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A 5 anni angioplastica primaria meglio di trombolisi nello STEMI |
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Inserito il 02 gennaio 2007 da admin. - cardiovascolare - segnala a:
I risultati a 5 anni dello studio PRAGUE-2 indicano che nell'infarto con sopraslivellamento ST (STEMI) l'angioplastica primaria è associata ad una minore mortalità e morbilità rispetto alla trombolisi con streptochinasi.
Nello studio PRAGUE-2 850 pazienti sono stati randomizzati, entro 12 ore dall'insorgenza dei primi sintomi di STEMI, ad una trombolisi con streptokinasi, effettuata pressso l'ospedale locale, oppure ad essere trasportati presso un centro specialistico per essere sottoposti ad angioplastica primaria. L'end point principale era costituito dalla mortalità a 30 giorni che si dimostrò tendenzialmente più basso nel gruppo PCI rispetto a quello trombolisi, ma la differenza non risultò statisticamente significativa (6.8% vs 10% ). Un end point secondario, costituito da un indice compostito comprendente morte , IMA ed ictus, risultò del 15.2% nel gruppo trombolisi vs 8.4% in quello PCI (intention-to-treat analysis; p=0.003). Al congresso mondiale di cardiologia di Barcellona sono stati presentati i risultati a 5 anni dello studio che indicano un vantaggio a favore della PCI rispetto alla trombolisi in quanto la mortalità è stata del 36,5% vs 43.3% (0,0417) e l'indice combinato Morte/IMA/ictus/ rivascolarizzazione è stato del 58,5% vs 73,3% (p <0.0001).
Fonte: Widimsky P. PRAGUE 2 trial—five years follow-up. World Congress of Cardiology; September 4, 2006; Barcelona, Spain. Presentation 1741
Commento di Luca Puccetti
Lo studio PRAGUE-2 ha come tallone d'Achille il tipo di trombolitico usato ossia la streptochinasi. Lo studio DANAMI-2, in cui era stato usato il tPA, aveva anch'esso fallito nell'evidenziare differenze significative nell'oucome principale, ma aveva dimostrato un vantaggio della PCI primaria rispetto alla trombolisi in termini di reinfarti. La mortalità a 3 anni era risultata non significativamente diversa tra il gruppo PCI e il gruppo tPA nei pazienti a basso rischio (rispettivamente 8% vs 5,6% HR 1.44 95%CI 0.91-2.27). Al contrario, nei pazienti ad alto rischio la mortalità era risultata del 25,3% con la PCI e del 36,2% con la trombolisi (HR 0.66, 95%CI 0.45-0.94), con una riduzione del rischio di morte a 3 anni del 34%. Il confronto tra PCi e tPA è dunque risultato significativamente differente nei pazienti a basso ed alto rischio. Nei pazienti reclutati nei centri senza emodinamica la mortalità nel sottogruppo a basso rischio era stata 7,5% con la PCI e 6,6% con la trombolisi, mentre nei pazienti ad alto rischio la mortalità era risultata 24,6% con la PCI e 36,8% con la trombolisi. Nello studio PRAGUE-2 il tempo medio "door-balloon" era stato di soli 48 minuti, un ritardo breve, difficilmente implementabile nella pratica clinica. Pertanto una strategia efficiente per gestire il paziente con IMA potrebbe essere quella in cui i pazienti ad alto rischio siano rapidamente fatti pervenire negli ospedali dotati di emodinamica, anche a prezzo di qualche ritardo nel tempo porta-palloncino, mentre quelli non ad alto rischio, che rappresentano circa i tre quarti del totale, potrebbero essere trattati con trombolisi. Anche la strategia della PCI ritardata ha dato buoni frutti come dimostrato dallo studio WEST, realizzato al fine di verificare se un pretrattamento farmacologico con un trombolitico in dose piena, usato quanto prima possibile, potesse, qualora associato a una coronarografia al bisogno od effettuata sistematicamente entro 24 ore, dimostrarsi in qualche modo equivalente a una strategia di PCI primaria associata a clopidogrel e abciximab. Sono stati arruolati pazienti con infarto miocardio acuto esordito da meno di sei ore ed in cui non fosse prevedibile effettuare una PCI primaria entro 60 minuti dal primo contatto medico. La PCI di salvataggio andava fatta qualora a 90 minuti dal tenecteplase (TNK) non fosse stato osservata una regressione del sopraslivellamento di ST di almeno 50% oppure in caso di instabilità elettrica o emodinamica. Questo approccio si diversifica dalla PCI facilitata tradizionale, in cui la procedura viene fatta immediatamente dopo la trombolisi, indipendentemente dal suo esito, e si avvicina invece alla PCI ritardata che aveva avuto risultati lusinghieri in Spagna nei due studi GRACIA. L'end-point principale, un indice composito che comprendeva la somma di morte, reinfarto, ischemia refrattaria, scompenso cardiaco, shock cardiogeno o aritmie ventricolari maggiori a 30 giorni, si è verificato in modo non significativamente diverso nei tre gruppi. Il punto forte clinico di questo tipo di approccio è evidentemente quello di lasciare libere le mani dell'emodinamista per l'utilizzo dei IIb/IIIa, mentre il punto forte organizzativo è quello di permettere alla rete di “respirare” non essendo obbligata a correre all'ospedale con emodinamica più vicino, potendo contare su qualche ora per organizzare il trasporto in almeno il 50% dei pazienti. Alcuni commentatori hanno tuttavia inneggiato alla realizzazione di Centri per la PCI diffusi su tutto il territorio, giustificando una complicata e costosa organizzazione di trasporto di tutti i malati in base ai risultati di una recente metanalisi in cui sono stati considerati 22 studi di PCI vs Fibrinolisi su un pool di 6763 pazienti. La mortalità a 30 giorni nel gruppo PCI è risultata inferiore del 37% vs fibrinolisi e questo senza differenze significative in funzione del tempo door-baloon [adjusted OR, 0.63; 95% CI (0.42-0.84)].
Bibliografia C. Fresco; www.infarto.it Circulation. 2005;112:2017-2021 Eur Heart J 2006; 27:779-788
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