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Sindromi coranariche acute: strategia invasiva solo per l'alto rischio |
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Inserito il 03 gennaio 2006 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
I pazienti che sembrano avvantaggiarsi da una terapia aggressiva sono quelli a rischio più elevato.
Per stabilire quale sia la terapia ottimale nelle sindromi coronariche acute (angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento di ST) gli autori hanno effettuato una meta-analisi di RCT in cui la terapia invasiva di routine veniva paragonata con una strategia invasiva di tipo selettivo. La strategia invasiva di routine prevedeva un'immediata coronarografia seguita da rivascolarizzazione se necessaria, quella selettiva considerava all'inizio un trattamento farmacologico seguito da coronarografia e rivascolarizzazione solo in caso di persistenza dei sintomi o di comparsa di ischemia. La ricerca è stata effettuata non solo in Medline e nel Cochrane Registry of Controlled Trials, ma anche esaminando gli abstracts dei maggiori congressi cardiologici e la bibliografia di articoli originali ed ha permesso di ritrovare 84 studi, ma solo 7 (per un totale di 9208 pazienti) soddisfacevano i criteri prestabiliti di inclusione. Il follow-up medio degli studi era di 17 mesi. La mortalità risultava più elevata, durante l'ospedalizzazione, nel gruppo trattato con strategia invasiva di routine (1,8% vs 1,1%), ma dopo la dimissione questo approccio era associato ad una riduzione della mortalità (3,8% vs 4,9%). Anche l'end-point composto di morte ed infarto miocardico era più basso nel gruppo strategia invasiva di routine (12,2% vs 14,4%). I pazienti che sembrano avvantaggiarsi di più da una terapia aggressiva sono quelli a rischio più elevato con elevati livelli di troponina e CK mentre non ne traggono beneficio quelli in cui i markers di danno cardiaco sono negativi. Fonte :JAMA 2005;293: 2908-17
Commento di Renato Rossi La scelta della terapia ideale nelle sindromi coronariche acute rimane controversa. Secondo questa meta-analisi l'approccio aggressivo con coronarografia immediata e rivascolarizzazione sono da riservarsi ai pazienti a rischio più elevato mentre quelli nei quali i markers cardiaci sono negativi possono essere trattati con terapia conservativa e avviati alla coronarografia solo se non migliorano. Di poco posteriore a questa meta-analisi è la pubblicazione dei risultati dello studio RITA 3 (Lancet 2005 Sept 10; 366:914-920) da cui risulta la superiorità della terapia aggressiva e di cui abbiamo riferito in una pillola recente. Gli stessi autori del RITA 3 suggeriscono comunque la necessità di ulteriori studi per meglio identificare i soggetti a rischio da avviare subito a coronarografia e rivascolarizzazione. Le conclusioni del lavoro di Mehta e Coll. sembrano condivisibili anche perchè permettono una scelta diversificata che deve tener conto delle varie realtà locali in quanto molti ospedali (soprattutto quelli decentrati) mancano di reparti di emodinamica e di cardiochirurgia.
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