ha deciso positivamente a condizione che il leso sopravviva per qualche tempo, peraltro non quantificato) Giannini e Pogliani, tra gli altri, ci hanno ricordato che nel nostro Paese il diritto alla salute ed il diritto alla vita, pur avendo origine entrambi dai diritti della personalità (art. 2 della Costituzione) sono considerati e regolati separatamente per mezzo del differente trattamento che le leggi loro riservano. Alcuni potrebbero forse citare Georg Wilhelm Hegel che nella sua Enciclopedie des Sciences Philosophiques (1817) ha affermato che la malattia fisica non può generare la perdita intera della salute coincidente con la morte. Ma si tratta di una affermazione che farebbe la felicità di Monsieur de La Palisse. In realtà non è necessario essere un grande filosofo per comprendere la differenza radicale tra la vita e la morte. Quanto al nostro povero ma indispensabile strumento di stima percentuale dell’invalidità permanente di persona ancora in vita è non solo necessario, ma addirittura doveroso, impiegarlo tutto, in modo coerente, senza ridurne le già ridotte possibilità.
11. Le conclusioni che si possono trarre da questa analisi, che non ha la pretesa di essere esaustiva di un così complesso problema, sono in breve le seguenti.
a. Le percentuali orientative contenute in alcune Guida-Tabelle (la Guida di Luvoni-Mangili-Bernardi; la Guida della SIMLA elaborata da Bargagna-Canale-Consigliere-Palmieri-Umani Ronchi) per la valutazione del danno biologico a da responsabilità civile – ed anche quelle tassative recentemente pubblicate dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale per l’indennizzo del stesso tipo di danno nell’assicurazione sociale contro gli infortuni e le malattie professionali – propongono percentuali simili ma spesso non coincidenti. Questi valori sono a loro volta simili a quelli di alcune Guide straniere molto note. E’ da ritenere che il Barème francese, in particolare, abbia esercitato una rilevante influenza su alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, ma le analogie di molte tariffazioni non sono giustificate da una identità di oggetto della valutazione perché il dommage physiologique francese non coincide con il danno biologico statico, elaborato dalla dottrina e dalla giurisprudenza italiana ora coincidente con la lesione dell’integrità psicofisica.
b. Le nuove tabelle italiane recano ancora "l’impronta genetica" della loro origine legata alla quantificazione della riduzione della capacità lavorativa, in quanto pur contenendo valori percentuali ridotti nella tariffazione delle menomazioni motorie, queste hanno conservato e talora accentuato la loro preminenza rispetto alle menomazioni di organi ed apparati di maggiore rilevanza rispetto all’integrità psicosomatica. Infatti la riduzione consistente (da 10 a 20 punti) del punteggio percentuale assegnato a gravissimi handicap quali, per fare alcuni esempi, la cecità assoluta, la tetraplegia, la paraplegia, le gravissime alterazioni della favella, le sindromi dissociative, le forme gravi di sindrome psicorganica e di deterioramento psichico, appare in contrasto con la finalità radicalmente mutata delle tabelle destinate alla quantificazione del danno biologico rispetto a quelle compilate per il danno "lavorativo". Il concetto di focalità dannosa che rappresenta la chiave metodologica nella costruzione di tabelle deve infatti ispirarsi ad una chiara differenziazione nella quantificazione degli effetti dannosi della menomazione psicofisica sulla capacità dell’individuo rispetto alla quantificazione degli effetti dannosi sulla salute-integrità costituzionalmente protetta.
c. Ai gravissimi handicap, sia di tipo sensoriale (cecità totale) sia motorio (tetraplegia, paraplegia) deve a nostro motivato avviso essere restituita la percentuale del 100% potendosi invece variare, caso per caso, il calcolo del danno economico da lucro cessante prodotto da queste menomazioni.
d. L’utilizzo del 100% di invalidità permanente biologica è del tutto giustificato dalla natura dello strumento di stima impiegato, la percentuale, e non ha comunque alcuna connessione con la morte dell'individuo.
e. L’evoluzione delle norme che è in atto, ed il prevedibile ulteriore riassestamento della giurisprudenza nei prossimi anni, rende indispensabile un confronto ad ampio raggio sui complessi problemi della valutazione medico-legale del danno alla persona da responsabilità civile ed anche delle sue relazioni con la nuova normativa per la quantificazione medico-legale del danno da infortunio sul lavoro e da malattia professionale. --------------------------------------
Note:
1 D.M. del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 12 luglio 2000.. pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 luglio 2000 n. 119.Le Tabelle sono pubblicate e commentate in G. Cimaglia e P. Rossi, Danno Biologico. Le Tabelle di Legge, Giuffrè, Milano 2000.
2 Luvoni R., Mangili F. e Bernardi L. Guida alla valutazione medico-legale del danno biologico e dell’invalidità permanente, Giuffrè, Milano 1995 4° edizione.
3 Bargagna M., Canale M., Consigliere F., Palmieri L. e Umani Ronchi G., Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente, Giuffrè, Milano 1998.E’ in corso di stampa la terza edizione.
4 Cittadini A. e Zangani P. Guida-tabella del Danno Biologico a carattere permanente e invalidante, Morano Napoli 1995 ; Luvoni R., F. Mangili F. e Ronchi E. Guida alla valutazione medico-legale dell’invalidità permanente da malattia nell’assicurazione privata, Giuffrè, Milano 1992; Bruno G., Cattinelli L., Cortivo P., Farneti A., Fiori A. e Mastroroberto L. Guida alla valutazione del danno in ambito dell’infortunistica privata, Giuffrè, Milano 1998.Un’ampia rassegna delle guide internazionali è stata elaborata da I. Pitzorno Guida breve alla valutazione del danno alla persona nel Trattato di Medicina Legale e di Scienze Affini diretto da G. Giusti, CEDAM, Padova 1999 vol. 5° pag. 1309 segg.
5 Decreto Ministeriale 5 febbraio 1992 Approvazione della nuova tabella indicativa delle percentuali di invalidità per le minorazioni e malattie invalidanti, Gazzetta Ufficiale 26,2,1992 n.47. Questa tabella è molto diversa dalla precedente contenuta del D.M. 25 luglio 1980, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 14 ottobre 1980 n. 282.
6 In applicazione della Legge 5 febbraio 1992 n.104 sono state elaborate tabelle analitiche di valutazione dell’handicap: cfr. Scorretti C. Colafigli A., Dal Pozzo C., Fallani M., Consigliere F. e F. Fratello. L’analisi delle capacità. Implicazioni e prospettive medico-legali. Riv. t. Med. Leg. 18,435,1996. Cfr. anche Scorretti C. Dall’invalidità civile all’handicap, Liviana ed. Napoli 1993.
7 La Raccomandazione elaborata nel giugno 2000 dalla Commissione internazionale di giuristi e medici legali, coordinata da Francesco Busnelli è stata illustrata da César Borobia, dell’Università Complutense di Madrid, nel corso del 33° Congresso della SIMLA, Brescia 25-28 ottobre 2000, Atti Preliminari pag. 203.
8 L’art. 13 del D.L. 38/2000, al comma 1 recita "In attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento, il presente articolo definisce, in via sperimentale, ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali il danno biologico come lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona." Nel n. 2, lettera a) il D.L. stabilisce che "le menomazioni conseguenti alle lesioni dell’integrità psicofisica di cui al comma 1 sono valutate in base a specifica ‘tabella delle menomazioni’, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali".
9 Cazzaniga A. Le basi medico-legali per la stima del danno alla persona da delitto o quasi delitto, Ist. Editoriale Scientifico, Milano 1928.L’analisi delle forme di danno alla persona, pur riferita al danno patrimoniale economico, era quasi sovrapponibile alle voci di risarcimento attualmente previste nella giurisprudenza francese. La monografia è stata ripubblicata da P. Giolla con l’aggiunta di parti rilevanti: Valutazione del danno alla persona nella responsabilità civile, Giuffrè, Milano 2da edizione 1967.
10 La Tabella Como-Perugia è stata pubblicata da Duni A.,Cattabeni M.e Gentile G. La valutazione del danno alla persona. Criteriologia e tabella delle invalidità. Giornate medico-legali di Como 30 giugno – 2 luglio 1967, Giuffrè, Milano 1968
11 Tabella ufficiale della Società Romana di Medicina Legale e delle Assicurazioni per la valutazione delle menomazioni interessanti il sistema locomotore, Zacchia 44,269,1969.
12 Cfr. la nota n. 9.
13 Gerin C., in Atti delle giornate medico-legali triestine della società italiana di medicina legale e delle assicurazioni. Trieste 1952. Il pensiero di Cesare Gerin, nei suoi sviluppi, è ampiamente riportato nella successiva monografia La valutazione medico-legale del danno alla persona da responsabilità civile, Giuffrè, Milano 1987.
14 Franchini A. La valutazione medico-legale del danno biologico di rilevanza patrimoniale. Giornate medico-legali di Como 30 giugno-2 luglio 1967, Noseda, Como 1967.
15 Cfr nota n. 10.
16 Cfr. nota n.3
17 La milza è il maggior organo linfoide dell’organismo che svolge svariate importanti funzioni: immunologica, di filtro, di riserva cellulare, di ematopoiesi, di relazione del volume ematico (riceve un flusso di circa 300 ml al minuto corrispondente al 5% della portata cardiaca) e "possiede strutture vascolari e parenchimali qualitativamente specifiche" cfr. C. Sacchetti e A. Ponassi, Metodologia Diagnostica, Piccin, Padova 1991, 2° edizione. E’ nota anche la specifica attività della milza nei confronti della infezione da pneumococco.
18 Guides to the evaluation of permanent impairment, Americn Medical Association, Chicago 4° ed., 1993.
19 Barème fonctionnel indicatif des incapacités en droit commun, Le Concours Médical , suppl. al n. 25 del 19 giugno 1982.
20 Penneau M. Relazione al 33°Congresso della SIMLA, Brescia 25-28 ottobre 2000.
21Les séquelles traumatiques.Evaluation médico-légale des incapacités permanentes en droit commun, edita congiuntamente dalle edizioni A.Lacassagne e da Le Concours Médical, 1991. La nuova edizione, in corso di stampa, è pubblicata da ESKA e Lacassagne. Sono in corso di pubblicazione altre tabelle orientative, proposte da differenti organismi.
22 cfr. nota n. 7
23 Giannini G. e Pogliani M. Il danno da illecito civile, Giuffrè, Milano 1997.
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