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I farmaci generici: una diffidenza non del tutto ingiustificata |
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Inserito il 10 novembre 2004 da admin. - professione - segnala a:
I farmaci generici, molto diffusi in altre nazioni, in Italia hanno determinato un atteggiamento di perplessita’ se non addirittura di ostilita’ da parte della classe medica. Questa reazione e’ in parte legata a motivi "psicologici" ed in parte ad un atteggiamento di sospetto e di sfiducia del medico verso un farmaco di cui non si sente completamente "padrone" per motivi non del tutto infondati.
E’ importante analizzare quindi alcune problematiche che investono i farmaci generici onde comprendere meglio i motivi di un atteggiamento tendenzialmente negativo. Il farmaco generico e’, palesemente, assai gradito alle autorita’ governative e agli Enti erogatori di prescrizioni in quanto tendenzialmente portatore di benefici economici. Ma cos’e’ un farmaco generico? E’ veramente "uguale" al corrispondente farmaco di marca? In realta’, in base alle normative vigenti in Italia, i farmaci "generici" sono per definizione "essenzialmente simili" al prodotto di marca originale ma non per questo perfettamente uguali. [ Per chiarire la terminologia: - Biodisponibilta': parametro biochimico che misura le curve di concentrazione ematica del principio attivo utilizzando il parametro "area sotto la curva" e altri parametri accessori ("concentrazione di picco massimo" e "tempo di picco massimo"). - Bioequivalenza: equivalenza media di due farmaci aventi profilo di bionisponibilita' accettabilmente simile (compreso circa nel 20% in piu' o meno dell' Area sotto la curva). - Equivalenza terapeutica: parametro presunto in base ad una bioequivalenza media compresa nei parametri di accettabilita'. Per una valutazione dettagliata dei parametri statistici, consultare i links in fondo alla pagina]. La somiglianza prescritta per il farmaco generico si verifica allorche’, rispetto al farmaco di riferimento, il "generico" abbia una stessa composizione quali-quantitativa in principio attivo e la stessa forma farmaceutica; ("equivalenza farmaceutica") e presenti "bioequivalenza" rispetto al farmaco di riferimento. Se un generico presenta una equivalenza farmaceutica e una bioequivalenza rispetto al farmaco di riferimento, puo' essere considerato "essenzialmente simile" a questo. Da tale similitudine viene presunta una equivalenza terapeutica che puo' verificarsi sia utilizzando degli "equivalenti farmaceutici" in senso stretto (cioe’ farmaci chimicamente e farmacologicamente perfettamente uguali all’originale, sia "alternative farmaceutiche" che differiscono dall’originale per la forma chimica della frazione terapeutica (ad esempio una diversa salificazione o esterificazione del principio attivo) o per la tecnologia farmaceutica impiegata (ad esempio capsule invece di compresse, granulato anziche’ gel e cosi’ via). La maggior parte dei prodotti generici registrati in Italia appartiene al primo di questi due gruppi. Bioequivalenza, biodisponibilita', equivalenza terapeutica Il concetto di bioequivalenza, non del tutto chiaro per chi non e' addentro al settore, e’ uno di motivi di perplessita’ per i medici prescrittori. Le leggi di riferimento sono il D.leg. 323/1996 convertito in Legge 425/1996. La "bioequivalenza" tra farmaco di riferimento e generico viene valutata essenzialmente mediante lo studio della "biodisponibilita' ", che ne costituisce preliminare indispensabile. La bioequivalenza, a sua volta, costituirebbe presupposto per presumere una probabile "equivalenza terapeutica". La valutazione di biodisponibilita’ di un prodotto generico rispetto all’originale viene valutata in base ad una serie di parametri chimici e fisiologici, con procedure semplificate rispetto alla registrazione del farmaco originale. In particolare la biodisponibilita’ di un prodotto farmaceutico viene valutata dal profilo medio delle curve concentrazione-tempo del principio attivo misurato su un campione di soggetti, generalmente volontari sani, e utilizzando il parametro "area sotto la curva" come indicatore della quantita’ di farmaco reso biodisponibile; vengono considerati anche altri parametri: la "concentrazione di picco massimo" e il "tempo di picco massimo" come indicatore di velocita’ in cui il principio attivo e’ reso disponibile. Viene presunto che due prodotti con profili di biodisponibilita’ sufficientemente simili (e quindi "bioequivalenti") siano anche "equivalenti dal punto di vista terapeutico". In altre parole l' "equivalenza terapeutica" viene presunta in base ad una bioequivalenza tra i due farmaci confrontati. (Per definizione infatti il farmaco generico deve essere "bioequivalente" rispetto al prodotto di riferimento). Occorre sottolineare che gli studi tendenti a misurare la bioequivalenza dei prodotti non utilizzano parametri clinici di efficacia ma si limitano a confrontare la biodisponibilita’ sistemica di due prodotti, che puo' essere simile ma non uguale, in quanto ci si basa sul concetto che due prodotti farmaceutici, pur avendo un profilo di disponibilita’ anche diverso (purche' compreso in un certo ambito), possano essere equivalenti anche sul piano terapeutico. Le norme internazionali, infatti, stabiliscono un range di variabilita’ convenzionale come "intervallo accettabile" di bioequivalenza. Questo intervallo di variabilita' accettabile, indipendentemente dalla classe farmacologia del principio attivo e dal parametro farmacocinetico considerato, e’ fissato a livello internazionale nel range tra 080-1,25 quando si considera la media dei rapporti individuali tra area sotto la curva del farmaco testato e area sotto la curva della formulazione standard o, dopo alcune correzioni statistiche, entro la percentuale del 20% in piu' o in meno. L' entita' di questa variazione accettabile e’ stata stabilita in base al concetto che la variabilita’ individuale della risposta terapeutica e’ generalmente molto ampia, anche piu’ ampia del range di variabilita’ fissato per il test di bioequivalenza. Diversi Autori, tuttavia, hanno sottolineato il fatto che, almeno per alcuni farmaci aventi una "finestra terapeutica" molto stretta, l’attuale convenzionale intervallo di bioequivalenza potrebbe essere troppo ampio e percio’ inadeguato a garantire con sufficiente affidabilita’ che due prodotti bioequivalenti siano anche terapeuticamente equivalenti. E' possibile quindi affermare che la metodologia utilizzata attualmente negli studi di bioequivalenza, consente di stimare la "bioequivalenza media" e la "bioequivalenza di popolazione" ma non consente di valutare la "bioequivalenza individuale". In base a questa considerazione il medico e il paziente che utilizzino un farmaco "bioequivalente" possono aspettarsi un risultato terapeutico "mediamente equivalente" nella popolazione complessiva degli utilizzatori, ma non e' possibile fornire informazioni circa la probabilita’ che la risposta del singolo paziente alle due formulazioni diverse (farmaco di riferimento e generico bioequivalente) sia la stessa. Il problema e’ particolarmente sentito, come gia' detto, per i farmaci ad uso cronico dotati di scarsa maneggevolezza e di basso indice terapeutico. Pur rimanendo quindi valido genericamente il concetto di sostituibilita’ tra il farmaco di riferimento e un farmaco generico bioequivalente e’ evidente come possa essere importante per il medico conoscere, per i singoli prodotti alternativi, il range di scostamento dei parametri di confronto onde poter eventualmente scegliere il prodotto che piu’ si avvicina a quello di riferimento. Inoltre questa variabilita’ "interna" tra farmaci generici non permette un diretto confronto tra di loro in quanto essi vengono confrontati esclusivamente con la specialita' di riferimento e non e’ possibile estrapolare automaticamente una equivalenza tra di loro. Il concetto di bioequivalenza non gode della proprieta' transitiva: non e' possibile affermare, senza una verifica diretta, che due prodotti, ciascuno bioequivalente con lo stesso standard di riferimento, siano bioequivalenti tra di loro. Questo problema ovviamente e’ uno dei maggiori ostacoli alla libera sostituibilita’ del prodotto da parte dei farmacisti con prodotti equivalenti. Il problema degli eccipienti La normativa vigente, basata sul DL 323 del 20/06/96 stabilisce che i generici debbano avere "la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche.". Non vengono dettate norme, invece, per quanto riguarda la composizione degli eccipienti. Il problema non e’ di poco conto, soprattutto per quanto riguarda alcune forme farmaceutiche quali i granulati, le soluzioni orali, ma, in una certa misura anche le compresse. Questo perche’ la pratica medica e’ diventata sempre piu’ sensibile, in questi anni, ai problemi di allergia o di generica intolleranza ai diversi tipi di sostanza. L’aumentata diffusione di patologie che impongono restrizioni alimentari o evitamento di sostanze particolari ha fatto si' che si presti sempre piu' attenzione a questo problema. In base alla normativa attuale e’ quindi facilmente ipotizzabile che due farmaci, pur essendo tra loro bioequivalenti dal punto di vista del principio attivo, possano presentare invece differenze e problemi notevoli per quanto riguarda la composizione dei loro eccipienti. Non e’ impossibile immaginare, ad esempio, che un medico prescriva un farmaco granulato ad un diabetico in quanto a conoscenza che la specialita' di riferimento non contiene zucchero o altre sostanze nocive a quel particolare paziente; una sostituzione del farmaco fatto "alla cieca" dal farmacista o da un altro operatore potrebbe invece, inconsapevolmente, sostituire quel prodotto con uno bioequivalente ma dolcificato con zucchero, con conseguente inspiegabile alterazione dell' equilibri glicemico. Sono parecchie altre le sostanze che impongono particolare attenzione: i pazienti affetti da morbo celiaco, ad esempio, devono evitare l’amido di grano (spesso utilizzato come eccipiente di compresse e capsule). Anche altri dolcificanti (oltre allo zucchero) presentano controindicazioni per alcune categorie di pazienti: e' noto ad esempio che la saccarina puo' provocare allergia crociata con i sulfamidici, e che l' aspartame e' controindicato nei soggetti affetti da fenilchetunuria. Una sostituzione "selvaggia" del prodotto provocherebbe quindi facilmente una serie di disturbi iatrogeni legati a somministrazione involontaria dei principi proibiti. Si andrebbe incontro ad una serie di problemi, anche di responsabilita’ professionale, di incerta soluzione: chi potrebbe essere responsabile, ad esempio, dello scompenso di un diabetico o di una reazione allergica per un paziente a cui e’ stato prescritto correttamente un farmaco privo della sostanza dannosa, ma sostituito, in un iter successivo, con un farmaco "bioequivalente"? Il farmacista, del resto, non puo’ ne’ deve effettuare una diagnosi ne’ entrare nel merito di una scelta terapeutica, l’unico a rimetterci sarebbe quindi, in definitiva, il paziente. Sarebbe percio’ auspicabile una serie di modifiche alla normativa attualmente vigente: -Restringere il range di variabilita’ ammesso per i criteri di bioequivalenza o, in alternativa, obbligare le aziende produttrici di farmaci generici a pubblicare i dati di bioequivalenza del loro prodotto rispetto allo standard di riferimento. Questo sistema consentirebbe al medico di scegliere piu’ oculatamente e obbligherebbe le aziende di migliorare al massimo la qualita’ del loro prodotto. - Regolamentare anche la tipologia degli eccipienti: si potrebbe ad esempio stabilire che le aziende che vendono generici con eccipienti diversi dall’originale segnalino esplicitamente e in modo ben leggibile anche dal profano, queste loro differenze in modo che il paziente possa tenerne conto per le sue particolari situazioni. In mancanza di accorgimenti del genere e’ comprensibile l’atteggiamento di diffidenza che molti medici hanno ancora verso i farmaci generici e verso la possibilita’ di sostituzione indifferenziata dei farmaci stessi tra di loro. Daniele Zamperini -EMEA-26 Julie 2001-Note for guidance on the investigation of bioavailability and bioequivalence -http:// biocfarm.unibo.it/deponti /didattica/bioequivalenza.PDF -www.salvelocs.it/farmacigenerici.HTM -http://www.emea.eu.int/pdfs/human/ewp/140198en.pdf -"Il Sole 24 ORE Sanita’ "- Dicembre 2003: in particolare Mario Eandi, Ordinario di Farmacologia Clinica, Torino
commento di Luca Puccetti
La variabilità di una data formulazione farmaceutica è un dato ineliminabile. Anche nell'ambito di un prodotto della medesima ditta possono sussistere differenze da lotto a lotto che devono naturalmente essere contenute in un ristretto margine di tolleranza. Le lucide riflessioni di Zamperini hanno gìà chiarito alcuni aspetti delle problematiche inerenti alla bioequivalenza, regolata da normative apposite, che costituiscono la base legittima delle prassi attuali. Purtroppo sono assai pochi quelli in grado di comprendere i concetti statistici e le problematiche connesse. Gli studi di farmacologia clinica sono effettuati di solito solo su pochi soggetti, spesso una ventina, talora ancor meno. La variabilità interindividuale può essere altissima e quindi le deviazione standard delle misure concentrazioni tempo sono spesso assai ampie. Dunque su base individuale una differenza media del 20 per cento può essere molto, ma molto più ampia. Chi parla di equivalenza, spesso solo farmacologica in vitro, assai raramente in vivo, non ha solitamente la piena conoscenza di queste problematiche. Chi le ricorda rischia di essere tacciato per fiancheggiatore di interessi dei poteri forti ed altre assudita' del genere. Una riflessione anche sul problema della sostituzione dei farmaci, addirittura incentivata dalla legge. All'inizio molti si chiedevano perchè mai le farmacie (che guadagnano in percentuale) fossero così contente di vendere prodotti a più basso costo. Sarà forse per la sensibilità particolare della categoria verso i bisogni "sociali"? Lo speriamo, ma occorre anche ricordare che possono esserci motivi utilitaristici: se prima occorreva tenere in farmacia 50 copie dello stesso principio attivo con relativa movimentazione di magazzino e scontistica adeguata a un numero limitati di pezzi, adesso è possibile tenere solo pochissimi marchi, branded o meno, ed ottenere sconti enormi approvigionandosi alla fonte. In questo modo dei guadagni apparentemente perduti possono rientrare in altro modo, con il vantaggio di una movimentazione minima dei rifornimenti e delle procedure connesse. E che dire del colpo di grazia al potere prescrittivo del medico? Un ben orchestrato colpo che ha unito interessi coincidenti sullo sfondo delle sempre più frequenti campagne scandalistiche, spesso montate ad hoc per orientare l'opinione pubblica verso un gradimento di misure altrimenti ostiche da far digerire. Il medico è parte della cura come il farmcao che prescrive, se si può tranquillamente sostituire ne deriva una perdita dell'effetto percepito dal paziente dell'insieme medico-farmaco. Un'ultima riflessione: consiglio i medici di non correggere una prescrizione in modo da avallare una sostituzione effettuata da altri, e' importante che si sappia sempre chi ha sostituito e cosa, e quindi si individui il responsabile.. non si sa mai..
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