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Ranibizumab nella degenerazione maculare senile
Inserito il 10 aprile 2007 da admin. - oculistica - segnala a: facebook  Stampa la Pillola  Stampa la Pillola in pdf  Informa un amico  

In due studi ranibizumab è risultato superiore a verteporfina e placebo nella degenerazione maculare senile.


In un primo studio multicentrico statunitense [1] sono stati reclutati 716 pazienti (età > 50 anni) affetti da degenerazione maculare senile. I pazienti presentavano una neovascolarizzazione coroidale minimamente classica oppure occulta (lesioni non classiche). Dopo randomizzazione i partecipanti sono stati trattati ogni mese con ranibizumab intravitreale 0,3 mg oppure 0,5 mg oppure placebo. L'end-point primario dello studio era la percentuale che aveva perso meno di 15 lettere di acuità visiva.
Il trattamento è durato 2 anni. Dopo 12 mesi soddisfacevano l'end-point primario il 94,5% del gruppo ranibizumab 0,3 mg, il 94,6% del gruppo ranibizumab 0,5 mg e il 62,2% del gruppo placebo ( p < 0,001). Mediamente i soggetti trattati con farmaco attivo mostravano un miglioramento di 6-7 lettere mentre quelli trattati con placebo accusavano una perditamedia di 10 lettere. Questi risultati si sono mantenuti anche alla fine del secondo anno. Gli effetti collaterali principali della terapia sono stati endoftalmite (1%) e uveite grave (1,3%).
In un secondo studio [2], pubblicato nello stesso numero della rivista, su 423 pazienti affetti da degenerazione neovascolare classica predominante ranibizumab si è dimostrato superiore a verteporfina nel ridurre la perdita dell'acuità visiva.


Fonte:
1. Rosenfeld PJ et al for the MARINA Study Group. Ranibizumab for neovascular age related macular degeneration. N Engl J Med 2006 Oct 5;355:1419-31.
2. BrownDM et al. Ranibizumab versus Verteporfin for Neovascular Age-Related Macular Degeneration. N Engl J Med 2006 Oct 5; 355:1432-1444



Commento di Renato Rossi

La degenerazione maculare senile, che è la causa più comune di riduzione del visus e di cecità nei paesi occidentali, comprende una fase iniziale in cui la vista è normale ma sono presenti delle alterazioni note come drusen (depositi puntiformi giallastri di detriti cellulari che si accumulano al di sotto della retina) e uno stadio avanzato in cui si ha una compromissione della visione centrale. Segnali di allarme sono la visione ondulata degli oggetti e la comparsa di macchie scure. La forma avanzata a sua volta si divide in degenerazione secca in cui prevale l'atrofia della retina e la forma umida (detta anche essudativa) in cui prevale la neoformazione vasale che può residuare in cicatrici che alterano in modo irreversibile il tessuto retinico. La forma essudativa è più rara ma anche più invalidante.
La degenerazione maculare senile colpisce in genere dopo i 50 anni e la sua frequenza cresce con l'età tanto che dopo i 75-80 anni si calcola che circa il 10-20% della popolazione ne sia affetto.
Fra i fattori di rischio sono stati individuati, oltre all'età, il fumo, l'ipertensione e l'erediatrietà [1].
Nel trattamento possiede dimostrazioni di efficacia nel ridurre il rischio di cecità la terapia fotodinamica con verteporfina: si tratta di una procedura che prevede dapprima la somministrazione di un colorante fotosensibile (verteporfina) mediante infusione e successivamente l' applicazione di un trattamento laser che attiva il colorante stesso in modo tale da provocare la chiusura dei neovasi. Più incerto è il ruolo della fototerapia laser, della radioterapia e dell'interferone sottocute.
Una certa utilità preventiva nel ridurre la progressione della malattia potrebbero avere le vitamine antissodanti e i supplementi di zinco mentre non si conosce l'efficacia del trattamento mediante laser delle lesioni iniziali (drusen).
Il ranibizumab è un anticoprpo monoclonale che agisce inibendo la formazione di neovasi perchè si lega e antagonizza il cosiddetto VEGF (fattore di crescita dell'endotelio vasale). I risultati dei due studi presentati contemporaneamente dal New England Journal of Medicine ne fanno una alternativa interessante ma è necessaria cautela, in attesa di dati ulteriori.
In una lettera inviata a medici specialisti sulla retina la ditta produttrice del farmaco ha sottolineato che alcuni dati provenienti dagli studi in corso mostrano che alte dosi del farmaco portano ad un rischio di stroke dell'1,2% rispetto alle basse dosi, con le quali si ha un rischio dello 0,3% [2].


Bibliografia
1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=2630
2. New York Times, 26 gennaio 2007. www.nytimes.com



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