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FNOMCeo: No ai farmaci nei supermercati
Inserito il 22 gennaio 2006 da admin. - professione - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La FNOMCeo ribadisce una netta contrarietà alla vendita di farmaci nei supermercati.

La FNOMCeo, tramite il Presidente Del Barone, ribadisce la propria contrarietà all'ipotesi di vendita dei farmaci nei supermercati. "Noi crediamo che la salute dei cittadini sia un bene che non può essere commercializzato e la politica del risparmio sui farmaci non può essere perseguita attraverso regimi di concorrenza tipici dei settori commerciali. In caso contrario è come se si volesse confondere il sacro con il profano considerando i farmaci alla stregua di un prodotto alimentare o di un detersivo. Per quanto riguarda inoltre le assicurazioni della Coop circa la presenza di personale qualificato nei supermercati non sarà a mio avviso agevole assicurare un numero sufficiente di farmacisti, con gravi rischi per la salute dei cittadini derivanti da quelle prescrizioni che faranno riferimento al solo principio attivo o al generico, anziché al farmaco griffato. E laddove si riuscisse ad attuare un presidio sotto la diretta responsabilità di un farmacista, si correrebbe il rischio di creare farmacie di serie B, dove gli stessi farmacisti vedrebbero mortificate la loro funzione e la loro professionalità".

Fonte: Uffio Stampa FNOMCeo

Commento di Luca Puccetti

La presa di posizione della FNOMCeo appare quanto mai opportuna. L'iniziativa è della Coop, spalleggiata dall'Antitrust e da alcune organizzazioni di consumatori e sedicenti tutori dei diritti dei malati. La COOP è infatti promotrice di una proposta di legge di iniziativa popolare denominata “Liberalizzazione della vendita dei farmaci senza obbligo di prescrizione (SOP) e da banco (OTC)” la quale prevede all'articolo 3 che la vendita dei farmaci sia consentita durante l’orario di apertura dell’esercizio commerciale ed effettuata in una parte della sua superficie ben definita e distinta dagli altri reparti, con l’assistenza di un farmacista abilitato all’esercizio della professione ed iscritto al relativo ordine. La vendita di farmaci in farmacia avrebbe conseguenze gravi in quanto indurrebbe a pensare che:
1) il farmaco sia come un qualsiasi altro prodotto
2) ai miei problemi di salute penso da me (prendo il prodotto dal bancone, come faccio con il sapone)
inoltre aumenterebbe il consumo inappropriato dei farmaci e di altri presidi SOP e OCT che spesso sono del tutto inutili quando non dannosi. La presenza di un farmacista nel supermercato non ridurrebbe assolutamente le conseguenze negative e diseducative sul piano culturale e non contrasterrebbe affatto l'aumento dei consumi. Inoltre in quale modo il farmacista potrebbe essere indipendente? Se lo scopo è di diminuire i prezzi occorre fare ordini giganteschi centralizzati. E' ovvio che il farmacista non potrebbe che proporre i farmaci disponibili che sono stati selezionati da altri, ma con quali logiche? La professionalità del farmacista sarebbe irregimentata in alvei tracciati da altri soggetti che opererebbero secondo le abituali logiche commerciali. Inoltre è opportuno ricordare che 3 dosi di un prodotto a base di ibuprofene, vendibile senza ricetta, abbiano gli stessi effetti e gli stessi pericoli di una dose della stessa sostanza vendibile come famaco dispensabile dietro prescrizione medica. Questa iniziativa, assolutamente da censurare, assimila un prodotto peculiare quale il farmaco ad una lavatrice e lo assoggetta a logiche commerciali e mercantili, aumentando i rischi per la salute. Questo in realtà si iscrive in un ben più ampio movimento che, in nome di logiche mercantilistiche, vuole assoggettare le libere professioni al mercato capitalistico. Con la motivazione speciosa di voler abbassare i costi dei "servizi" come li appellano lor signori, evitando accuratamente di chiamarli prestazioni professionali, quali essi sono, vari centri di potere spingono per trasformare le professioni liberali in mestieri, dipendenti da grandi organizzazioni. Il risultato sarebbe ovviamente un grave scadimento della qualità dei professionisti a tutto danno dei cittadini che tuttavia avrebbero
la possibilità di poter scegliere non tra singoli professionisti, ma tra organizzazioni che avrebbero la possibilità di imporsi con le logiche mercantili e della pubblicità. Nel frattempo si creerebbero gli abituali cartelli che fanno si che, nonostante apparenti liberalizzazioni, i prezzi dei servizi che paghiamo ogni giorno siano carissimi, la manutenzione degli impianti delle principali infrastrutture strategiche inesistente, la ricerca di base praticamente assente. Alla lunga la società, nel complesso, sarebbe meno libera ed il livello intellettuale dei professionisti precipiterebbe. La specificità della nostra tradizione umanistica, ricca dell'esperienza di una civiltà millenaria, verrebbe annacquata e poi liquidata in nome dell'efficienza e della convenienza. L'unica via di salvezza, ossia l'elevazione della qualità intellettuale e scientifica dei dirigenti e dei quadri della nostra società, sarebbe irrimediabilmente preclusa per farci precipitare in una competizione al ribasso con i paesi emergenti dell'ex terzomondo. Insomma, qualcuno non sopporta proprio che ci siano lavoratori che non lo facciano guadagnare con il loro lavoro, che non può comprare, licenziare, minacciare e liquidare come un qualsiasi garzone!

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