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Anticoagulanti nelle fratture di gamba: non necessari di routine
Inserito il 18 dicembre 2005 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Le trombosi venose nelle fratture di gamba sono così rare e scarsamente progressive che è più probabile che i pericoli della terapia anticoagulante superino i benefici.

E' stato presentato ad Atlanta, al 47° meeting dell'American Society of Hematology (ASH), lo studio KAF (Knee and Ankle Fracture), uno studio prospettico di coorte canadese che ha coinvolto 1200 pazienti con frattura al di sotto del ginocchio. I pazienti (età 16-93 anni) sono stati arruolati entro 96 ore dalla frattura. Si trattava di fratture della rotula, della tibia, del perone o del piede. Nell'82% dei casi i pazienti furono trattati con un gesso o tutore immobilizzante per un periodo medio di 6 settimane.
I pazienti furono seguiti per 3 mesi e non era permesso usare un antitrombotico. I partecipanti venivano informati circa i segni e i sintomi di tromboembolismo venoso che dovevano essere subito riferiti ai medici.
Di 1174 soggetti che completarono il follow-up di 3 mesi, 7 svilupparono un tromboembolismo venoso sintomatico: 5 ebbero una trombosi venosa profonda (in 3 casi si trattava di una forma distale e in 2 prossimale) e 2 pazienti ebbero un'embolia polmonare non fatale.
Se tutti i pazienti fossero stati trattati con una profilassi a base di eparina a basso peso molecolare il costo sarebbe stato di circa 350.000 dollari.
Gli autori dello studio concludono che le trombosi venose in questo tipo di fratture sono così rare che è più probabile che i pericoli della terapia anticoagulante superino i benefici.
Il dr. Schrier, ex presidente dell'ASH, sottolinea che questi risultati possono permettere un notevole risparmio economico e potenzialmente evitare ai pazienti gli effetti collaterali della terapia anticoagulante perchè nelle fratture di gamba e di piede le trombosi venose sono rare e con scarsa tendenza alla progressione.

Fonte: ASH 47th Annual Meeting: Abstract 583, presentato il 14 dicembre 2005

Commento di Renato Rossi

L'immobilizzazione costituisce un fattore di rischio noto per il tromboembolismo venoso. Fino ad ora non era però ben conosciuto il rischio in caso di fratture al di sotto del ginocchio.
Lo studio KAF è il primo, di tipo multicentrico e con importante casistica, che abbia valutato il rischio tromboembolico in questo particolare tipo di fratture. Anche se non è uno studio randomizzato e di confronto con un trattamento attivo i risultati sembrano difficili da contestare: nelle fratture al di sotto del ginocchio la frequenza di eventi trombotici venosi sintomatici è molto bassa e ancor più bassa l'evenienza di embolia polmonare, tanto che appare fondato il commento degli autori circa il possibile maggior rischio derivante da una profilassi indiscriminata antitrombotica. Una eparina a basso peso molecoare, in questi casi, potrebbe essere prevista solo in pazienti selezionati ritenuti a maggior rischio (per esempio se vi sono importanti varici, se ci sono stati pregressi episodi di tromboembolismo venoso, in caso di coesistente neoplasia, ecc.).
Resta da vedere quanto dello studio verrà recepito nella pratica clinica, dove spesso la prescrizione di eparine a basso peso molecolare risponde soprattutto alla logica di tutelarsi da eventuali rischi di tipo medico-legale.
Si è già scritto in una pillola precedente circa i danni, sia di tipo economico che da accanimento diagnostico e terapeutico, derivanti dalla medicina difensiva, da cui però è obiettivamente difficile sottrarsi.

Commento di Luca Puccetti

I controlli sono stati effettuati per telefono! Francamente nessuno può davvero sapere cosa abbiano assunto i pazienti ed è possibile che molti di loro, abbiano mentito circa l'assunzione dell'eparina magari prescritta loro dal curante per evitare coinvolgimenti in eventuali accuse di malpractice. Agli studi condotti telefonicamente sinceramente non ritengo di dare grande importanza. Da notare che l'età media era comunque di 45 anni e dunque la popolazione non era verosimilmente ad alto rischio. Quello che meraviglia è che il comitato etico abbia dato parere favorevole ad uno studio che, risultati a parte, quando è iniziato l'unico dato era un rischio di trombosi accertato venograficamente di ben il 40% ! Molte delle trombosi venografiche non sarebbero dunque diventate trombosi cliniche. Aspettiamo la pubblicazione per esteso dello studio per una valutazione più approfondita.

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