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Diabete: successo del trapianto di isole pancreatiche da vivente
Inserito il 24 settembre 2005 da admin. - metabolismo - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

E' stato effettuato con successo un trapianto di insule pancreatiche, ottenute da donatore materno, in una donna con diabete insulinodipendente instabile.

Una donna di 27 anni, affetta dall'età di 15 anni da diabete mellito insulinodipendente ha ricevuto cellule pancreatiche dalla madre di 56 anni. L'intervento è stato eseguito a Kyoto, in Giappone. La tecnica usata ha comportato una pancreatectomia distale nella madre donatrice. Dalla coda del pancreas è stato praticato l'isolamento delle insule mediante digestione con liberasi contenenti inibitori della tripsina.
Gli equivalenti insulari ottenuti sono poi stati trapiantati nella paziente attraverso la vena portale.
La paziente ha potuto sospendere l'insulina, con un eccellente controllo glicemico.
Il risultato ottenuto con il donatore vivente è equivalente a quello con due o più isolati pancreatici dal cadavere.
Il successo potrrebbe derivare dall'assenza della tempesta citochinica che si ha in conseguenza della morte cerebrale di un donatore deceduto, in aggiunta alla riduzione dell'ischemia da freddo e del danno preservativo del pancreas, nonché ad una maggiore compatibilità tissutale.

Fonte: The Lancet, 2005; 365: 1642-1644

Commento di Luca Puccetti

Il trapianto di pancreas è stato effettuato, su esseri umani affetti da diabete di tipo 1, per la prima volta nel 1966. I risultati sono stati però scarsi fino al 1978. Importanti passi verso il miglioramento delle tecniche chirurgiche sono stati compiuti introducendo terapie antirigetto, usando ciclosporine e agenti anti-linfociti T.
Dalla fine del 1997 sono stati effettuati (Registro Internazionale dei Trapianti di Pancreas) circa 10.000 trapianti di pancreas e sono stati riportati più di 1.200 protocolli. Il triennio 1994-1997 indica un aumento delle sopravvivenze annue maggiore del 90%. Le sopravvivenze annue (senza più assunzione di insulina, con glicemie basali normali e con valori di emoglobina glicosilata nella norma o leggermente elevati) sono state dell'82% con trapianto combinato rene-pancreas (SPK), del 71% con trapianto di pancreas successivo a quello renale (PAK) e del 62% con trapianto di solo pancreas.
Il trapianto delle isole pancreatiche spesso fallisce. Alcuni pazienti non riescono a secernere glucagone dalle loro cellule native in risposta all'ipoglicemia, malgrado il ristabilimento dell'euglicemia. Le potenziali cause del fallimento del trapianto di isole sono rappresentate dall'imperfetta infusione iniziale, da processi infiammatori in situ, da reazione allo-immune o autoimmune e dalla beta tossicità dei farmaci immunosoppressori. Dal 1990 al 1995 il Registro Internazionale dei Trapianti di Isole (International Islet Transplant Registry) indica nel 6% il numero di diabetici di tipo 1 che ottengono un'insulino-indipendenza uguale o superiore ad 1 anno, nonostante una più alta percentuale sembri avere una produzione endogena di C-peptide.
Il maggior numero di successi nel trapianto di isole pancreatiche è stato ottenuto con pazienti non diabetici affetti da pancreatiti. In questi pazienti, i dolori addominali sono stati trattati con una pancreatectomia totale e le isole venivano separate dal pancreas in poche ore e quindi infuse nella vena porta. La risposta insulinica al glucosio somministrato per via orale ed endovenosa, è rimasta integra fino a 7 anni e più a lungo dopo autotrapianto. In una serie di trapianti, il 74% dei 14 pazienti che hanno ricevuto più di 300.000 isole, sono rimasti insulino-indipendenti per i 2 anni successivi53. Quindi, il numero di isole convenzionalmente infuse nei trapianti dei pazienti diabetici (500.000), dovrebbe garantire la conservazione dell'insulino-indipendenza. Comunque, le differenze tra autotrapianto ed allotrapianto sono dovute al fatto che i farmaci immunosoppressori somministrati ai pazienti allotrapiantati influiscono contro la funzione insulare, mentre i riceventi di autotrapianto hanno il vantaggio di non aver precedentemente subito l'attacco autoimmune che causa il diabete.
La pratica di usare donatori viventi ed imparentati presenta vantaggi rispetto ai trapianti da cadavere, ma sembra difficile da estendere: al momento, infatti, non si conoscono gli esiti a lungo termine per il donatore.


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