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Tiotropio nella broncopneumopatia ostruttiva (BPCO)
Inserito il 20 settembre 2005 da admin. - pneumologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Aggiunta tiotropio a terapia standard riduce riacutizzazioni e ricorso ad antibiotici nella BPCO.

In questo studio randomizzato e in doppio cieco sono stati arruolati 1829 pazienti affetti da BPCO (FEV1 basale medio 36%), assegnati a tiotropio (18 µg una volta al giorno) o placebo per sei mesi. I pazienti ricevevano inoltre la terapia usuale (esclusi altri anticolinergici). L'end-point primario dello studio era la percentuale di pazienti che andavano incontro a riacutizzazioni e la percentuale di pazienti che si dovevano ospedalizzare a causa della BPCO.
Il tiotropio ha ridotto la percentuale di soggetti che avevano una o più riacutizzazioni (27,9% vs 32,3%; p = 0,037) e di quelli ospedalizzati a causa delle esacerbazioni della malattia, ma in modo non statisticamente significativo (7% vs 9,5%; p = 0,056). Tra gli end-point secondari misurati da ricordare la riduzione, nel gruppo tiotropio, delle visite mediche a causa delle riacutizzazioni ( p = 0,019) e dell'uso di antibiotici ( p = 0,015).
Gli autori concludono che il tiotropio riduce le riacutizzazioni e l'uso di risorse sanitarie rispetto al placebo, ma ricordano anche i limiti dello studio che sono la scarsissima presenza di donne (il 99% degli arruolati era di sesso maschile) e la breve durata del follow-up.


Fonte: Ann Intern Med 2005; 143:317-326

Commento di Renato Rossi
Il tiotropio è un anticolinergico a lunga durata d'azione proposto per il trattamento della BPCO.
In studi precedenti è stato confrontato sia con placebo che con ipratropio e salmeterolo.
In uno studio su 470 pazienti trattati per 3 mesi (Casaburi R et al. Chest 2000; 118:1294-1302) ha migliorato, rispetto a placebo, i parametri respiratori, ma non ha ridotto il numero delle riacutizzazioni. In un altro lavoro su 921 pazienti trattati per un anno, ha migliorato, sempre rispetto a placebo, i parametri respiratori e ridotto il numero di riacutizzazioni per paziente: una riacutizzazione evitata ogni 5 pazienti trattati per un anno (Casaburi R. et al. Eur Respir J 2002; 19:217).
In uno studio della durata di un anno su 535 pazienti, confrontato con ipratropio (un anticolinergico a breve durata d'azione), il tiotropio ha ridotto il numero di pazienti che manifestavano una riacutizzazione dal 46% al 35%. Lo studio è stato criticato perchè il dosaggio di ipratropio utilizzato era più basso di quello comunemente adoperato nella pratica clinica (Drug and Therapeutics Bulletin Ed. Italiana 2003; 15-16).
Il confronto con salmeterolo è avvenuto in due studi. Nel primo (623 pazienti, durata 6 mesi) il tiotropio ha migliorato il FEV1 e la dispnea più di salmeterolo, ma non la qualità di vita (Donohue JF et al. Chest 2002; 122.47-56). Nel secondo (1207 pazienti, durata 6 mesi) il tiotropio ha migliorato il FEV1 rispetto al salmeterolo mentre non c'era differenza statisticamente significativa tra i due farmaci per il numero delle riacutizzazioni (Brusasco V et al. Thorax 2003; 58:399).
Purtroppo non esistono farmaci che siano in grado di rallentare l'evoluzione della BPCO. La terapia si avvale di betastimolanti, di anticolinergici e di steroidi inalatori, spesso tra loro variamente associati. Il tiotropio è un'opzione che si aggiunge alle altre disponibili ed ha il vantaggio di essere usato una sola volta al giorno, contro le quattro volte dell'ipratropio (vantaggio non trascurabile se si pensa alla scarsa compliance di questi pazienti). Tuttavia sarebbe interessante valutarlo in studi di più lungo periodo e in confronto con oxitropio (un anticolinergico più economico che si usa due volte volte al giorno) e non solo verso placebo.

Commento di Luca Puccetti

Lasciando da parte, per una volta le linee guida e gli RCT, la sensazione clinica, che per il sottoscritto conta ancora e molto, è che siano individuabili due condizioni di impiego del tiotropio. La prima è rappresentata dai casi di BPCO lieve in alternativa ai beta 2 long acting. Il problema è che questi pazienti si vedono nella realtà solo nei clinical trials, o come "sottoprodotto" di qualche studio epidemiologico coordinato da qualche centro di ricerca. Infatti occorre ricordare che nelle fasi iniziali la malattia è silente. L'altra condizione invece è quella, ben più frequente nella pratica clinica, rappresentata dal paziente con malattia avanzata nel quale sono necessari spesso sia i beta 2 long acting (LA), sia gli steroidi inalatori (SI) sia gli anticolinergici. La disponibilità di prodotti di associazione beta2 LA e SI ha reso maggiore la compliance e la disponibilità di un farmaco anticolinergico once day può ulteriormente migliorarla. L'esperienza clinica degli ultimi anni testimonia che la qualità di vita del paziente con BPCO grave è significativamente migliorata con l'avvento di questi farmaci. La cessazione del fumo, le vaccinazioni preventive antiinfluenzali e antipneumococciche e la terapia costante con i farmaci suddetti riducono le riacutizzazioni ed i ricoveri. Mancano ancora i dati sulla progressione della malattia. Probabilmente i farmaci non influenzano significativamente l'evoluzione della BPCO, anche se mancano studi convincenti a riguardo proprio per la difficoltà di individuare soggetti, che non siano già in fase avanzata di malattia, da reclutare e monitorare per molti anni. Ultimo dato da sottolineare è bene che si cominci a studiare le donne visto che un recente rapporto (BMJ 2005;331:189-191) sulle abitudini al fumo in Europa denuncia un preoccupante incremento delle donne fumatrici.

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