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Entecavir nell'epatite cronica HBV correlata |
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Inserito il 15 aprile 2006 da admin. - epatologia - segnala a:
La risposta virologica, biochimica e istologica è migliore con entecavir che con lamivudina.
Due studi hanno paragonato l'entecavir alla lamivudina nel trattamento dell'epatite cronica B. Nel primo [1] sono stati reclutati 715 pazienti affetti da epatite cronica B con positività per l'HBeAg. Dopo 48 mesi il trattamento con entecavir risultò associato ad una risposta virologica, biochimica e istologica migliore rispetto alla lamivudina. Gli eventi avversi furono simili tra i due gruppi e non si ebbe sviluppo di resistenza virale all'entecavir. Il secondo studio [2] aveva un disegno simile ma ha riguardato 648 pazienti con epatite cronica B negativi per l'HBeAg. Anche in questo caso la risposta virologica, biochimica e istologica fu migliore con entecavir che con lamivudina. Sono tuttavia necessari studi di più lunga durata per determinare la comparsa di un' eventuale resistenza virale all'entecavir. Fonte: 1. N Engl J Med 2006; 354:1001-1010 2. N Engl J Med 2006; 354:1011-1020 Commento di Renato Rossi Nell'epatite cronica B si usa l'interferone che però ha dimostrato di riuscire a normalizzare le transaminasi e provocare la clearance dell'HBV solo in circa il 30-35% dei soggetti (scomparsa di HBeAg e di HBV DNA, l'HBsAg scompare di solito più lentamente). Le dosi sono di 5-10 milioni tre volte alla settimana con durata di un anno. A causa della mancata risposta in molti soggetti, sono stati introdotti altri farmaci appartenenti alla classe degli analoghi nucleosidici, come lamivudina e adefovir, che riescono ad agire normalizzando le transaminasi e provocando la riduzione di HBV DNA in molti pazienti, anche se ultimamente sono comparse variante genetiche di virus ad essi resistenti. La lamivudina si usa anche in chi ha già una cirrosi scompensata perché sembra in grado di ritardare il trapianto epatico. Recentemente però è stata segnalata la superiorità del peg-interferon sulla lamivudina nei soggetti con positività per l'antigene HBe. La combinazione dei due trattamenti non sembra offrire vantaggi aggiuntivi. L'importanza del trattamento dell'epatite cronica B è sottolineata dal fatto che esso migliora la sopravvivenza e riduce il rischio di trasformazione in epatocarcinoma [1]. L'entecavir è un analogo guanosinico che possiede una forte attività contro la HBV DNA polimerasi. Nei due trials recensiti in questa pillola ha dimostrato, dopo 48 settimane di trattamento, di portare ad una clearance dell'HBV DNA nel 67% dei pazienti HBeAg positivi e addirittura nel 90% di quelli HBeAg negativi, praticamente quasi raddoppiando o triplicando le percentuali che in lavori precedenti si era riusciti ad ottenere con gli altri trattamenti finora disponibili nei pazienti con positività per l'HBeAg e migliorando comunque la performance anche nei pazienti negativi per HBeAg. Rimangono alcuni problemi aperti: chi trattare, con quale farmaco (o con quale combinazione di farmaci), per quanto tempo protrarre il trattamento? I migliori candidati alla terapia sono i pazienti con malattia attiva, con aumento delle transaminasi e con quadro istologico di progressività. Il trattamento con interferone appare limitato da alcuni fattori come il costo e l'alta percentuale di non responder. Inoltre sembra un approccio poco adatto ad una terapia a lungo termine in confronto ai farmaci antivirali disponibili per via orale. Questi ultimi sono invece più semplici da somministrare, hanno in genere effetti collaterali minimi e sono attivi in molti pazienti. Probabilmente dovrebbero essere somminstrati "sine die", però la loro sicurezza ed efficacia a lungo termine rimangono da stabilire, così come la possibile comparsa di resistenza virale. Per esempio la resitenza alla lamivudina raggiunge percentuali elevate dopo qualche anno di trattamento (fino al 60-80% dei casi) mentre fortunatamente la resistenza all'adefovir sembra meno frequente. Per ora mancano dati a lungo termine per l'entecavir. Bibliografia 1. N Engl J Med 2004;351:1521-1531.
Commento di Luca Puccetti
Il problema della lamivudina è l'elevato numero di resistenze che si originano in un tempo relativamente breve. Alcuni studi preliminari hanno dimostrato che l'associazione tra lamivudina ed entecavir riduce di molto l'insorgenza di resistenze. L'associazione dei due farmaci non è ancora prevista dalla normativa, ma questo rappresenta un gap da colmare rapidamente in quanto, anche se è vero che le conseguenze per la popolazione della circolazione di virus mutati lamivudino-resistenti sono limitate dalle modalità di trasmissione, tuttavia per il singolo non è certamente ottimale bruciare rapidamente un farmaco. E' un poco quanto avviene per la terapia antitubercolare, solo che nel caso della TBC le ricadute epidemiologiche della circolazione di micobatteri pluriresistenti sarebbero senz'altro più gravi per le diverse modalità di trasmisisone.
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