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Per far dormire bene i bambini non bisogna viziarli |
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Inserito il 11 maggio 2006 da admin. - pediatria - segnala a:
Occorre abituare i bambini precocemente ad addormentarsi da soli e soprattutto non creare un riflesso condizionato risveglio-alimentazione.
Fattori associati ai disturbi del sonno nella prima infanzia. Per studiare quali fattori influenzino i disturbi del sonno (rifiuto di andare a letto, difficoltà all’addormentamento, frequenti risvegli notturni) sono stati arruolati 2223 bambini nati tra il 1997 e il 1998 in Canada. È stato realizzato un follow-up longitudinale con somministrazione di un questionario e realizzazione di un’intervista alle madri a 5, 17 e 29 mesi di vita. Di 1741 bambini erano disponibili i dati longitudinali nei 3 momenti di misurazione. Una parte del campione ha infatti rifiutato di partecipare allo studio (n=543), una parte è stata esclusa senza che sia riportata alcuna spiegazione (n=284), una parte è andata persa al follow-up (n=269). Non vengono riportate le caratteristiche di questa importante fetta della popolazione che era stata selezionata per lo studio attraverso randomizzazione. Del campione iniziale di bambini l’85% aveva madri canadesi, l’88% di razza bianca. Sono stati definiti “bambini che dormono male” (poor sleepers) quelli con un sonno continuato notturno inferiore alle 6 ore. Il 23,5%, il 7,2% e il 10,3% dei 1741 bambini dormivano meno di 6 ore consecutive a 5, 17, 29 mesi rispettivamente. 73 bambini (4%) e 24 bambini (1,4%) dormivano male rispettivamente a 5/17 mesi e a tutte le 3 età considerate. A 29 mesi questi bambini dormivano meno di notte (quasi 9 ore contro le quasi 10 del gruppo di buoni dormitori) e uguale di giorno (quasi 2 ore) rispetto ai bambini che “dormivano bene”. Il gruppo di “bambini che dormono male” dormiva quindi per circa 11/24 ore contro le circa 12/24 dell’altro gruppo. A 5 mesi i fattori maggiormente correlati con un sonno notturno inferiore alle 6 ore consecutive sono stati in ordine di importanza: 1) l’abitudine a rispondere al risveglio alimentando il bambino (con allattamento al seno o con il biberon); 2) l’abitudine di cullare o portare nel proprio letto il bambino; 3) l’allattamento al seno; 4) il temperamento difficile del bambino stesso. A 17 e 29 mesi il fattore maggiormente correlato ai risvegli è la presenza dei genitori per l’addormentamento. Gli autori concludono che bisognerebbe abituare i bambini precocemente ad addormentarsi da soli e soprattutto non creare un riflesso condizionato risveglio-alimentazione. La relazione tra sonno frammentato e comportamento dei genitori è probabilmente bidirezionale e un intervento precoce potrebbe rompere il circolo vizioso. In conclusione ci sembra uno studio interessante, nonostante il possibile limite della perdita al follow-up; conferma quanto già si sapeva sull’argomento e cioè che certi comportamenti dei genitori possono influenzare il sonno dei bambini. Ad esempio il fatto di allattare al seno il bambino quando si risveglia. D’altro canto sappiamo anche quanto importante sia l’allattamento materno e quanto siano importanti le poppate notturne per il successo dello stesso. Andrebbe quindi trovata una strategia che consenta di ottenere entrambe le cose. Gli autori citano una piccola esperienza con 26 genitori (vedi abstract) in cui nel gruppo di intervento veniva introdotto un breve ritardo tra domanda del bambino di alimentazione notturna e risposta della madre. L’intervento aveva portato ad una riduzione dei risvegli notturni fino al sonno notturno continuato (tra le 24.00 e le 5.00) senza riduzione dell’introito giornaliero di latte materno. Va ancora messo in evidenza che circa un 10% di bambini sembrano presentare un sonno frammentato a 17 e 29 mesi, ma solo l’1,4% ha presentato il problema a tutte le età considerate. A 29 mesi questa popolazione dorme circa 11 ore al giorno tra sonno notturno e diurno, contro le poco più che 12 del gruppo dei bambini che dormono bene. Da questo punto di vista forse il risveglio notturno è più un problema dei genitori che del bambino. Fonti: Arch Pediatr Adolesc Med 2005;159:242-249. Pediatrics 1993;91(2):436-44.
Contenuto gentilmente concesso da: Associazione Culturale Pediatri (ACP) - Centro per la Salute del Bambino/ONLUS CSB - Servizio di Epidemiologia, Direzione Scientifica, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste; tratto da: Newsletter pediatrica. Bollettino bimestrale- Febbraio-Marzo 2005, Volume 2, pag. 13-14.
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