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Pochi grassi nella dieta non riducono rischio cardiovascolare e oncologico |
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Inserito il 23 marzo 2006 da admin. - metabolismo - segnala a:
Una dieta a ridotto contenuto di grassi potrebbe non ridurre il rischio cardiovascolare e oncologico.
Il WHI ( Women's Health Initiative) dietary modification trial ha arruolato 48.835 donne in post-menopausa (età 50-79 anni) senza una precedente storia di cancro mammario. Le donne sono state randomizzate in due gruppi: nel primo gruppo (40%) veniva attuato un intervento volto a promuovere una diminuzione dell'introito di grassi e un consumo abbondante di vegetali e cereali, il secondo gruppo fungeva da controllo (60%). L'intervento dietetico era disegnato per ridurre l'introito di grassi al 20% dell'introito energetico totale e per aumentare il consumo di vegetali e frutta ad almeno 5 porzioni al giorno e di cereali ad almeno 6 porzioni al giorno. Nel gruppo di controllo non veniva richiesta alcuna modificazione della dieta. L'end-point primario era l'incidenza di cancro mammario invasivo. L'introito giornaliero di grassi risultò più basso nel gruppo intervento mentre il consumo di frutta e verdura risultò più elevato di almeno una porzione al giorno; al contrario non si ebbero differenze importanti nel consumo di cereali. Durante il follow-up di 8,1 anni l'incidenza annuale di cancro mammario fu di 0,42% nel gruppo intervento e di 0,45% nel gruppo controllo (HR 0,91; IC95% 0,83-1,01). Nonostante la non significatività dei dati gli autori osservano che il trend osservato di riduzione del rischio avrebbe potuto diventare più importante se l'osservazione fosse durata di più. Lo studio ha valutato anche l'incidenza di cancro del colon. Durante il follow-up si ebbero 0,13% casi per anno nel gruppo intervento e 0,12% casi per anno nel gruppo controllo (HR 1,08; IC95% 0,90-1,29). Il terzo scopo dello studio era valutare l'impatto della dieta sul rischio cardiovascolare. In questo caso gli end-point primari erano la coronaropatia fatale e non fatale, l'ictus fatale e non fatale e la combinazione di entrambi. L'incidenza di coronaropatia fu di 0,63% per anno nel gruppo intervento e di 0,65% per anno nel gruppo controllo; di 0,28% vs 0,27% per lo stroke; di 0,86% vs 0,88% per la combinazione di entrambi. Tutte queste differenze non erano significative. Anche dopo aver escluso le donne che al baseline avevano una malattia cardiovascolare (3,4%) le differenze non risultarono significative.
Fonte: JAMA. 2006 Feb 8; 295:629-666 Commento di Renato Rossi A prima vista i risultati di questo studio sembrerebbero sconvolgere le nostre convinzioni: una dieta povera di grassi e ricca di vegetali e cereali non riduce il rischio di cancro e quello cardiovascolare. Tuttavia bisogna notare che lo studio ha parecchie limitazioni, come fanno notare alcuni editoralisti nel loro commento. Innanzi tutto la dieta dello studio non è quella consigliata attualmente dalle linee guida in quanto è soprattutto sulla riduzione dei grassi saturi (che dovrebbero essere meno del 7% dell'introito energetico giornaliero) che le linee guida focalizzano l'attenzione. Ma a parte questo, bisogna considerare che la dieta era autoriportata dalle donne partecipanti allo studio ed è noto quanto questo sia di per sè soggetto a bias. La percentuale di introito di grassi nel gruppo intervento fu solo il 70% dell'obiettivo prefissato dallo studio, ma potrebbe essere stata anche più bassa perchè le partecipanti potrebbero aver riferito una compliance alla dieta maggiore di quanto in realtà attuato. Relativamente poche donne nel gruppo intervento raggiunsero il target di un introito di grassi giornaliero del 20% del fabbisogno energetico. Inoltre la differenza tra gruppo trattato e controllo per quanto riguarda i cereali era abbastanza marginale. Un'altra considerazione che si può fare è che forse i benefici della dieta su patologie così importanti come i tumori e le malattie cardiovascolari hanno bisogno di molto più tempo per manifestarsi. Pur trattandosi di uno studio importante, con un campione molto consistente e di tipo randomizzato, il follow-up è stato di poco più di 8 anni, un tempo lungo se esaminato con l'ottica degli RCT, ma forse insufficiente perchè possano svilupparsi gli effetti biologici della dieta. Infine da notare che le donne arruolate avevano un'età compresa tra i 50 e i 79 anni: è probabile che l'utilità di una dieta sana sia tanto maggiore quanto prima essa viene adottata, cominciare troppo tardi può ridurne l'impatto. In conclusione i risultati dello studio "WHI dietary modification" se da un lato devono spingere ad aumentare le nostre conoscenze su quali sono i singoli alimenti che migliorano la salute, dall'altro, visti i limiti stessi del trial, non sono sufficienti a buttare alle ortiche le raccomandazioni dietetiche delle linee guida.
Commento di Luca Puccetti
Numerosi dati sperimentali, epidemiologici e clinici associano ad una dieta ricca di grassi saturi un aumento del rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari e tumorali. Dai dati di questo studio, da lodare per lo sforzo titanico di aver tentato un disegno randomizzato e prospettico con un follow-up che in senso assoluto potrebbe essere considerato lunghissimo, emergerebbe che uneducazione volta alla correzione dietetica non apporti significativi vantaggi, almeno nell'arco di tempo considerato, sull'incidenza di eventi cardiovascolari e tumorali. Il commento di Renato Rossi individua precisamente tutti i dubbi che caratterizzano i risultati di questo pur lodevole studio. Quando si ricorre a numeri rilevanti è purtroppo necessario confidare in dati autoriferiti e non rilevati direttamente dallo sperimentatore e questo getta un'ombra assai grande sulla attendibilità dei dati raccolti. Chi ha partecipato ad un programma per sensibilizzare al consumo di certi alimenti è comprensibilmente più portato a riferirne un maggior consumo che spesso può essere solo nella volontà (conscia o inconscia) dell'intervistato. Ma esistono poi una serie di confounding factors che possono alterare in modo rilevante i risultati. E' noto a tutti il cosiddetto paradosso francese, popolo che assume quantità rilevanti di grassi nella dieta e che presenta un indice piuttosto basso di eventi cardiovascolari. Alcuni hanno attribuito questa discrepanza al consumo di vino rosso la cui buccia è ricca di resveratrolo. Questa molecola è stata recentemente additata quale elisir di lunga vita in base alcuni studi su modelli di pesce a metabolismo iperaccellerato che hanno dimostrato un allungamento della sopravvivenza del 30% anche in un vertebrato. Un altro possibile confounding factor è rappresentato dal rapporto omega6:omega3 che nella dieta americana è molto sbilanciato a favore degli omega 6. E' stato recentemente segnalato che un eccessivo consumo di omega 6 può portare ad un aumento dell'oncogenesi attivando il pathway della P3-chinasi in cellule prostatiche (1). Come già riferito in una recente pillola l'uso di antinfiammatori attivi sulla COX2 può ridurre l'incidenza di carcinoma mammario. L'azione stabilizzante le membrane cellulari dei derivati omega 3 è stata ben evidenziata proprio da studi italiani sulla prevenzione del reinfarto. E' possibile che dunque siano rilevanti, ai fini del rischio oncogenetico, fattori qualitativi e non solo quantitativi dell'apporto lipidico. Inoltre esiste una limitazione ontologica alla sostenibilità temporale coerente di un certo intervento pertanto quanto più lungo è il follow-up tanto più sono i rischi che la pressione culturale, sociale, ambientale e mediatica spinga entropicamente a ripristinare le abitudini alimentari di default.
Bibliografia
Cancer Res 2006; 66: 1427–1433
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