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Aneurisma aorta addominale endoprotesi, chirurgia o niente? |
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Inserito il 06 ottobre 2005 da admin. - chirurgia - segnala a:
L'endoprotesizzazione non diminuisce la mortalità globale negli aneurismi dell'aorta addominale.
Due studi (EVAR trial 1 e 2) hanno valutato l'effetto del trattamento con endoprotesi negli aneursimi dell'aorta addominale (AAA) a rischio di rottura. Nel primo studio l'endoprotesizzazione è stata comparata con il trattamento a cielo aperto, nel secondo, in cui erano arruolati pazienti in cui non era possibile effettuare un intervento a cielo aperto, il gruppo di controllo non è stato sottoposto ad alcun trattamento. Nel primo studio (EVAR-1) sono stati arruolati 1082 pazienti con età pari o superiore a 60 anni con aneurismi di 55 mm o più di diametro. Lo studio ha randomizzato 543 pazienti al trattamento EVAR e 539 a quello chirurgico. L'end point principale predefinito era la mortalità globale, end points secondari erano rappresentati dalla mortalità specifica, qualità di vita, complicanze post-operatorie e costi. Il 94% (1017 di 1082) dei pazienti hanno rispettato il trattamento assegnato in base alla randomizzazione e 209 sono deceduti durante il follow-up (53 per AAA). La mortalità globale a 4 anni dalla randomizzazione è risultata non statisticamente diversa nei due gruppi (circa il 28%; hazard ratio: 0,90; 95% CI 0,69–1,18, p=0,46), mentre quella correlata all'AAA è risultata minore nel gruppo EVAR (4% vs 7%; HR:0,55; CI: 0,31–0,96, p=0,04). Le complicazioni postoperatorie sono state molto più frequenti nel gruppo sottoposto ad endoprotesizzazione: 41% EVAR vs 9% gruppo chirurgia aperta (HR: 4,9; CI: 3,5–6,8, p<0,0001). Dopo 12 mesi la qualità di vita è risultata simile nei 2 gruppi. Il costo medio a 4 anni per paziente è risultato di 13257 sterline inglesi per il gruppo EVAR vs 9946 per quello trattato a cielo aperto. Dunque l'EVAR rispetto alla chirugia tradizionale non presenta vantaggi in termini di mortalità a lungo termine, espone il paziente a maggiori complicazioni post-operatorie, è più costoso e non migliora la qualità di vita, l'unico vantaggio è che riduce la mortalità specifica, ma tale vantaggio è tutto o quasi concentrato nei 30 giorni post intervento. In altre parole il guadagno sulla mortalità specifica risiede nel vantaggio di avre meno complicanze postoperatorie a breve termine rispetto all'intervento tradizionale. Nel secondo studio (EVAR trial 2) 366 pazienti con le medesime caratteristiche di inclusione dello studio precedente, ma che non erano trattabili a cielo aperto sono stati randomizzati all'endoprotesi (166) o a nessun intervento (172). In questo studio l'aderenza al protocollo è stata inferiore (80%) in quanto 197 pazienti sono stati sottoposti alla procedura di riparazione dell'aneurisma (47 dei quali erano stati assegnati a nessun intervento in base alla randomizzazione), ma l'analisi è stata intention-to-treat. La mortalità perioperatoria a 30 giorni è stata nel gruppo EVAR del 9% (13 di 150, 95% CI 5–15) e nel gruppo nessun intervento il tasso di rottura annuo è risultato di 9 per 100 persone anno (95% CI 6,0–13,5). Entro il termine del follow-up 142 pazienti morirono, 42 dei quali per cause correlate all'AAA; la mortalità globale a 4 anni è risultata del 64%. Non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi per quanto attiene alla mortalità globale valutata a 4 anni (hazard ratio 1,21; 95% CI 0,87–1,69, p=0,25) e neppure per quella correlata all'AAA. Il costo medio per l'ospedalizzazione per ogni paziente nell'arco di 4 anni è stato di 13632 sterline nel gruppo EVAR e di 4983 in quello non sottoposto ad intervento. La qualità di vita è risultata simile nei due gruppi.
Fonte: Lancet, 2005; 365:2179-2186 e 2187-2192. DOI:10.1016/S0140-6736(05)66627-5 DOI:10.1016/S0140-6736(05)66628-7
Commento di Luca Puccetti
Questi 2 importanti studi offrono al clinico elementi importantissimi di valutazione per consigliare i pazienti con AAA a rischio di rottura. Sappiano che il rischio diventa consistente oltre i 55 mm di diametro per divenire decisamente elevato oltre i 65-70 mm. I trattamenti disponibili sono il classico intervento a cielo aperto con posizionamento di patch di dacron o similari oppure l'inserimento di un particolare device, l'endoprotesi, attraverso un' arteria femorale. Mentre erano disponibili dati sul follow-up prolungato dell'intervento a cielo aperto ben poco si sapeva dell'endoprotesi. Questi studi dimostrano che se il paziente è operabile in modo tradizionale il rischio maggiore lo corre entro le fasi perioperatorie, successivamente la sua aspettativa di vita, sia in termini di durata che di qualità, non sarà diversa rispetto alla soluzione EVAR, anzi sarà meno sottoposto a complicazioni postoperatorie. Nel caso che i pazienti non siano operabili a cielo aperto il secondo studio, sia pure con una certa violazione del protocollo di randomizzazione, indica che non ci sono vantaggi nel posizionare un'endoprotesi in questi pazienti. Allora in base ad un ragionamento sillogico si sarebbe tentati a pensare che in ogni caso non si debba far nulla. Tale interpretrazione non è supportata da questi studi. Infatti nel primo studio manca un braccio, quello placebo, proprio perchè per ragioni etiche si è ritenuto che non sia giusto negare un trattamento che in precedenti studi aveva fornito prove di efficacia in termini di durata o qualità di vita. Gli studi di screening effettuati fino ad ora in verità non hanno mai dimostrato una diminuzione della mortalità globale, ma solo di quella specifica. E' tuttavia verosimile che i pazienti reclutati nel secondo studio, proprio in quanto ritenuti non operabili, avessero una peggior condizione di salute rispetto a quelli del primo studio. Pertanto i risultati del secondo studio non sono tout-court traslabili al primo e pertanto non è corretto affermare in base ai risultati dei presenti studi che, siccome il non intervento è risultato simile all'EVAR e l'EVAR è risultato simile alla chirurgia aperta, allora tutte e tre le opzioni sono eguali.
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