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Chi russa con apnee rischia l'ictus
Inserito il 11 novembre 2005 da admin. - neurologia - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La sindrome delle apnee ostruttive è associata ad aumentato rischio di ictus e morte.

In un primo studio osservazionale di coorte [1] sono stati arruolati 1.022 pazienti, sottoposti a polisonnografia, al fine di determinare se soffrivano di sindrome delle apnee ostruttive del sonno (OSAS = obstructive sleep apnea syndrome). La diagnosi di OSAS veniva posta in presenza di indice di apnea-ipopnea >= 5 (5 o più episodi per ora). Il gruppo di paragone era costituito da coloro che avevano un indice < 5 .
Di tutti i pazienti reclutati, 697 (68%) vennero riconosciuti affetti da OSAS.
La sindrome risultò associata ad un aumentato rischio di ictus e di morte da ogni causa. (HR 2,24; IC95% 1,30-3,86) Dopo aver aggiustato i dati per vari fattori (età, sesso, razza, stato di fumatore, consumo di alcolici, BMI, diabete, iperlipemia, fibrillazione atriale, iperensione) il dato permaneva, anche se attenuato (HR 1,97; IC95% 1,12-3,48).
Lo studio presenta numerose limitazioni come per esempio il follow-up limitato, l'impossibilità di valutare l'effetto del trattamento sugli outcomes, la difficoltà di accertare la presenza o meno di ictus in tutti i partecipanti, la difficoltà a considerare altri fattori di confondimento, e l'esclusione dallo studio di pazienti con precendenti eventi cardiovascolari o cerebrovascolari.
In un secondo studio [2], pubblicato contemporaneamente, la respirazione a pressione continua positiva (CPAP = continuous positive airway pressure) non è riuscita, dopo un follow-up di due anni, a ridurre la mortalità in soggetti affetti da scompenso cardiaco e apnea del sonno di tipo centrale, anche se ha dimostrato di aumentare la frazione di eiezione, migliorato l'ossigenazione notturna e la distanza percorsa a piedi in sei minuti. Si tratta di uno studio su 248 pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico e apnea centrale notturna, 128 dei quali sono stati randomizzati a CPAP, mentre 130 fungevano da controlli. Anche il numero di ospedalizzazioni e la qualità di vita erano simili nei due gruppi. Il limite principale di questo studio sono la scarsa potenza (per cui non si può affermare con sicurezza che la CPAP sia inutile) e l'impossibilità di estendere questi risultati anche all'apnea di tipo ostruttivo.

Fonti:
1) N Engl J Med 2005; 353:2034-2041
2) N Engl J Med 2005; 353:2025-2033

Commento di Renato Rossi
Che l'apnea durante il sonno, sia di tipo ostruttivo che di tipo centrale, possa costituire un fattore di rischio per eventi cardiovascolari o di morte è abbastanza intuitivo. L'apnea infatti può comportare prolungati periodi di ipossigenazione tissutale con tutte le conseguenze negative che ne possono derivare.
I risultati del primo studio quindi non stupiscono più di tanto. Si sperava che la CPAP, migliorando alcuni outocomes surrogati (riduzione della pressione arteriosa, riduzione degli episodi di ipossigenazione) potesse migliorare anche gli esiti clinici, ma sembra che non sia così.
Questo ci ricorda ancora una volta che prima di raccomandare qualsiasi terapia si dovrebbe disporre di prove derivanti da studi ben condotti e su esiti clinici forti, soprattutto se le scelte terapeutiche comportano notevoli costi economici.

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