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Il consenso, ma quale consenso? La confusione e' dietro l' angolo
Inserito il 02 gennaio 2005 da admin. - medicina_legale - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Le norme sul consenso informato sono spesso fraintese, a causa di confusione terminologica. Come orientarsi.

“Ho appreso con sgomento che la nuova legge sulla privacy ci obbliga a raccogliere il consenso di tutti i nostri pazienti. Ma cio’ che mi ha preoccupato, piu' che il carico lavorativo e' il fatto che, a quanto mi e’ stato detto, devo raccogliere un consenso allargato a tutti gli specialisti che visiteranno un mio paziente. La cosa mi preoccupa molto. Perche’ devo essere io ad assumermi una responsabilita’ per conto di altri colleghi? Perche' devo correre il rischio di venire coinvolto come corresponsabile nel caso di trattamenti erronei effettuati da altri medici per i quali ho dovuto raccogliere il consenso a mio nome? ".

Il quesito posto dal collega ha costituito, in effetti, una grossa preoccupazione per molti medici.
La questione nasce pero’ da un malinteso di fondo dovuto essenzialmente all’uso continuo del termine “consenso” applicato a contesti e ad argomenti differenti: in altre parole molti colleghi non si sono resi conto che esistono due tipi diversi di consenso:
1. il consenso alle cure
2. il consenso al trattamento dei dati personali.

Le due fattispecie sono evidentemente assai diverse:
1. Il consenso alle cure:
La necessita’ di raccogliere il consenso ai trattamenti sanitari deriva da una normativa generale: gia' stabilito dalla Costituzione (art. 32), viene ribadita dall' art. 610C.P., sulla violenza privata che stabilisce che “chiunque con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualcosa e’ punito con la reclusione fino a 4 anni”. La violenza consiste, in questa fattispecie, nel porre in essere un comportamento che vada contro la volonta’ dell’altro. Anche la giurisprudenza, con numerose sentenze della Cassazione (ad es. Cass. Civ. 12 Giugno 1982 n. 3604; Cass. Civ. 18 Giugno 1975 n.2439; Cass. Civ. Sez. III 15 Gennaio ’97 n.364) ha ribadito l' obbligo del consenso alle cure, validamente espresso dal paziente, condannando i sanitari che hanno effettuato trattamenti senza il preventivo consenso del paziente.
Anche il Codice Deontologico (artt. 32, 34 e 35) ribadisce tale obbligo.
Sono tenuti al rispetto di queste norme tutti i medici, sia generici che specialisti, sia privati che operanti presso strutture pubbliche.
La legge stabilisce anche, tassativamente, quali possono essere le eccezioni a questa necessita’, come ad esempio le vaccinazioni obbligatorie o i T.S.O. (trattamenti sanitari obbligatori) per i malati mentali.
Al di fuori di questi obblighi di legge non e’ possibile effettuare un trattamento senza consenso del paziente.
Dal punto di vista burocratico sono stati percio’ preparati, soprattutto dalle strutture ospedaliere, una serie di moduli di di informativa e di consenso al trattamento sanitario, da utilizzare volta per volta. Per quanto riguarda i medici convenzionati con il SSN, il consenso al trattamento "sanitario" e' considerato implicito nella scelta del medico e nella richiesta di cura effettuata dal paziente all' atto della visita.
Non e’ stato previsto invece un modulario specifico per i medici di famiglia.

2. Il consenso al trattamento dei dati personali
La situazione e' assai diversa quando si parli di consenso al trattamento dei dati personali.
Si tratta di una serie di incombenze di recente istituzione, rese obbligatorie dal D. Legisl. 30 giugno 2003, n. 196.
Queste norme non sono finalizzate alla protezione della salute dei pazienti, bensi' alla protezione della loro riservatezza.
Viene richiesto quindi un consenso finalizzato al trattamento dei loro dati personali e, con particolare vigore, dei loro dati “sensibili”, comprendente anche i dati sanitari.
Per "trattamento", come ben chiarito dalla legge, si intende sia la raccolta che la conservazione, la trasmissione e perfino la distruzione di questi dati. Per tutti questi atti e’ necessario ottenere il consenso preventivo del paziente.
E’ stato sostenuto da piu’ parti che questo consenso potesse essere ritenuto implicito nel caso dei medici di famiglia, ma il legislatore non ha ritenuto di seguire questa linea ed ha invece stabilito che questo consenso vada richiesto esplicitamente al paziente anche dai medici da loro scelti.
Il medico di famiglia gode tuttavia di facilitazioni: questo consenso puo’ essere richiesto una sola volta all’inizio del rapporto di fiducia, e puo' essere anche orale; deve essere annotato sulla tessera sanitaria dell' assistito. Per quanto riguarda i medici privati o comunque medici operanti in altre istituzioni (pubbliche o private) il consenso andrebbe invece richiesto volta per volta.
Vengono a crearsi cosi' delle situazioni paradossali e di difficile gestione: le necessita’ di approfondire aspetti diagnostici o effettuare terapie complesse obbligano spesso i medici, nell’interesse del paziente, a consulti, indagini, e approfondimenti, con conseguente passaggio dei dati personali e sensibili dall’uno all’altro sanitario.
In queste circostanze, in base ad una interpretazione rigorosa delle leggi, sarebbe stato necessario chiedere il consenso del paziente volta per volta. Vale a dire che per ogni richiesta di accertamenti, per ogni consulenza specialistica, per la trasmissione stessa delle conclusioni dello specialista al medico di famiglia, ogni volta il paziente avrebbe dovuto dare il suo consenso esplicito, anche oralmente ma preferibilmente per iscritto per evitare future contestazioni.
Il sistema sanitario si sarebbe cosi' bloccato, sommerso dagli adempimenti burocratici.
Per questo motivo e’ stato stabilito che il consenso raccolto dal medico di famiglia fosse allargato a tutti i sanitari che gestissero i pazienti insieme a lui; vale a dire che dopo tale consenso il medico di famiglia puo’ sia inviare che ricevere i dati di un certo paziente senza dover riattivare ogni volta la procedura.

Quali prassi adottare se un paziente rifiuta il suo consenso?
- Qualora il paziente rifiutasse il consenso al trattamento sanitario, il medico non puo’ fare altro che astenersi dal curarlo nel rispetto della sua volonta’, come stabilito dalle numerose sentenze in merito.
- Se il paziente rifiuta invece il consenso "allargato" al trattamento dei suoi dati personali ma concede il suo consenso al trattamento da parte del solo medico famiglia, questi puo’ continuare a curarlo, ma deve chiedere il consenso ogni volta che effettuera’ un impegnativa in cui vengano riportati i dati personali del paziente stesso. E’ ovvio come il rapporto di fiducia possa venirne vulnerato, e lo svolgimento stesso dell’attivita’ possa venire ad essere gravemente menomata.
- Se invece il paziente rifiutasse tout-court il consenso al trattamento dei suoi dati personali, sarebbe opportuno che il medico si astenesse dal proseguire il rapporto, in quanto non sarebbe possibile, per lui, continuare a curare un paziente senza essere informato della sua situazione sanitaria e senza poterne tenere una scheda personale, che costituisce obbligo convenzionale.

Evitiamo quindi la confusione
E’ necessario percio’ evitare di confondere le due diverse fattispecie che riguardano problemi e situazioni del tutto diverse:
- Il consenso allargato riguarda il solo trattamento dei dati personali e non influisce sul problema del consenso alla terapia dei trattamenti, e degli eventuali risultati di questi.
- Il consenso al trattamento sanitario e’ invece “strettamente personale”, non "allargato", specifico per ogni singolo trattamento e per ogni singola consulenza, e comporta responsabilita’ civili o penali personali del medico che effettua il trattamento o della struttura in cui esso opera. Non e’ previsto un consenso preventivo allargato al trattamento sanitario.

I vantaggi del consenso "allargato" al trattamento dei dati sanitari
Caso pratico 1: in una USL si organizza un servizio di screening su una certa importante patologia. Il Centro ha bisogno dei dati forniti dai Medici di Famiglia sui pazienti a rischio, da parte loro i medici di famiglia hanno bisogno di essere avvertiti dei risultati di questo screening.
Questo passaggio di dati potra' essere effettuato solo se il paziente avra’ dato al medico di famiglia il proprio consenso allargato, di cui il Centro acquisisce conferma attraverso l' annotazione sul libretto sanitario; in mancanza di questo sarebbe necessario il rilascio, da parte del paziente, di un consenso ad entrambi i sanitari, valido per quell' unica occasione.
Caso pratico 2
Un medico, che ha in cura un paziente gravemente malato (che non ha fornito il consenso allargato al trattamento dei suoi dati), viene a sapere, tramite un familiare, di un' improvvisa complicazione. Ne dispone quindi il ricovero in ospedale, ma nella compilazione della richiesta di ricovero non puo' trasmettere i dati sensibili di quel paziente, ne' il familiare e' abilitato a fornire il consenso al posto del malato.
Il medico dovrebbe quindi richiedere il ricovero senza motivarlo, oppure dovrebbe recarsi personalmente a casa del paziente per ottenerne la firma, o, al minimo, dovrebbe ottenerne il consenso orale telefonicamente, ma con i rischi che poi venga contestato.

In conclusione, quindi, e' necessario evitare di confondere le due fattispecie. Il consenso "allargato" al trattamento dei dati personali puo' facilitare, viste le leggi vigenti, i rapporti tra medici e tra medico e paziente ma non comporta nessuna responsabilita' circa i trattamenti sanitari, che resta strettamente personale, a carico del medico che effettua i trattamenti stessi.
Daniele Zamperini
Pubblicato su "Doctor", novembre 2004

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