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Beta-bloccanti: bene negli ipertesi giovani, non in quelli anziani
Inserito il 04 luglio 2006 da admin. - cardiovascolare - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

Secondo una meta-analisi i beta-bloccanti nell'ipertensione sono utili nei pazienti giovani ma non in quelli anziani.


Lo scopo di questa meta-analisi era di valutare se i beta-bloccanti usati nell'ipertensione hanno un'efficacia diversa in differenti gruppi di età. L'end-point primario valutato era un outcome composto da stroke, infarto miocardico e morte. Sono stati selezionati i trials in cui i beta-bloccanti venivano usati come terapia di prima linea e in seguito sono stati separati gli studi che arruolavano pazienti in cui l'età media al baseline era >= 60 anni da quelli nei quali i pazienti avevano un'età media inferiore ai 60 anni. L'assemblamento dei dati è stato effettuato usando il random effects model.
La ricerca ha permesso di ritrovare 21 trials per un totale di 145.811 pazienti. Negli RCT verso placebo i beta-bloccanti hanno ridotto l'end-point primario nei pazienti giovani (RR 0,86; IC95% 0,74-0,99) ma non negli anziani (RR 0,89; IC95% 0,75-1,05). Negli RCT verso altri trattamenti i beta-bloccanti hanno dimostrato un' efficacia simile agli altri antipertensivi nei pazienti giovani (RR 0,97; IC95% 0,88 - 1,07) ma non negli anziani (RR 1,06; IC95% 1,01 - 1,10), con un aumento del rischio particolarmente marcato per lo stroke (RR 1,18; IC95% 1,07-1,30).
Gli autori concludono che i beta-bloccanti non dovrebbero essere considerati farmaci di prima scelta negli anziani ipertesi a meno che non esista un'altra indicazione mentre nei giovani sono associati ad una significativa riduzione della mortalità e della morbidità.

Fonte:
Khan N et al. Re-examining the efficacy of ß-blockers for the treatment of hypertension: a meta-analysis
CMAJ 2006 Jun 6; 174: 1737-1742

Commento di Renato Rossi
(vedi anche il critical appraisal di A. Battaggia: http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2569)

Due meta-analisi precedenti avevano messo in dubbio l'efficacia dei beta-bloccanti nel ridurre le complicanze dell'ipertensione. Una prima ricerca [1] aveva preso in esame l'atenololo, un beta-bloccante largamente prescritto: rispetto al placebo non c'era alcuna differenza nè per quanto riguarda la mortalità totale e cardiovascolare nè per l'infarto, anche se vi era un trend (non significativo) di riduzione dell'ictus; meno brillanti ancora erano i risultati rispetto agli altri farmaci antipertensivi perchè i pazienti trattati con atenololo mostravano una mortalità totale e cardiovascolare e un rischio di ictus più elevati. Una seconda meta-analisi [2] comprendente 18 RCT concludeva che rispetto al placebo o al non trattamento il rischio di stroke era ridotto dai betabloccanti del 19% (circa metà di quanto ci si sarebbe aspettato), mentre rispetto agli altri antipertensivi l'uso dei betabloccanti era associato ad un rischio di ictus più elevato del 16% (p = 0,009) e ad un aumento della mortalità totale del 3% (dato non significativo, p = 0,14), tanto che gli autori concludevano che i betabloccanti dovrebbero essere usati come farmaci di scelta solo in alcune categorie di pazienti ipertesi con indicazioni specifiche. I ricercatori che hanno effettuato la meta-analisi recensita in questa pillola dichiarano subito, senza mezzi termini, di non essere per nulla d'accordo. I motivi di questa differenza di vedute sono essenzialmente tre. Anzitutto nell'analisi di Lindholm e coll. [2] sono stati esclusi dei trials che al contrario erano stati presi in considerazione da due importanti revisioni [3,4]. In secondo luogo è stato considerato lo stroke come end-point singolo piuttosto che un outcome composto (stroke, infarto, morte) così che si potrebbe essere verificato quello che viene definito "survival bias". Se per esempio si usa come end-point principale lo stroke e i betabloccanti riducono principalmente le morti coronariche si può verificare che molti soggetti salvati grazie a questo effetto rimangono in vita e quindi più a rischio di stroke rispetto a pazienti a cui viene somministrato un farmaco che non riduce le morti coronariche: questo si traduce in un apparente aumento del rischio di stroke in chi assume beta-bloccanti che non è reale. In terzo luogo gli studi della meta-analisi di Lindholm e coll [2] mostravano una forte eterogeneità: in questo caso può essere fuorviante assemblare insieme i dati di tutti i pazienti e forse è preferibile effettuare una analisi per gruppi omogenei suddivisi per esempio in base all'età. In altri termini può essere non corretto mettere insieme studi che arruolano pazienti di 70-80 anni con altri in cui i partecipanti hanno 40-50 anni. Per questi motivi Khan e coll. hanno effettuato una analisi sulla base dell'età dei pazienti, hanno incluso un maggior numero di studi ed hanno considerato l'end-point primario composto da stroke, infarto, morte. Ne risulta che i beta-bloccanti sono utili negli ipertesi giovani mentre non lo sono in quelli più anziani ove non portano ad una riduzione dell'outcome considerato rispetto al placebo e aumentano il rischio di eventi, soprattutto di ictus, rispetto agli altri trattamenti.
Continua quindi la querelle su quali siano i farmaci di prima scelta da privilegiare nel trattamento dell'ipertensione. Un' analisi dei principali studi sugli antipertensivi da parte del gruppo Evidenza, Qualità e Metodo [5] arriva a suggerire che se gli autori dei vari trials si limitassero ad esaminare i dati rispettando le loro stesse premesse (e cioè valutando l'end-point primario senza enfatizzare gli end-point secondari) si dovrebbe concludere che non esistono sostanziali differenze di efficacia tra i vari farmaci antipertensivi, confermando i risultati della meta-analisi del Blood Pressure Lowering Trialists' Collaboration [4]. Per il vero a conclusioni diverse arrivava la meta-analisi di Psaty [3], secondo la quale i tiazidici a basse dosi sono più efficaci degli altri trattamenti antipertensivi, almeno per qualche end-point. Per esempio rispetto ai calcioantagonisti riducono il rischio di eventi cardiovascolari totali, rispetto agli aceinibitori riducono lo scompenso cardiaco, gli eventi cardiovascolari e lo stroke, rispetto ai betabloccanti riducono gli eventi cardiovascolari, rispetto agli alfabloccanti riducono lo scompenso cardiaco e gli eventi cardiovascolari totali. Le conclusioni della Blood Pressure Lowering Trialists' Collaboration [4] sono state contestate in quanto hanno raggruppato insieme diuretici e beta-bloccanti come fossero un'unica classe, il che risulta sleale verso i diuretici stessi. La meta-analisi di Psaty [3] al contrario è stata criticata in quanto i dati sono stati assemblati con una tecnica molto elaborata che permette anche confronti indiretti tra i vari trattamenti (cosiddetta network meta-analysys) ma i cui risultati sono meno attendibili rispetto alla metodologia tradizionale dei confronti diretti [5]. A voler essere critici anche la modalità di Khan e coll. (e per il vero anche di altri) di costruire la loro meta-analisi è opinabile: accorpare tutti gli altri antipertensivi in un unico gruppo da confrontare con i beta-bloccanti, come fossero una categoria omogenea, non mi sembra possa essere esente da critiche e finisce con il diventare una forzatura artificiosa. Gli aceinibitori sono forse la stessa cosa dei diuretici o dei calcio-antagonisti? Non si corre il rischio di penalizzare qualche classe di farmaci mettendola in un unico calderone con un'altra classe magari meno efficace o, al contrario, di enfatizzare una classe meno utile di un'altra?
La meta-analisi di Khan e coll. sembra avere inoltre dei problemi metodologici (vedi al riguardo il critical appraisal di A. Battaggia) ma anche la meta-analisi di Lindholm [2] non è esente da critiche: gli esperti dell'Università di York concludono che non viene riportato in dettaglio il processo di revisione, la ricerca è stata limitata e manca una valutazione della qualità degli studi inclusi, per cui è difficile stabilire l'affidabilità delle conclusioni degli autori.
Il NICE e la British Hypertension Society stanno attualmente rivedendo le linee guida sull'ipertensione dopo la pubblicazione dello studio ASCOT-BPLA : secondo questa nuova revisione, che però non è definitiva ma solo preliminare, nei soggetti giovani si dovrebbe scegliere come farmaco di primo impiego un aceinibitore o un sartano mentre negli anziani (> 55 anni) la preferenza dovrebbe andare ad un calcioantagonista o, in alternativa ad un diuretico. Vengono in tal medo esclusi dai farmaci di prima linea i beta-bloccanti in quanto ritenuti un po' meno efficaci degli altri nel ridurre lo stroke e le complicanze cardiache dell'ipertensione. In realtà ci siamo già espressi sulla studio ASCOT che non solo non ha dimostrato una riduzione dell'end-point primario con la combinazione amlodipina + perindopril rispetto ad atenololo + bendrofluazide, ma ha anche scelto come farmaci con cui confrontarsi un beta-bloccante su cui permangono dubbi [1] e un diuretico "strano" al posto del clortalidone che, dopo l'ALLHAT, dovrebbe essere il farmaco di riferimento con cui confrontarsi (vedi in http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1874).
Una delle riserve maggiori all'uso dei tiazidici è la possibilità che possano aumentare i casi di diabete di nuova insorgenza. Tuttavia bisogna ricordare che nell'ALLHAT a questo non corrispondeva un aumento delle complicanze del diabete, tanto che qualcuno ha parlato di semplice "effetto cosmetico" (in pratica il modesto aumento della glicemia che si può riscontrare con i diuretici sarebbe solo legato alla relativa ipovolemia provocata dal farmaco). Anche un'analisi a posteriori dell'ALLHAT [7] mostra che i diuretici sono degli ottimi farmaci nei diabetici e non ne peggiorano gli esiti rispetto agli altri trattamenti (vedi in http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1814).
In un follow-up di oltre 14 anni dello studio SHEP si è evidenziato che nei pazienti diabetici randomizzati a clortalidone la mortalità totale era del 20% più bassa che nel gruppo dei diabetici randomizzati a placebo. Inoltre il diabete comparso durante la terapia diuretica era lieve e generalmente non associato ad un aumento della mortalità (vedi in: http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=1583). Per finire vale la pena di esaminare il rischio di diabete (definito come glicemia > 125 mg/mL) riscontrato nell'ALLHAT con i vari trattamenti: nei primi due anni di trattamento il rischio era maggiore con clortalidone vs lisinopril e amlodipina, ma dopo i 2 anni la differenza non solo si attenuava per diventare non più significativa tra i tre trattamenti, ma anzi il rischio era maggiore, anche se in modo statisticamente non significativo, con amlodipina rispetto a clortalidone nel periodo da 4 a 6 anni (OR 1,03 a svantaggio di amlodipina).
Cosa dire? Già da queste poche righe si capisce come diventi sempre più difficile per un medico non specialista in metodologia degli studi seguire le varie diatribe tra esperti. Indubbiamente i medici pratici restano un po' frastornati di fronte a simili divergenze e si chiedono a chi credere. Lasciando volentieri a chi si occupa di critical appraisal il compito di stabilire chi più si avvicina alla ragione (ammesso che sia possibile farlo) il parere di chi scrive è che bisogna prendere atto che sempre più le evidenze di letteratura saranno interpretate in modo diverso dai vari autori. Non entrando nell'esame di aspetti controversi (per esempio qual è l'influenza delle ditte farmaceutiche nella produzione delle evidenze scientifiche?) possiamo anche accettare per buono che tutti i farmaci antipertensivi hanno sostanzialmente un'efficacia simile. Quali dovrebbero essere allora i criteri di scelta del farmaco antipertensivo di primo impiego? Sicuramente il costo, la tollerabilità e l'esistenza di controindicazioni o di indicazioni specifiche nel singolo paziente sono tutti aspetti da tener presenti. In questo contesto, a mio avviso, una buona scelta iniziale potrebbe essere il clortalidone a basse dosi. Il secondo farmaco in caso di inefficacia del solo diuretico potrebbe essere un aceinibitore, mentre i beta-bloccanti potrebbero essere rivalutati, almeno nei giovani, soprattutto se esistono specifiche indicazioni come il pregresso infarto miocardico, lo scompenso cardiaco, la presenza di aritmie, l'iperattività adrenengica o livelli di stress molto evidenti. Gli altri farmaci diventano farmaci essenziali in molti casi in cui sia necessaria una politerapia per raggiungere i valori target della pressione, oppure se i farmaci di prima scelta sono controindicati o non tollerati.

Bibliografia
1. Carlberg B et al. Atenolol in hypertension: is it a wise choice? Lancet 2004 Nov 6; 364: 1684-89
2. Lindholm LH et al. Should β blockers remain first choice in the treatment of primary hypertension? A meta-analysis. Lancet 2005 Oct 29; 366:1545-1553
3. Psaty BM et al. Health outcomes associated with various antihypertensive therapies used as first-line agents a network meta-analysis. JAMA 2003;289:2534-44.
4. Blood Pressure Lowering Trialists' Collaboration. Effects of different blood-pressure-lowering regimens on major cardiovascular events: results of prospectively designed overviews of randomised trials. Lancet 2003;362:1527-35
5. Battaggia A et al. Liberare la zia scema dalla soffitta. In: http://www.farmacovigilanza.org/corsi/060115-03.asp
6. British Hypertension Society.BMJ 2004; 328:634
7. Whelton PK et al. for the ALLHAT Collaborative Research Group. Clinical Outcomes in Antihypertensive Treatment of Type 2 Diabetes, Impaired Fasting Glucose Concentration, and Normoglycemia. Antihypertensive and Lipid-Lowering Treatment to Prevent Heart Attack Trial (ALLHAT) . Arch Intern Med. 2005 Jun 27;165:1401-1409
8. Am J Cardiol 2005; 95:29-35

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