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Interferone peghilato alpha-2a superiore a lamivudina in epatite B
Inserito il 05 luglio 2005 da admin. - epatologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Nell'epatite cronica B HBeAg positiva la terapia con PEG-Interferon alpha 2a risulta più efficace rispetto a quella con lamividina.

Sono stati arruolati 814 patients con epatite cronica B HBeAg-positivi in uno studio prospettico, randomizzato, multicentrico, della durata di 48 settimane. I pazienti sono stati randomizzati alla terapia con peginterferon alfa-2a (180 µg una volta a settimana) e placebo per os, peginterferon alfa-2a e lamivudina (100 mg al giorno), o solo lamivudina. La maggior parte dei pazienti arruolati erano asiatici (87 percento) con epatite da HBV genotipo B o C. La valutazione effettuata a 24 settimane dal termine del trattamento ha evidenziato che una proporzione significativamente maggiore di pazienti trattati con la monoterapia a base di peginterferon alfa-2a o con l'associazione peginterferon-lamividuina ha ottenuto la sieroconversione HbeAg rispetto ai trattati con sola lamividunia (32 percento vs. 19 percento [P<0.001] e 27 percento vs. 19 percento [P=0.02], rispettivamente) e livelli di HBV DNA al di sotto delle 100,000 copie per mc (32 percento vs. 22 percento[P=0.01] e 34 percento vs. 22 percento [P=0.003], rispettivamente). Sedici pazienti trattati con peginterferon alfa-2a (da solo od in combinazione) hanno ottenuto la sieroconversione dell'HBsAg, mentre nessuno del gruppo lamividuna ha mostrato tale sieroconversione (P=0.001). Gli eventi avversi sono risultati quelli caratteristici delle terapie con interferone nei gruppi trattati con tale farmaco. Reazioni avverse gravi sono state registrate rispettivamente nel 4 percento, 6 percento, e 2 percento dei pazienti trattati con la monoterapia a base di peginterferon alfa-2a, terapia combinata, e sola lamivudina. Due pazienti del gruppo lamivudina dopo la fine del trattamento ha sviluppato un' insufficienza epatica irreversibile che in un caso a portato a morte e nell'altro ha comportato l'esecuzione di un trapianto.

Fonte: NEJM, 2005; 352:2682-2695.

Commento di Luca Puccetti
Sinceramente lo studio pur interessante non riesce a dirimere, in quanto non era stato disegnato a tale scopo il vero nodo ossia se l'aggiunta della lamivudina sia utile o meno. A giudicare da quanto emerso da tale studio sembra di no. La scuola epatologica italiana già da tempo aveva indicato l'interferone come farmaco dotato sia di proprietà antivirali (deboli) che immunomodulatrici e pertanto in Italia ben pochi si ponevano il problema della terapia con sola lamividina anche per l'alto numero di resistenze che tale strategia può indurre. Ma la scuola americana spinge per approdare ad altri lidi non tanto o non solo a favore della lamivudina, ma soprattutto per creare le condizioni favorevfoli all'impiego su vasta scala di altri lucrosi antivirali che stanno affacciandosi alla porta.

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