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Il dilemma della terapia antitrombotica nelle sindromi coronariche acute
Inserito il 03 aprile 2006 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

La terapia antitrombotica ottimale nelle sindromi coronariche acute è da valutare e modulare in base a molte variabili che identificano la tipologia del paziente.

Nello studio OASIS-5 [1] sono stati reclutati 20.078 pazienti con sindrome coronarica acuta, randomizzati a ricevere fondaparinux (2,5 mg/die) oppure enoxaparina (1 mg pro Kg due volte al giorno) per una media di 6 giorni. L'end-point primario valutato era composto da morte, infarto miocardico o ischemia refrattaria al 9° giorno, emorragie maggiori e una loro combinazione. I pazienti sono stati seguiti per 6 mesi.
L'end-point primario fu simile nei due gruppi (5,8% nel gruppo fondaparinux e 5,7% nel gruppo enoxaparina; HR 1,01, IC95% 0,90-1,13). Il numero di eventi combinati a 30 giorni e alla fine dello studio mostrava un trend a favore del fondaparinux, statisticamente non significativo. La frequenza di emorragie maggiori risultò statisticamente più bassa nel gruppo fondaparinux (2,2% vs 4,1%; HR 0,52; P < 0,001). L'associazione degli eventi dell'end-point primario e delle emorragie gravi al 9° giorno era in favore di fondaparinux (7,3% vs 9,0%; HR 0,81; p < 0,001). A 30 giorni si ebbe un minor numero di decessi nel gruppo fondaparinux (295 vs 352; P = 0,02) mentre a 180 giorni la differenza sfiorava la significatività (574 vs 638; P = 0,05). Gli autori concludono che fondaparinux è equivalente ad enoxaparina nel ridurre il rischio di eventi ichemici al 9° giorno, ma riduce sostanzialmente il rischio di emorragie gravi e migliora la morbidità e la mortalità a lungo termine.
Nello studio OASIS-6 [2] sono stati reclutati 12.092 pazienti con infarto miocardico con ST sopraelevato (STEMI), randomizzati a fondaparinux (2,5 mg/die per 8 giorni) oppure a terapia usuale (vale a dire placebo in coloro nei quali si riteneva non necessaria la terapia eparinica e al contrario eparina non frazionata per 48 ore seguita da placebo fino all'ottavo giorno quando si riteneva necessaria la terapia eparinica). Venne misurato un end-point composto da decesso o reinfarto, che risultò ridotto da fondaparinux del 17% ( p = 0,003) al 9° giorno, del 14% ( p = 0,008) al 30° giorno e del 12% (p = 0,008) al 3° o al 6° mese. L'efficacia del farmaco appariva più pronunciata nei pazienti a più alto rischio. Vi fu inoltre un trend statisticamente non significativo a favore di fondaparinux per quanto riguarda lo scompenso cardiaco, lo shock cardiogeno e le emorragie gravi. Tuttavia fondaparinux non ottenne risultati migliori della terapia usuale nei soggetti che furono sottoposti ad angioplastica (2228 nel gruppo fondaparinux e 2231 nel gruppo di controllo).

Nello studio ExTRACT-TIMI 25 sono stati reclutati 20.506 soggetti con infarto miocardico ad ST sopraelevato per i quali era stata programmata la fibrinolisi. I pazienti sono stati randomizzati ad enoxaparina per tutto il periodo della ospedalizzazione oppure ad eparina non frazionata per almeno 48 ore. L'end-point primario era costituito da morte o infarto non fatale entro il 30° giorno. L'end-point primario si verificò nel 9,9% del gruppo enoxaparina e nel 12,0% del gruppo eparina non frazionata (riduzione del rischio relativo 17%, p < 0,001). Il reinfarto non fatale si verificò nel 3,0% del gruppo enoxaparina e nel 4,5% del gruppo eparina non frazionata (riduzione del rischio relativo del 33%, p < 0,001). Il decesso si verificò nel 6,9% del gruppo enoxaparina e nel 7,5% del gruppo eparina standard ( p = 0,11).
Il decesso, il reinfarto non fatale o la necessità di rivascolarizzazione urgente si verificarono nell'11,7% del gruppo enoxaparina e nel 14,5% del gruppo eparina standard ( p < 0,001). Le emorragie gravi furono invece più frequenti nel gruppo enoxaparina (2,1% vs 1,4%; p < 0,001). Il beneficio clinico netto dei due trattamenti è stato valutato con un end-point composto da morte, reinfarto non fatale ed emorragia intracranica non fatale e si verificò nel 10,1% del gruppo enoxaparina e nel 12,2% del gruppo eparina standard.
Gli autori concludono che nell'infarto miocardico ad ST sopraelevato (STEMI) sottoposto a fibrinolisi il trattamento con enoxaparina durante il ricovero è superiore al trattamento con eparina non frazionata somministrata per 48 ore ma è associato ad un aumento di emorragie maggiori.

Fonti:

1. N Engl J Med 2006;354:1477-88

2. JAMA. pubblicato online il 13 marzo 2006;295

3. N Engl J Med pubblicato online il 14 marzo 2006;354

Commento di Renato Rossi

Tutti gli studi recensiti in questa pillola sono stati pubblicati anticipatamente dal JAMA e dal NEJM in occasione della loro presentazione al 55° meeting dell'American College of Cardiology (Atlanta, marzo 2006). Essi cercano di determinare quale sia il regime ottimale antitrombotico nelle sindromi coronariche acute e nell'infarto miocardico ma rischiano di porre più problemi di quanti ne risolvano. L'eparina non frazionata viene generalmente raccomandata dalle linee guida, ma le evidenze derivano da studi piccoli con risultati incerti. In più la sommistrazione di eparina non frazionata deve essere attentamente monitorata e può essere gravata da effetti collaterali come la trombocitopenia. Le eparine a basso peso molecolare possono essere somministrate a dosi fisse e si ritiene che siano gravate da un minor rischio di trombocitopenia anche se sembrano portare ad un maggior rischio di emorragia cerebrale negli anziani rispetto all'eparina non frazionata [1].
Nello studio ExTRACT-TIMI 25 l'enoxaparina si è dimostrata superiore all'eparina non frazionata nello STEMI nel ridurre gli eventi ischemici e i decessi a scapito di un aumento delle emorragie gravi. Tuttavia entrambi questi risultati potrebbero essere dovuti alla diversa durata di trattamento: 48 ore per l'eparina non frazionata e l'intera durata del ricovero per l'enoxaparina. E' difficile quindi trasferire questi dati in raccomandazioni pratiche anche se il beneficio netto sulla salute sembra in ogni caso favorire l'eparina a basso peso molecolare. Ulteriore complessità deriva dai due studi sul fondaparinux, un pentasaccaride di sintesi che inibisce speficamente il fattore Xa della cascata coagulativa. Finora era stato usato prevalentemente nel trattamento e nella prevenzione del tromboembolismo venoso.
Nello studio OASIS-5 fondaparinux si è dimostrato equivalente ad enoxaparina nelle sindromi coronariche acute per quanto riguarda i decessi e gli eventi ischemici con un minor rischio emorragico. In questo caso fondaparinux ed enoxaparina sono stati somministrati per una durata uguale (media di 6 giorni) pertanto è più facile un paragone diretto. Il beneficio si mantiene anche nei soggetti sottoposti ad angioplastica (PCI), al contrario di quanto si verifica nello studio OASIS-6 nel quale fondaparinux non sembra utile nei soggetti che avranno una PCI, un intervento che sta sempre più diventando routinario nell'infarto avendo dimostrato di essere superiore alla trombolisi farmacologica. Inoltre il gruppo trattato con eparina standard ha ricevuto l'anticoagulante per sole 48 ore, quindi non sappiamo se fondaparinux funziona meglio in se stesso oppure semplicemente perchè è stato usato per più tempo, soprattuttto se si tiene conto che nelle prime 72 ore gli outcomes risultano equivalenti tra fondaparinux ed eparina. Fondaparinux dovrebbe prendere routinariamente il posto dell'eparina nelle sindromi coronariche acute oppure essere usato solo nei soggetti che non saranno sottoposti ad angioplastica nello STEMI? Di sicuro il trattamento dell'infartuato sta diventando sempre più complicato, ma francamente la combinazione complessa di vari farmaci antitrombotici e i numerosi trials effettuati o in corso rischiano di confondere anzichè chiarire le idee ai medici che vorrebbero sapere qual è il miglior regime da usare.
Per esempio non abbiamo confronti diretti tra fondaparinux e clopidogrel, che dopo la pubblicazione dello studio COMMIT può essere un'altra opzione da usare nel paziente infartuato [2]. Come fa notare un editorialista del JAMA, tracciare la via maestra dovrebbe essere compito delle società scientifiche e degli opinion leaders, dopo aver valutato non solo i lavori clinici, ma anche i database professionali e sanitari. Il lavoro però non appare facile.
Una dimostrazione di quanto arduo sia scegliere il regime antitrombotico più appropriato in vari sottogruppi di pazienti viene anche dall'ISAR-REACT 2 Trial [3], presentato contemporaneamente agli studi appena recensiti, nel quale pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraelevaezione di ST sono stati trattati con abciximab (un inibitore della glicoproteina piastrinica IIb/IIIa) oppure placebo prima di essere sottoposti ad intervento di angioplastica (in tutti i pazienti veniva inoltre somministrata una dose di carico di clopidogrel e aspirina prima della procedura). L'abciximab ha ridotto l'end-point composto (morte, infarto miocardico o intervento urgente di rivascolarizzazione entro 30 giorni), ma solo nei pazienti che avevano un aumento delle troponine, quindi il suo uso appare maggiormente razionale nei pazienti più a rischio (è noto che nelle sindromi coronariche acute un aumento delle troponine indica un danno miocardico più importante rispetto alle sindromi coronariche acute senza aumento di tali markers). Per definire la complessità della materia basti pensare anche al recente ASSENT- 4 che ha dimostrato la superiorità dell'angioplastica primaria rispetto a quella facilitata: se questa però è la conclusione globale dello studio l'analisi dei risultati permette un esame più articolato, per il quale rimando alla relativa pillola. Come si diceva solo l'esame comparato di tutti questi studi e di quelli futuri (con l'uso di nuovi antitrombotici come il presugrel o gli inibitori del recettore piastrinico per la trombina) potranno chiarire quale sia, per ogni singolo paziente, la scelta più efficace e sicura.

Commento di Luca Puccetti

Fino al 2002 i farmaci trombolitici fibrino-specifici erano somministrati assieme all'eparina non frazionata. Molti studi, (HART, GUSTO 1, ASSENT 2) avevano avvalorato l'associazione del fibrinolitico di seconda e terza generazione con un bolo di eparina non frazionata seguito da un'infusione per 48-72 ore. Con l'avvento delle nuove eparine a basso peso molecolare sono cominciate a fioccare le alternative che hanno messo in dubbio l'associazione del fibrinolitico con la classica eparina non frazionata. Nello studio ASSENT 3 6.000 pazienti sono stati randomizzati a ricevere TNK a dose piena e successivamente eparina non frazionata per 48 ore, oppure TNK seguito da enoxaparina (30 mg ev in bolo, e successivamente 1 mg/kg due volte al dì sottocute) oppure TNK a dose ridotta associato a eparina ev a dose ulteriormente ridotta ed a Abciximab a dose piena. In tale studio l'associazione TNK enoxaparina si è dimostrata più efficace rispetto all'associazione TNK eparina non frazionata senza una sostanziale differenza in merito alla sicurezza. Sulla base di tali risultati nelle linee guida del trattamento dell'infarto miocardio acuto con sopralivellamento del tratto ST, è stato approvato l'impiego combinato di enoxaparina e TNK. Ma un "piccolo" studio indusse a riconsiderare la questione. Si tratta dell'ASSENT 3 Plus, un confronto su 1.600 pazienti tra enoxaparina ed eparina non frazionata in pazienti con infarto miocadico acuto trattato con TNK, ma randomizzati al trattamento prima di entrare in ospedale. I risultati evidenziarono un eccesso di emorragie intracraniche nel gruppo trattato con TNK ed enoxaparina nel sottogruppo di pazienti anziani e di basso peso corporeo. Lo studio recensito nella pillola riconferma la superiorità dell'enoxieparina rispetto all'eparina non frazionata. Le dimensioni erano state calcolate per evidenziare una differenza del 13% a favore di enoxaeparina per quanto attiene l'end point primario (morte o reinfarto). Il 99% dei pazienti era in classe Killip I o II all'ingresso ed il 36% dei pazienti aveva un TIMI risk Score di 4 o superiore. I fibrinolitici usati sono stati il TNK (19.5%), il tPA (54.6%), il rPA (5.5%) e la SK (20.2%). A trenta giorni dall'evento la differenza a favore di enoxeparina diveniva significativa. (9,9% vs 12% ; p<0.001). Nel gruppo enoeparina è stata rilevata una riduzione dell'8% della mortalità e del 33% dell'incidenza di reinfarto e del 26% delle procedure di rivascolarizzzione rispetto all'eparina non frazionata. I sanguinamenti maggiori sono tuttavia risultati più frequenti del 53% nel gruppo enoxeparina. L'incidenza di emorragie intracraniche è risultata simile nei due gruppi (0,8% vs 0,7%). Proiettando questi risultati su 1000 pazienti trattati con enoxaparina si risparmierebbero 6 decessi, 15 reinfarti, 7 rivascolarizzazioni a prezzo di 4 sanguinamenti maggiori non fatali in più.

Bibliografia
1. Circulation 2003; 108:135-142
2.Lancet 2005;366:1607-21.
3. JAMA. pubblicato online il 13 marzo 2006;295:
4. C. Fresco: E vissero tutti felici e contenti ; http://www.infarto.it/approfondimenti/default.asp?id=690

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