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Atorvastatina 80 mg piccoli vantaggi rispetto a 10 mg
Inserito il 02 maggio 2005 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In prevenzione secondaria in pazienti coronaropatici normocolesterolemici atorvastatina 80 mg/die diminuisce il rischio di eventi cardiovascolari rispetto ad un regime con 10 mg/die senza vantaggi sulla mortalità globale.


Diecimila pazienti con malattia coronarica e colesterolemia al di sotto di 130 mg/dl sono stati randomizzati a ricevere atorvastatina 80/mg/die o 10/mg/die.
Il follow-up medio è stato di 4,9 anni. L'end point principale era un indice combinato costituito da morte cardiovascolare, infarto non fatale, rianimazione dopo arresto cardiaco o ictus.
La colesterolemia media è risultata di 77 mg/dL nel gruppo 80/mg/die e 101 mg/dL nel gruppo 10/mg/die. L'incidenza di ipertransaminasemia persistente è risultata dello 0,2 percento nel gruppo 10 mg e 1,2 percento nel gruppo 80 mg (P<0.001). Un evento primario si è verificato in 434 pazienti (8,7 percento) del gruppo 80 mg vs 548 (10,9 percento) di quello 10 mg (ARR= 2.2% RRR= 22% NNT 45 ; hazard ratio, 0.78; 95 CI, 0,69 - 0,89; P<0.001). Non è stata osservata nessuna differenza significativa per quanto concerne la mortalità globale.


Fonte: N Engl J Med 2005; 352:1425-1435

Commento di Luca Puccetti
Gli Autori concludono che un trattamento con 80 mg/die conferisce vantaggi aggiuntivi, in termini di riduzione di eventi, rispetto ad un regime con 10 mg/die in pazienti con malattia coronarica stabile normocolesterolemici. Tuttavia il vantaggio risulta essere piccolo e la significatività statistica deriva dall'enorme dimensione del campione. Da ricordare inoltre che statisticamente significativo non è sinonimo di "clinicamente rilevante". Il numero di pazienti da trattare per evitare un evento primario è di 45 casi mentre ogni 100 pazienti trattati ci si deve aspettare un rialzo persistente delle transaminasi. In conclusione, anche considerando che la mortalità globale non risulta diminuita, i vantaggi di un tale regime aggressivo potrebbero non essere, dal punto di vista clinico, decisivi per la scelta di una tale condotta terapeutica, a fronte di un rischio concreto di eventi avversi a livello epatico.

Commento di Renato Rossi
Ci sono alcune considerazioni da fare allo studio TNT (Treatintg to New Targets). Nella prima fase sono stati arruolati oltre 15.000 pazienti affetti da malattia coronarica stabile, con valori di colesterolo LDL compresi tra 130 mg/dL e 250 mg/dL, trattati in aperto per otto settimane con atorvastatina 10 mg/die. Successivamente [tra questi?] ne sono stati scelti 10.000, in cui il colesterolo era inferiore a 130 mg/dL, destinati a partecipare allo studio vero e proprio che prevedeva la somministrazione [randomizzata?] di atorvastatina alle dosi di 10 mg/die oppure 80 mg/die. Questo potrebbe aver portato alla selezione di pazienti che rispondono meglio al farmaco e aver scartato quelli più resistenti. Si tratta di una procedura prevista dalla ricerca clinica, ma che va, in qualche modo, ad interferire con la scelta casuale dei pazienti, e ciò potrebbe costituire una sorta di bias di selezione. Bisogna dire che questa pratica di "pulizia delle liste" è molto usata (anche troppo, a nostro parere ): se ne trova un esempio anche in un altro studio molto citato come l'HPS ( da più di 32.000 pazienti arruolati inizialmente si passò a circa 20.500).
Inoltre, nonostante il regime intensivo abbia raggiunto, al termine dei quasi 5 anni dello studio, valori di LDL colesterolo inferiori rispetto al regime di confronto (77 mg/dL vs 101 mg/dL) ed una riduzione (in termini relativi) degli eventi cardiovascolari del 22%, vi è da notare che non si ebbe alcuna riduzione della mortalità globale. In altre parole sebbene la riduzione dei decessi da cause cardiovascolari ottenuta con alte dosi di atorvastatina sia stata del 26%, si ebbe un aumento dei decessi da cause non cardiovascolari del 31% in questo gruppo rispetto al gruppo che assumeva 10 mg/die. Non sappiamo se questo sia dovuto al caso oppure a insufficiente potenza statistica del campione arruolato, non idoneo a determinare effetti sulla mortalità totale, ma non si potrebbe escludere che possa anche essere legato, in qualche modo, alle alte dosi di statina. Se questa fosse la ragione ci sarebbe di che preoccuparsi, anche in considerazione che le nuove linee guida sull'ipercolesterolemia consigliano, per i pazienti a rischio molto elevato, un target di LDL di 70 mg/dL, difficile da raggiungere senza usare statine a tali dosaggi, attualmente inusuali nella nostra pratica. Resta inoltre aperto il problema ci cosa sarebbe successo, in termini di risultato, se allo studio avessero partecipato anche i 5.000 pazienti inizialmente arruolati e poi esclusi per non aver ottenuto i valori prefissati di LDL. Nella pratica di tutti i giorni è improbabile che venga seguito il disegno dello studio per cui potrebbero venir trattati anche soggetti meno responsivi di quelli effettivamente poi arruolati nel TNT ed i risultati pratici potrebbero essere meno brillanti. L'aumento del 31% dei decessi da cause non cardiovascolari dovrebbe essere ulteriormente indagato e forse abbiamo bisogno di altri studi in tal senso prima di tradurre nella pratica di tutti i giorni i dati di questo studio, come fa notare un editorialista concludendo il suo commento, anche in considerazione del fatto che non abbiamo ancora dati certi sulla sicurezza a lungo termine dei dosaggi elevati. Un altro studio, il cosidetto A to Z trial, in cui si usavano 20 e 80 mg di simvastatina in soggetti con sindrome coronarica acuta (JAMA 2004 Sep 15; 292:1307-16) mostrava un trend favorevole agli alti dosaggi, però statisticamente non significativo.
Da considerare infine che i risultati del TNT trial si riferiscono a pazienti con malattia coronarica accertata, ancorchè stabile. Non è noto cosa succeda ai soggetti a rischio meno elevato nel caso di prevenzione primaria.

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